Il principio normativo identificato dall'espressione "Bolar Clause" scaturisce dalla nota vicenda giudiziaria tra Bolar Pharmaceutical Co. e Roche e dalle istanze di normazione che da tale causa emersero. Tali istanze hanno portato, sul piano europeo, all'adozione della direttiva n. 2001/83/CE poi modificata dalla direttiva 2004/27/CE.
Essa è stata recepita nell'ordinamento italiano all'articolo 68, comma 1, lett. b) del Codice di Proprietà Industriale che prevede che
"La facoltà esclusiva attribuita dal diritto di brevetto non si estende, quale che sia l'oggetto dell'invenzione: [...] b) agli studi e sperimentazioni diretti all'ottenimento, anche in paesi esteri, di un'autorizzazione all'immissione in commercio di un farmaco ed ai conseguenti adempimenti prativi ivi compresi la preparazione e l'utilizzazione delle materie prime farmacologicamente attive a ciò strettamente necessarie".
Reputa il Tribunale che la
ratio sottesa alla clausola Bolar sia certamente quella di agevolare il tempestivo ingresso sul mercato dei farmaci generici one non prolungare "di fatto" la durata della privativa, dal momento he consente di compiere tutte le attività amministrative e di sperimentazione prodromiche all'ottenimento di un'AIC pur in costanza del brevetto di riferimento.
Si tratta dunque di tener conto del fatto che il legislatore comunitario (e quello italiano di conseguenza) ha dovuto realizzare un contemperamento tra contrapposti interessi che fanno capo a titolari di diritti soggettivi di pari dignità: quello del titolare della proprietà industriale che ha un diritto di esclusiva; quello delle imprese che, alla scadenza della privativa, hanno diritto alla piena ed immediata ri-espansione della libertà di iniziativa economica intendendo concorrere sul mercato con il titolare della stessa.
Come è reso evidente dal titolo dell'art. 68 c.p.i., la Bolar clause introduce dei limiti al diritto di esclusiva che la titolarità del brevetto attribuisce, giustificati da distinte esigenze meritevoli di prevalente tutela; limiti che costituiscono, quindi, eccezioni rispetto alla regola della pienezza della privativa brevettuale, la quale, in difetto della disposizioni normativa in commento, imporrebbe di qualificare come contraffazione le condotte ivi previste.
Quale norma che introduce eccezioni, l'art. 68 c.p.i. è norma di stretta interpretazione (come si ricava dall'art. 14 preleggi), principio ermeneutico che, tuttavia, non si contrappone all'interpretazione "estensiva", bensì a quella "analogica" e che non impedisce, quindi, un'interpretazione che consenta di ricavare dalla disposizione il contenuto normativo genuino che è in essa presente,
"attraverso il significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e l'intenzione del legislatore" [ Continua ]