Azione di responsabilità ex art. 2476 c.c. ed azione sociale di responsabilità ex art. 2394 c.c.
L’azione sociale di responsabilità ex art. 2476, III co., c.c., ha natura contrattuale. Essa, infatti, origina dall’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo, ovvero dall’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza e di intervento preventivo e successivo; obblighi tutti che vengono a gravare sugli amministratori in forza del mandato loro conferito e del rapporto che, per effetto della preposizione gestoria e del susseguente inserimento nell’organizzazione sociale, si instaura con la società. Sulla società che agisce grava l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni agli obblighi (che costituiscono obbligazioni di mezzi e non di risultato), i pregiudizi concretamente sofferti ed il nesso eziologico tra l’inadempimento ed il danno prospettato; invece, sull’amministratore grava l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, ovvero di fornire la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi posti a suo carico.
Nell’azione sociale di responsabilità la prescrizione rimane sospesa, ai sensi dell’art. 2941, n. 7, c.c. finché gli amministratori sono in carica.
Nell’azione di cui all’art. 2394 c.c. – norma pacificamente applicabile anche alle società a responsabilità limitata –la legittimazione ad agire compete a coloro che siano titolari di crediti nei confronti della società, ancorché non accertati giudizialmente. Nel caso di fallimento della società, anche tale azione può essere esercitata in via esclusiva dal curatore, come espressamente previsto dall’art. 2394 bis c.c.; la sostituzione della legittimazione del curatore a quella degli originari titolari non si ricollega alla struttura del processo fallimentare, ma è frutto di una scelta del legislatore volta ad assicurare maggior livello di tutela alla curatela. Presupposti necessari e sufficienti per l’esperimento dell’azione sono l’esistenza di un pregiudizio patrimoniale per i creditori (costituito dall’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfarne le rispettive ragioni di credito), la condotta illegittima degli amministratori, nonché un rapporto di causalità tra pregiudizio e condotta, dovendosi, peraltro, commisurare l’entità del danno alla corrispondente riduzione della massa attiva disponibile in favore dei creditori stessi. [fattispecie relativa a fatti verificatisi anteriormente all’introduzione del sesto comma dell’art. 2476 c.c., inserito dall’art. 378, comma 1, D. Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14]
Nell’azione di responsabilità dei creditori sociali, ai fini dell’individuazione del momento iniziale di decorrenza della prescrizione, deve farsi riferimento al momento in cui l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei creditori – presupposto che condiziona l’esperibilità dell’azione, ai sensi dell’art. 2394 c.c., e, quindi, il momento di decorrenza iniziale della prescrizione ex art. 2935 c.c. – è divenuta conoscibile per i creditori medesimi. Tale momento, infatti, deve essere individuato nella data della dichiarazione di fallimento del debitore, salvo che non sia possibile individuare in concreto – individuazione il cui onere è a carico degli amministratori convenuti – un momento anteriore in cui si è manifestata ed è divenuta percepibile all’esterno l’insufficienza patrimoniale.
L’amministratore che deduca di non avere partecipato agli atti di gestione comunque risponde dell’amministrazione societaria, avendo egli, quale amministratore ed indipendentemente dal suo compimento di atti di amministrazione, l’onere di verificare, anche di sua iniziativa, la regolarità degli atti compiuti dal coamministratore.
Il danno per il fallimento derivante dalla mancata consegna della cassa da parte degli amministratori al curatore è in re ipsa.
In una azione di responsabilità il risarcimento del danno dà luogo ad un debito di valore, avendo per contenuto la reintegrazione del patrimonio del danneggiato nella situazione economica preesistente al verificarsi dell’evento dannoso, con la conseguenza che nella liquidazione del risarcimento deve tenersi conto della svalutazione monetaria verificatasi tra il momento in cui si è prodotto il danno e la data della liquidazione definitiva: ciò, peraltro, vale anche se, al momento della sua produzione, il danno consista nella perdita di una determinata somma di denaro, in quanto quest’ultima vale soltanto ad individuare il valore di cui il patrimonio del danneggiato è stato diminuito e può essere assunta come elemento di riferimento per la determinazione dell’entità del danno.
Non è configurabile alcun automatismo nel riconoscimento di interessi compensativi in funzione risarcitoria, con conseguente onere allegatorio e probatorio, anche attraverso presunzioni, a carico del danneggiato per il loro riconoscimento.