Azione di responsabilità promossa dal socio o dal terzo direttamente danneggiato dalla condotta colposa o dolosa degli amministratori: profilo soggettivo e requisito di danno diretto.
Il dolo richiesto dall’art. 2395 c.c. consiste nella volontà di compiere l’atto illecito senza che sia ulteriormente necessario, ad integrare la fattispecie di responsabilità, che il profilo soggettivo sia concretamente diretto contro un determinato soggetto.
In tale prospettiva, occorre, tuttavia, evidenziare che il dolo dell’amministratore deve consistere nella consapevolezza dell’obbiettiva idoneità dell’atto, che si accinge a compiere, a cagionare un danno ai naturali destinatari dello stesso e nella volontà di compierlo nonostante la previsione che un tale danno possa concretamente verificarsi. Parallelamente, la colpa, in armonia con i principi generali elaborati in dottrina ed in giurisprudenza, potrà consistere in un comportamento del pari cosciente, ma in cui l’evento pregiudizievole sia indotto non già da premeditazione, quanto piuttosto da negligenza, imprudenza o imperizia.
L’amministratore incorre in responsabilità anche quando agisce nell’interesse della società e per adempiere i doveri impostigli dalla carica assunta, se, nello svolgimento di tale attività, produce un danno diretto a terzi agendo con dolo o colpa (Cass. n. 8359/2007; Trib. Milano 2 novembre 2000).
L’elemento di diversità dell’azione individuale di responsabilità rispetto all’azione sociale (art. 2393 c.c.) ed a quella dei creditori sociali (art. 2394 c.c.) è rappresentato dall’incidenza “diretta” del danno sul patrimonio del socio o del terzo: mentre l’azione sociale è finalizzata al risarcimento del danno al patrimonio sociale, che incide soltanto indirettamente sul patrimonio dei soci per la perdita di valore delle loro azioni, e l’azione dei creditori sociali mira al pagamento dell’equivalente del credito insoddisfatto a causa dell’insufficienza patrimoniale causata dall’illegittima condotta degli amministratori, e quindi ancora una volta riguarda un danno che costituisce il riflesso della perdita patrimoniale subita dalla società, l’azione individuale in argomento postula la lesione di un diritto soggettivo patrimoniale del socio o del terzo che non sia conseguenza del depauperamento del patrimonio della società (Cass. n. 22573/2014; Cass. n. 8458/2014; Cass. n. 15220/2010; Cass. n. 16416/2007; Cass. n. 8359/2007; Cass. n. 21130/2008). In altre parole, l’avverbio “direttamente” consente di delimitare l’ambito di esperibilità dell’azione chiarendo che se il danno lamentato costituisce solo il riflesso di quello cagionato al patrimonio sociale, si è al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 2395 c.c., in quanto tale norma richiede che il danno abbia investito direttamente il patrimonio del socio o del terzo. I soci di una società di capitali non hanno titolo al risarcimento dei danni che costituiscano mero riflesso del pregiudizio arrecato da terzi alla società, in quanto siano una mera porzione di quello stesso danno subito dalla (e risarcibile in favore della) stessa, con conseguente reintegrazione indiretta a favore del socio; pertanto, un danno non può considerarsi giuridicamente riflesso quando tale possibilità non sussista, come per i danni arrecati alla sfera personale del socio (diritto all’onore o alla reputazione) o per taluni danni patrimoniali – come quelli derivanti dalla perdita di opportunità personali, economiche e lavorative, o dalla riduzione del cd. merito creditizio – i quali vanno risarciti al socio dal terzo responsabile. (Cass. n. 27733/2013).
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Chiara Petruzzi
Avvocato, già tirocinante ex art. 73 d.l. n. 69/2013 presso la Sezione Specializzata in materia d’Impresa del Tribunale di Milano. Cultore della materia presso la cattedra di Istituzioni di diritto privato...(continua)