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14 Febbraio 2024

Assoggettamento a fallimento di ente associativo; responsabilità dell’ente associativo nazionale per i danni causati alla struttura regionale

Ai fini dell’assoggettamento alla procedura fallimentare, lo status di imprenditore commerciale deve essere attribuito anche agli enti di tipo associativo che in concreto svolgano, esclusivamente o prevalentemente, attività di impresa commerciale, a nulla rilevando in contrario l'art. 111 del t.u. delle imposte dirette, d.P.R. n. 917 del 1986, la cui portata è limitata alla previsione di esenzioni fiscali ed alla quale non può attribuirsi, avuto riguardo alla specificità delle ragioni di politica fiscale che la ispirano, una valenza generale nell'ambito civilistico. Dall’assoggettabilità delle associazioni alla procedura fallimentare non può che discendere in caso di fallimento l’applicazione dell’art. 43 l. fall., che legittima il curatore ad esperire o proseguire le azioni che trova nel patrimonio della fallita e, con esse, l’azione di responsabilità che, allorquando l’ente è in bonis, può essere esercitata ai sensi dell’art. 22 c.c. dai nuovi amministratori o dai liquidatori, previa delibera dell’assemblea. [ Continua ]
24 Aprile 2023

Revoca della delibera di trasformazione e diritto di recesso

Anche a seguito dell’iscrizione della delibera di trasformazione nel Registro delle Imprese deve ritenersi legittima l’adozione di una delibera che disponga, nell’ambito dell’art 2437 bis c.c. o art. 2473 c.c., la trasformazione uguale e contraria a quella che ha suscitato l’esercizio del diritto di recesso del socio. Ciò preclude ex lege l’esercizio del diritto di recesso, ovvero lo rende inefficace se già esercitato, venendo meno il presupposto legittimante ovverosia la modificazione del contratto sociale che consente al socio che non vi ha prestato il consenso di uscire dalla compagine sociale. L’art. 2437 bis c.c. concede alla società novanta giorni dall’emanazione della delibera che legittima il recesso del socio per revocarla. Non è consentito limitare questo spatium deliberandi invocando l’interferenza di una norma, l’art. 2500 bis c.c., che ha natura affatto differente e meramente processuale, impedendo la caducazione di un atto invalido di trasformazione e prevedendo, a fronte di un atto di trasformazione eventualmente invalido, una tutela non reale, ma solo risarcitoria. La facoltà per la società di revoca della delibera che ha legittimato il recesso del socio non incontra limiti nelle disposizioni normative se adottata con le forme necessarie e si applica anche alla delibera di trasformazione nel senso che la società può sempre nuovamente trasformarsi nel tipo precedentemente abbandonato e, se ciò avviene nel termine di 90 giorni di cui all’art 2437 bis, co. 3, c.c., determina ex lege l’inefficacia sopravvenuta del recesso, il quale, seppur legittimamente esercitato, diviene inefficace. [ Continua ]
2 Novembre 2023

Azione di responsabilità verso gli amministratori esercitata dal fallimento e riparto dell’onere della prova

L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale e, dunque, quanto al riparto dell’onere della prova, colui che agisce in giudizio deve fornire la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, su cui incombe l’onere della dimostrazione del fatto estintivo costituito dall’adempimento. In applicazione di tale principio nelle azioni di responsabilità ex art. 146 l.fall. spetta al fallimento allegare l’inadempimento, ovvero indicare il singolo atto gestorio che si pone in violazione dei doveri degli amministratori e dei sindaci posti dalla legge o dallo statuto, e il danno derivante da tale inadempimento, mentre è onere dei convenuti contrastare lo specifico addebito, fornendo la prova dell’esatto adempimento. In caso di azione di responsabilità fondata sul mancato versamento di oneri fiscali e contributivi obbligatori da parte dell’amministratore, il danno coincide con il maggior debito maturato a causa del ritardato o omesso pagamento di contributi, in termini di sanzioni, oneri di riscossione e interessi; non anche con l’ammontare dei contributi evasi. Sanzioni, oneri e interessi che non avrebbero gravato sulla società se l’amministratore avesse provveduto al tempestivo pagamento, ovvero, in caso di impossibilità per carenza di liquidità, avesse attivato i rimedi previsti dalla legge in caso di crisi o di insolvenza dell’impresa. Il pagamento del credito postergato ex art. 2467 c.c. costituisce una violazione dei doveri inerenti alla carica di amministratore. Nondimeno, tale pagamento, risolvendosi in un pagamento di un credito inesigibile, da un lato, non perde il suo effetto estintivo del debito sociale e, dall’altro, finisce per porsi sullo stesso piano di un pagamento preferenziale, al quale del resto è accomunato: dall’essergli annesso un effetto estintivo del debito; dall’essere compiuto con lesione della garanzia di cui i creditori godono sul patrimonio della società debitrice e dunque, infine, della par condicio creditorum. In applicazione dei principi del riparto dell’onere della prova nelle azioni di responsabilità, a fronte dell’allegazione da parte del fallimento dell’inadempimento dell’amministratore consistente negli atti distrattivi del patrimonio sociale, è preciso onere dell’amministratore convenuto fornire la prova del fatto estintivo dell’obbligazione, ovvero del proprio esatto adempimento, consistente nella allegazione delle ragioni, coerenti con gli scopi sociali, a supporto dei pagamenti specificatamente contestati. [ Continua ]
5 Giugno 2023

Inadempimento del lodo arbitrale in punto di riparto delle spese

Il lodo arbitrale che pone le spese a carico delle parti in via solidale legittima il soggetto che ha sostenuto per l’intero le spese dell’arbitrato ad agire in via di regresso, anche in sede monitoria, al fine di ottenere la corresponsione della quota di spese dovuta dalla controparte. In sede di opposizione al decreto ingiuntivo l’opponente non è legittimato ad eccepire l’eventuale inadempimento della transazione per cercare di superare e modificare il riparto di spese disposto dal lodo, essendo a tal fine necessario proporre impugnazione nei confronti del lodo. [ Continua ]
1 Giugno 2023

Quantificazione del trattamento di fine mandato spettante all’amministratore

Qualora lo statuto della società riconosca ai componenti dell’organo amministrativo un trattamento di fine mandato variabile in funzione alle effettive prestazioni svolte, la misura di tale trattamento potrà essere stabilita in sede giudiziale, ove non previamente determinata dalla società, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzione in rapporto al compenso annuo accordato dalla società per la carica. [ Continua ]
28 Dicembre 2021

L’esclusione del socio inadempiente alle obbligazioni assunte nei confronti della società cooperative

A fronte di disposizioni statutarie che attribuiscono espressamente all’organo amministrativo il potere di escludere il socio che non abbia adempiuto alle obbligazioni assunte nei confronti della società cooperativa, o si sia reso moroso nel versamento delle somme dovute, deve ritenersi legittima, ex art. 2533, c. 1, c.c., la delibera di C.d.A. di esclusione del socio di società cooperativa che, dopo essersi visto assegnare un immobile di proprietà della società, non ha corrisposto il prezzo pattuito per il definitivo trasferimento della proprietà dell’immobile. La legittimità della delibera di esclusione determina la risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti tra il socio e la cooperativa ex art. 2533, c. 4, c.c., ivi compresi quelli derivanti dalla suddetta assegnazione “immobiliare”, con conseguente obbligo di rilascio dell’immobile assegnato da parte del socio escluso. [ Continua ]
13 Aprile 2023

Art. 2358 c.c.: sanzione della nullità e applicabilità alle banche costituite in forma di società cooperative per azioni

L’art. 2358 c.c., che prevede le condizioni che rendono possibile l’assistenza finanziaria, afferma nel suo principio generale un divieto che ha carattere imperativo, posto che detto divieto laddove non derogato in ragione della sussistenza delle condizioni di ammissibilità dell’assistenza finanziaria è chiaramente diretto ad impedire operazioni che possano determinare un’erosione anche potenziale del capitale sociale, nell’interesse dei creditori della società. L’imperatività del divieto di assistenza finanziaria si scorge nel fatto che il legislatore ha voluto escludere il rischio della non effettività, totale o parziale, del conferimento dei nuovi soci al tempo dell’aumento di capitale, con ricaduta sul patrimonio netto, stante il rischio di inadempimento del socio entrante, inadempimento che sarà riferito all’obbligazione del rimborso del finanziamento, non a quella del conferimento, già adempiuta con i mezzi finanziari messi a disposizione della società. Detto ciò e considerato il divieto di assistenza finanziaria imposto da norma imperativa, deve escludersi che le norme imperative la cui violazione comporta la nullità del contratto siano solo quelle che si riferiscano alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti. L’area delle norme inderogabili, la cui violazione può determinare la nullità del contratto in conformità al disposto dell’art. 1418, co. 1 c.c., è più ampia di quanto parrebbe a prima vista suggerire il riferimento al solo contenuto del contratto medesimo, dovendosi ricomprendere anche le norme che, in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni, oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto, per cui ove il contratto venga stipulato, nonostante il divieto imposto dalla legge, è la stessa sua esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni ancora più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto. Consegue che, ove il collocamento di azioni avvenga nel mancato rispetto delle condizioni previste dall’art. 2358 c.c. e, quindi, in violazione del divieto di assistenza finanziaria, la sanzione comminabile sarà quella della nullità. La disciplina dell’art. 2358 c.c. non può dirsi incompatibile con la finalità mutualistica propria delle cooperative, tanto che l’art. 2529 c.c. prevede una regolamentazione specifica in tema di acquisto di proprie azioni, pur non derogando espressamente alla disciplina delle altre operazioni vietate, quali quelle di assistenza finanziaria. Quanto alla applicabilità dell’art. 2358 c.c. alle banche costituite in forma cooperativa, si osserva che con l’entrata in vigore del Testo Unico Bancario, giusta art. 161, è stato abrogato il D.Lgs. n. 105/1948 che, al suo art. 9, prevedeva la possibilità per la società di accordare anticipazioni ai soci sulle proprie azioni entro i limiti stabiliti caso per caso dall’organo cui per Legge era demandata la vigilanza sulle aziende di credito, limiti che non potevano in ogni caso eccedere il 40% delle riserve legali. Inoltre, il Testo Unico Bancario, introdotto con il D.Lgs. n. 310/2004, al proprio art. 150-bis, indica espressamente quali norme del codice civile non si applicano alle banche popolari, prevedendosi in tal senso gli artt. 2346 co. 6, 2349 co. 2, 2513, 2514 co. 2, nonché gli artt. 2512, 2514 e 2530 co. 1, norme del codice civile antecedenti e successive all’art. 2358 c.c. che così il legislatore non ha ritenuto di escludere dal novero di applicabilità. In altre parole, l’abrogazione del citato art. 9 D.Lgs. n. 105/1948 ed il disposto dell’art. 150-bis T.U.B. autorizzano a ritenere che sussista anche per le banche popolari il divieto di finanziare l’acquisto di proprie azioni secondo il paradigma dell’art. 2358 c.c. [ Continua ]
26 Dicembre 2021

Sulla responsabilità del liquidatore nella vendita del compendio aziendale

In tema di società a responsabilità limitata, la legittimazione all'esercizio dell'azione (sociale) di responsabilità attribuita ai singoli soci, a prescindere dalla quota di partecipazione al capitale sociale posseduta, non si sostituisce, ma si affianca alla legittimazione processuale ordinaria della società quale titolare del relativo diritto risarcitorio e non viene meno con la nomina e con la costituzione in giudizio del curatore speciale della società stessa. Una volta che sia intervenuta la nomina di un curatore speciale, sussiste litisconsorzio necessario tra il singolo socio che ha promosso azione di responsabilità sociale e la società stessa, configurandosi, in tal modo, una concorrente legittimazione attiva in capo al socio. La responsabilità verso la società degli amministratori, liquidatori o soci che hanno autorizzato o deciso il compimento di un atto dannoso, ha, come noto, natura contrattuale e, quindi, sull’attore incombe l’onere di allegare la condotta asseritamente illecita ed il danno eziologicamente ad essa collegato, gravando, invece, sul convenuto un onere di dimostrare il proprio esatto adempimento ovvero la non imputabilità dell’evento dannoso alla sua condotta. In tema di responsabilità degli amministratori di società e, in particolare, di responsabilità derivante non da atti distrattivi bensì da decisioni e/o iniziative assunte nell’esercizio dell’attività di impresa, eventualmente rivelatesi non proficue per il sodalizio, va comunque ribadita la regola (c.d. business judgment rule), dell’insindacabilità, nel merito, delle scelte gestionali da essi operate. Al riguardo, va pure precisato che il divieto per il giudice di valutare le scelte gestionali connotate da discrezionalità vale esclusivamente ove queste siano state effettuate con la dovuta diligenza nell'apprezzamento dei loro presupposti, delle regole di scienza ed esperienza applicate e dei loro possibili risultati. Infatti, la regola del c.d. business judgment rule trova un limite nel corollario della necessaria ragionevolezza dell’agire dell’amministratore nonché nella valutazione della diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all'operazione contestata. Pertanto, è consentito al giudice soltanto di sanzionare le scelte negligenti, o addirittura insensate, manifestamente irrazionali, macroscopicamente ed evidentemente dannose ex ante. In assenza di offerte, occasioni e condizioni migliori, lo scarto tra il prezzo di vendita pattuito dal liquidatore e il valore economico della azienda quantificato in giudizio dal CTU non può costituire, di per sé, danno per la società, in particolar modo qualora il liquidatore, in adempimento dei doveri istituzionali inerenti la sua funzione di estinzione dei debiti societari e di ripartizione tra i soci del residuo attivo, proceda alla dismissione del patrimonio aziendale attraverso un’operazione incentrata sull’accettazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa (se non addirittura, l’unica praticabile) a lui pervenuta al termine di una procedura di scelta condotta secondo criteri di sufficiente trasparenza e correttezza, aperta alla più ampia partecipazione in concreto esigibile. [ Continua ]

Esercizio del diritto di recesso mediante spedizione di lettera raccomandata priva di avviso di ricevimento

Il diritto di recesso deve ritenersi validamente esercitato anche mediante spedizione di lettera raccomandata priva di avviso di ricevimento. Infatti, la lettera raccomandata – anche in mancanza dell’avviso di ricevimento – costituisce prova certa della spedizione attestata dall’ufficio postale attraverso la ricevuta, da cui consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione e dell’ordinaria regolarità del servizio postale, di arrivo dell’atto al destinatario e di conoscenza ex art. 1335 c.c. dello stesso, per cui spetta al destinatario l’onere di dimostrare di essersi trovato senza sua colpa nell’impossibilità di acquisire la conoscenza dell’atto. [ Continua ]

La presunzione di onerosità del mandato ad amministrare nelle società di persone

Qualora il contratto sociale non preveda regole particolari con riferimento all’attribuzione di compenso per l’amministrazione, all’attività del socio amministratore di società di persone si applica la presunzione di onerosità posta dall’art. 1709 c.c. in tema di mandato e, salva la prova di una sua pattizia esclusione, compete all’amministratore un compenso. Tale presunzione di onerosità del mandato ad amministrare può comunque essere vinta dimostrando che la società, in assenza di un’espressa disciplina statutaria, non ha mai remunerato i soci per le attività di amministrazione svolte. [ Continua ]