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Jacopo Ciani

Jacopo Ciani

Avvocato del Foro di Milano, Professore a contratto presso ESCP Business School, Dottore di ricerca in diritto industriale, si occupa di proprietà intellettuale, diritto della concorrenza e della comunicazione commerciale ed è appassionato di informatica e nuove tecnologie

30 Novembre 2024

Uso non autorizzato di opera fotografica per finalità editoriali

La fotografia gode della tutela del diritto d’autore quale opera fotografica ai sensi dell’art. 2, n. 7, della legge n. 633/1941 quando presenta carattere creativo, presupposto che sussiste quando – indipendentemente dal “valore artistico” – la fotografia abbia un’impronta personale anche di gradiente minimo e non si limiti a riprodurre sic et simpliciter la realtà, nel senso che il fotografo non si sia limitato ad una rappresentazione oggettiva dello stato di luoghi, persone o oggetti, ma abbia trasmesso negli scatti la propria sensibilità e la propria personale interpretazione della realtà. L’impronta personale della fotografia a prova del carattere creativo deve trasparire da vari concreti elementi, come la scelta e la disposizione degli oggetti da riprodurre, la selezione delle fonti delle luci, il dosaggio dei toni, la valorizzazione degli effetti, la scelta del soggetto e della sua espressione, di modo che l’aspetto creativo vada a prevalere sull’aspetto meramente tecnico. Il fatto che l’immagine abbia delle caratteristiche comuni ad altre fotografie che rappresentano il medesimo oggetto non appare dirimente per escludere il requisito della creatività, posto che quest’ultimo sussiste anche laddove l’impronta personale dell’autore sia anche solo minima. Il carattere illecito dell’uso della fotografia non è escluso dalle finalità editoriali. Il danno per uso non autorizzato di opera fotografica è liquidato ai sensi dell’art. 158 L.d.A. e può essere liquidato in via equitativa, col criterio del c.d. “prezzo del consenso”, ossia sulla base dell’importo che la convenuta avrebbe dovuto corrispondere all’attrice laddove avesse chiesto l’autorizzazione per l’utilizzazione della fotografia. In caso di violazione del diritto d’autore su un’opera fotografica, l’avente diritto può richiedere il risarcimento del pregiudizio subito rispetto ai diritti di utilizzazione economica dell’opera in capo all’autore e quello attinente al diritto morale d’autore. La domanda di risarcimento del diritto morale d’autore ai sensi dell’art. 20 L.d.A., e in particolare quello relativo al diritto alla paternità dell’opera, non può essere risarcito se l’attore, soggetto titolare dei diritti di utilizzazione economica dell’opera, non allega specificamente il pregiudizio ai propri diritti conseguenti alla mancata menzione dell’autore dell’opera fotografica oggetto di lite. [ Continua ]
24 Agosto 2024

Uso effettivo del marchio valido ad escludere la decadenza per non uso

Ai sensi dell’art. 2556 c.c., per le imprese soggette a registrazione, nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda è stabilito l’onere della forma scritta ad probationem che, se non opera rispetto ai terzi, certamente opera con riguardo alle parti contraenti. Una cessione incrociata di quote societarie non può valere quale contratto di cessione d’azienda, e ciò a fortiori se non vede come parte il soggetto che si sostiene aver acquisito l’azienda. Risulta ammissibile la domanda di decadenza per non uso di marchio registrato, proposta dall’attrice in via di reconventio reconventionis, in via subordinata e condizionata al rigetto della domanda principale, prima dello spirare del termine fissato dall’art. 183, comma 5, c.p.c. e in conseguenza della domanda riconvenzionale di condanna al pagamento di una somma per l’illecito utilizzo del marchio. Per orientamento costante l’uso del marchio che impedisce la decadenza deve essere effettivo, non meramente simbolico e non sporadico e deve riguardare quantitativi di prodotti non irrilevanti. In ragione della funzione distintiva che assolve il marchio e per lo statuto di libera appropriabilità dei segni, è meritevole di tutela solo quel marchio che sia oggetto di reale interesse da parte del titolare e che, dunque, raggiunga nel suo utilizzo una certa soglia di significatività attraverso una presenza reale sul mercato, idonea a radicare un collegamento rispetto al prodotto e una seria presenza concorrenziale presso i consumatori. La valutazione dell’effettività dell’uso del marchio deve basarsi sull’insieme dei fatti e delle circostanze atti a provare che esso è oggetto di uno sfruttamento commerciale reale, sicché occorre a tal fine prendere in considerazione in modo specifico gli usi considerati giustificati, nel settore economico interessato, per mantenere o creare quote di mercato per le merci o i servizi tutelati dal marchio, la natura di tali merci o servizi, le caratteristiche del mercato, l’ampiezza e la frequenza dell’uso del marchio. Secondo la giurisprudenza nazionale, l’uso del marchio idoneo ad impedire la decadenza deve essere tale da avere conseguenze economiche sul mercato, onde si richiede la dimostrazione di un’effettiva distribuzione del prodotto presso il pubblico e di una presenza certa sul mercato capace di incidere sulla sfera dei concorrenti. L’uso idoneo ad evitare la decadenza del marchio può essere ricondotto anche all’attività di un terzo purché vi sia il consenso del titolare. L’art. 24 c.p.i. richiede soltanto che l’uso del marchio sia consentito e, in tal modo, dà rilevanza a qualunque atto permissivo del titolare che non necessariamente deve coincidere con la concessione in uso propria del contratto di licenza. Colui che agisce per la declaratoria di decadenza di un marchio, e che ha l’onere di provare il non uso di quel marchio nell'intero territorio nazionale, può assolverlo anche in via indiretta e presuntiva, purché con la prova di circostanze significative e concordanti idonee ad evidenziare tale non uso. Il semplice invio di una diffida stragiudiziale è qualificabile come atto puramente conservativo e non rappresenta una modalità di esercizio del segno in conformità alla sua funzione tipica che è quella di distinguere sul mercato beni o servizi. Il mero rinnovo della registrazione del marchio non integra un uso effettivo valido ad escluderne la decadenza se non associato ad un utilizzo effettivo in funzione distintiva. [ Continua ]
24 Agosto 2024

La tutela di diritto d’autore di personalizzazioni del software che non incidono sul codice sorgente

Ai sensi dell'art. 161 l.d.a. il procedimento per descrizione è espressamente ammesso anche in materia di diritto d'autore. La tutela autoriale attribuita al software non riguarda le idee astratte che stanno alla sua base o le funzioni concrete che vengono attribuite alla macchina, ma concerne solo la veste formale delle istruzioni codificate, di regola incorporate nel codice sorgente. E' infatti perfettamente ammissibile che vi sia una pluralità di programmi che assicurano lo svolgimento delle medesime attività anche attraverso strumenti identici o molto simili, purché siano scritti in maniera diversa. Tuttavia, ciò non esclude che una tutela possa essere assicurata anche ad espressioni testuali che non siano contenute nel codice sorgente, purché siano espresse in una forma che rappresenta il frutto della creatività dell’autore (nella specie tuttavia il Giudice ha ritenuto di non avere elementi per affermare che le macro realizzate dal ricorrente siano codificate con una veste formale che rappresenti l’espressione personale dell’utente). Le macro registrate dall’utente in un programma per elaboratore non possono essere qualificate come banche dati tutelabili ai sensi degli artt. 1 e 2 n. 9 l.d.a., poiché dalla definizione normativa fornita dall’art. 2, così come dalla nozione comune, emerge come la banca dati si caratterizzi per sua idoneità a rendere accessibili (e quindi consultabili) le informazioni in essa contenute, laddove nel software le istruzioni operative non sono destinate alla consultazione da parte dell’utente, bensì alla esecuzione da parte della macchina. [ Continua ]
18 Maggio 2024

Nullità delle clausole contenute nella fideiussione uniforme allo schema predisposto dall’ABI in violazione della Legge Antitrust

Il provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 della Banca d'Italia - in funzione di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi ex artt. 14 e 20 L. n. 287 del 1990, vigenti fino al trasferimento dei poteri all'AGCM, con la l. n. 262 del 2005, a far tempo dal 12/01/2016, avente ad oggetto il denunziato contrasto tra lo schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall'ABI e l'art. 2 della l. n. 287 del 1990 ("Legge Antitrust") - ha statuito, applicando tale norma, la violazione del divieto di intese restrittive della concorrenza, con riferimento agli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall'associazione bancaria italiana ABI e da alcune associazioni di consumatori avente ad oggetto uno schema di fideiussione omnibus a garanzia delle operazioni bancarie. I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall'Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con la l. n. 287 del 1990, art. 2, co. 2, lett. a), e art. 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi dell'art. 2, co. 3, della legge succitata e dell'art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa dichiarata vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti. Il provvedimento n. 55/2005 della Banca d’Italia costituisce prova privilegiata solo in relazione alla sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso in relazione al periodo rispetto all’arco temporale interessato dall’indagine svolta dall'autorità di vigilanza, compreso tra il mese di ottobre 2002 e il maggio 2005. Inoltre, gli accertamenti della Banca d'Italia non comportano alcun automatismo che conduca alla nullità delle clausole contenute nella singola fideiussione. Pertanto, l’attore che voglia far valere la nullità della singola fideiussione stipulata potrà avvalersi di tale prova privilegiata nella misura in cui vi sia uniformità tra la fideiussione oggetto di lite e lo schema standardizzato predisposto dall’ABI, oggetto del provvedimento del 2005 di Banca d’Italia. L’onere della prova della nullità della fideiussione grava sull’attore, secondo il principio generale ex art. 2697 c.c. e non può dirsi assolto, se il contratto di cui si controverte è stato stipulato in un periodo successivo rispetto a quello oggetto dell’accertamento effettuato dalla Banca d’Italia – in tal caso, grava sull’attore l’onere di dimostrare l’esistenza di un accordo anticoncorrenziale a monte – né qualora il medesimo contratto non presenti le tre clausole oggetto della decisione della Banca d’Italia, ovvero: (i) la clausola di reviviscenza, in base alla quale "il fideiussore s’impegna a rimborsare alla banca le somme che dalla banca fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi o per qualsiasi altro motivo" (art. 2 dello schema ABI); (ii) la clausola di sopravvivenza, a mente della quale "qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate" (art. 8 dello schema ABI); (iii) la clausola di deroga, a mente della quale "i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato" (art. 6 dello schema ABI). [ Continua ]
18 Maggio 2024

Il provvedimento n. 55/2005 di Banca d’Italia non riguarda le fideiussioni specifiche

I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall'Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con la l. n. 287 del 1990, art. 2, co. 2, lett. a), e art. 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi dell'art. 2, co. 3, della legge succitata e dell'art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti. Ai sensi dell'art. 2697 c.c., grava su parte attrice l'onere di provare l'effettiva sussistenza di un accordo o intesa anticoncorrenziale a cui abbia aderito la banca e, pertanto, la dimostrazione dell'uniformità nella predisposizione delle previsioni contrattuali oggetto di censura da parte degli istituti di credito nel tempo e nel luogo della fideiussione contestata. Compete all'attore che deduca un'intesa restrittiva provare il carattere uniforme della clausola che si assuma essere oggetto dell'intesa stessa. Ai fini della pronuncia sulla nullità delle clausole della fideiussione, risulta necessaria la prova dell'esistenza di un'intesa anticoncorrenziale tra un ampio “cartello” di istituti di credito nel momento della stipulazione dei contratti di garanzia di cui si predica la nullità parziale. Con provvedimento n. 55 del 02/05/2005, avente ad oggetto il denunziato contrasto tra lo schema contrattuale di fideiussione omnibus predisposto dall'ABI e l'articolo 2 della L. n. 287 del 1990, la Banca d'Italia - nella sua qualità pro tempore di autorità di vigilanza sulla concorrenza e sul mercato finanziario (oggi deferita all'AGCM) - ha espresso un giudizio negativo in relazione allo schema contrattuale uniforme predisposto dall'associazione bancaria italiana ABI e da alcune associazioni di consumatori avente ad oggetto uno schema di fideiussione omnibus a garanzia delle operazioni bancarie. L’oggetto dell’accertamento dell’intesa anticoncorrenziale nel provvedimento della Banca d’Italia del 2005 è costituito dalle condizioni generali della fideiussione c.d. omnibus, ossia di quella particolare garanzia personale di natura obbligatoria, in uso nei rapporti bancari, che per effetto della c.d. clausola estensiva impone al fideiussore il pagamento di tutti i debiti, presenti e futuri, assunti dal debitore principale entro un limite massimo predeterminato ai sensi dell’art. 1938 c.c. Il provvedimento della Banca d’Italia evidenzia che la fideiussione omnibus presenta una funzione specifica e diversa da quella della fideiussione civile, volta a garantire una particolare tutela alle specificità del credito bancario in considerazione della rilevanza dell’attività di concessione di finanziamenti in via professionale e sistematica agli operatori. In assenza di provvedimenti di natura sanzionatoria emessi dall’Autorità di vigilanza competente che abbia accertato l’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale, l’onere probatorio relativo alla contestazione di intesa in relazione all’art. 2 L. 287/90 nel settore delle fideiussioni specifiche non può che ricadere sulla parte che ha formulato detta contestazione, secondo le regole proprie del giudizio civile. [ Continua ]
26 Novembre 2023

Brevetto e funzione probatoria del fumus boni iuris nel procedimento per descrizione

Nel quadro del procedimento per descrizione ex artt. 129 e ss. c.p.i., il fumus boni iuris va apprezzato in via diretta in relazione al diritto processuale alla prova – ritenuta utile o necessaria nel futuro giudizio di merito - e solo in via indiretta in relazione al diritto sostanziale di cui s’invoca tutela. Tale fumus che ha dunque funzione esclusivamente probatoria è sicuramente affievolito rispetto al fumus richiesto per la concessione delle altre misure cautelari, quali il sequestro e l’inibitoria, esaurendosi nella ragionevolezza della richiesta o nella non pretestuosità della domanda. [In tema di brevetto di procedimento, il fumus può ritenersi provato anche se il ricorso per descrizione risulti obiettivamente necessario per accertare il procedimento effettivamente adottato dal presunto contraffattore.]   [ Continua ]
24 Agosto 2024

Imitazione servile e caratteristiche esteriori dei prodotti

In tema di concorrenza sleale confusoria, l'imitazione rilevante ai sensi dell' art. 2598, n. 1, c.c. non esige la riproduzione di qualsiasi forma del prodotto altrui, ma solo di quella che investe le caratteristiche esteriori dotate di efficacia individualizzante, in quanto idonee, per capacità distintiva, a ricollegare il prodotto ad una determinata impresa, sempreché la ripetizione dei connotati formali non si limiti a quei profili resi necessari dalle caratteristiche funzionali del prodotto. Si configura la fattispecie di imitazione servile quando questa risulti attuata in maniera tale da poter trarre in inganno il consumatore, di guisa che egli, volendo acquistare la merce di un determinato produttore, possa confonderla con quella di un suo concorrente . Al fine di ritenere integrato l’illecito di imitazione servile, la novità e la capacità distintiva delle caratteristiche imitate devono essere presenti, in via cumulativa. La capacità distintiva riguarda solamente quelle forme idonee a ricollegare il prodotto a una determinata impresa, mentre la novità fa riferimento alle forme differenti a quelle già prodotte e immesse sul mercato da altri. L'oggetto dell'imitazione deve cadere sulla forma dotata di efficacia individualizzante e del carattere della novità, tenuto conto altresì degli importanti effetti della norma che , pur in mancanza di diritti di privativa, impone il contemperamento con la necessità di garantire la massima competizione sul mercato. Laddove si attribuisse tutela per imitazione servile ad ogni elemento di novità esteriore del prodotto, si addiverrebbe alla conseguenza paradossale, non voluta dell’ordinamento, di attribuire tutela temporalmente illimitata a disegni o modelli non registrati. Pertanto, la necessaria coesistenza di novità e capacità distintiva del prodotto imitato deve essere accertata con particolare rigore. La capacita distintiva del prodotto imitato si configura quando il prodotto imitato sia dotato di notorietà qualificata, presentando caratteristiche tali da distinguerlo nell'ambito della fetta di mercato interessato in quanto proveniente da un determinato produttore e non può dunque discendere dalla sola novità del prodotto, nel senso che non è sufficiente che un prodotto sia nuovo per concludere che il consumatore medio lo riconduca necessariamente a quello specifico produttore, risultando bensì necessario che la forma sia idonea a distinguere il prodotto e che abbia perciò acquisito notorietà presso il pubblico dei consumatori in misura tale da rendere plausibile l’idoneità a determinare in concreto, nella percezione del consumatore medio, un'apprezzabile relazione tra di esso e la sua origine imprenditoriale. L’ipotesi di appropriazione di pregi del concorrente di cui all’art. 2598 n. 2 cc non è invocabile, in assenza dell’allegazione di condotte di comunicazione pubblica volta all’appropriazione di meriti di cui è titolare la reclamante. [ Continua ]
7 Maggio 2023

Risarcimento del danno da violazione della denominazione d’origine/indicazione geografica “Scotch Whisky”

Nell’illecito di concorrenza sleale la colpa dell’autore si presume ex art. 2600 comma 3 c.c. Lo sfruttamento illecito attraverso l’evocazione del Paese che conferisce tutte quelle caratteristiche tipiche al prodotto e il richiamo ai pregi dello stesso viene eseguito per immettere sul mercato prodotti di qualità inferiore, con una riduzione dei costi tramite l’utilizzo di materiali meno pregiati, così danneggiando gravemente l’immagine di successo e il prestigio dei produttori di quel determinato prodotto. L’offuscamento dell’immagine nonché lo svilimento del prodotto originale avranno la logica conseguenza di ridurre le vendite. [Nel caso di specie, va accolta la domanda risarcitoria per il danno all’immagine subito da THE SCOTCH WHISKY ASSOCIATION (SWA) per effetto della promozione, offerta in vendita e vendita da parte della convenuta di prodotti in violazione del Regolamento (CE) 110/2008, degli artt. 29 e 30 c.p.i., dell’art. 2598 nn. 1, 2 e 3 c.c. e di accordo transattivo sottoscritto tra le parti.]
[ Continua ]
14 Novembre 2023

Sequestro giudiziario di quote di una società inclusa in un Trust

La domanda di nullità/annullamento/inefficacia dell’atto di assegnazione delle quote societarie conferite in Trust dal disponente, nonché l’assegnazione di dette quote ai beneficiari sono relative al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti, materia attribuita alla competenza della sezione imprese secondo il disposto di cui all’art. 3 d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168, come modificato dal d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con l. 24 marzo 2012, n. 27. Ai sensi del comma 3 dello stesso articolo, sono attratte nella competenza del tribunale delle imprese anche le domande connesse, relative alla validità degli atti inerenti il Trust. Non può essere riconosciuta soggettività giuridica al trust, che non è un soggetto giuridico dotato di una propria personalità; il trustee è l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi, non quale legale rappresentante di un soggetto, ma come soggetto che dispone del diritto. Il sequestro giudiziario pone sul bene un vincolo di indisponibilità finalizzato a preservare l’attribuzione finale del bene di cui sia controversa in causa la proprietà o il possesso, e quindi ha natura del tutto affine a quella delle alienazioni di cui parla l’art. 2470 c.c. Allo stesso tempo il vincolo di indisponibilità derivante dal sequestro può essere considerato affine a quello preordinato all’espropriazione derivante dal pignoramento di cui tratta l’art. 2914, co. 1, n. 1, c.c. Il sequestro giudiziario di quote di s.r.l. rientra tra i fatti di cui è prescritta l’iscrizione. La mancanza di una specifica previsione di legge che testualmente sancisca l’obbligo di iscrizione del sequestro nel registro delle imprese, non esclude la possibilità che tale obbligo sia ricavabile mediante interpretazione sistematica delle disposizioni legislative sul registro delle imprese. La tipicità degli atti soggetti a iscrizione deve essere intesa quale tipicità degli effetti che da tali atti discendono, nel senso che la previsione dell’obbligo di iscrizione di determinati eventi, che incidono su situazioni iscritte, determinandone la modifica o la cessazione, appare espressiva di un principio generale, in virtù del quale devono essere iscritti, pur in assenza di apposita previsione, tutti gli eventi modificativi o estintivi di situazioni iscritte. Così, la previsione dell’iscrizione nel registro delle imprese del pignoramento delle quote di s.r.l. (espressamente prevista dall’ art. 2471 c.c.) consente di ritenere la sussistenza di un obbligo di iscrizione, nonostante il silenzio della legge, di qualsiasi atto che determini un vincolo di indisponibilità su quote di s.r.l., quale quello derivante da sequestro giudiziario (espressamente ammesso dall’art. 2471 bis c.c., che tuttavia non ne precisa le modalità di attuazione), la cui funzione cautelare, in presenza di contestazione sulla proprietà o il possesso, serve, fra l’altro, a preservare il bene da rischio di alienazione. [ Continua ]
26 Novembre 2023

Conflitto tra segni distintivi: eccezioni in senso stretto e rilevabili d’ufficio

Il comma III dell’art. 138 RMUE, sancendo che il titolare del marchio UE non può opporsi all’esercizio di un diritto anteriore di portata locale, definisce un limite intrinseco ai diritti derivanti dalla registrazione del marchio UE: non riserva al titolare di un diritto anteriore di portata locale il rilievo di tale situazione né prevede che la manifestazione di volontà di tale soggetto sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva, situazioni in cui deve escludersi la rilevabilità d’ufficio.   [ Continua ]