Azionisti di risparmio, limitazione del diritto d’opzione e prezzo d’emissione al di sotto della parità. Il caso Carige-Malacalza.
Il rappresentante comune degli azionisti di risparmio di società emittenti azioni quotate non è legittimato a far valere in giudizio i pregiudizi patrimoniali in thesi prodottisi nelle sfere patrimoniali dei singoli azionisti di risparmio, rappresentando la sua legittimazione straordinaria a “tutelare gli interessi comuni” di questi, ai sensi dell’art. 2418 c.c. cui l’art. 147, c. 3, del testo unico della finanza rinvia, una eccezione al principio generale stabilito dall’art. 81 c.p.c., a mente del quale “nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”.
Contravviene al divieto di venire contra factum proprium ed agisce in spregio al generale principio di correttezza nonché all’art. 1227 c.c. l’azionista che agisca ai sensi dell’art. 2379-ter c.c. per il risarcimento del danno derivante da una deliberazione di aumento del capitale sociale asseritamente invalida di cui egli ha (i) prima, consentito la favorevole deliberazione da parte dell’assemblea degli azionisti, non partecipando alla stessa e pur potendo da solo, data la propria partecipazione azionaria, impedirne la deliberazione, e (ii) poi, lasciato consolidarne gli effetti, non ricorrendo al Tribunale per la sospensione cautelare ai sensi dell’art. 2378, c. 3, c.c. prima dell’iscrizione dell’attestazione di cui all’art. 2444 c.c., preclusiva della pronuncia di nullità o annullamento nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio ai sensi dell’art. 2379-ter, c. 2, c.c.
Le prescrizioni formali stabilite per la delega di voto c.d. ordinaria dall’art. 135-novies del testo unico della finanza che non siano espressamente richiamate dall’art. 135-undecies del medesimo testo unico a proposito della delega da conferirsi al rappresentante designato dalla società non sono richieste per la validità di quest’ultima forma di delega di voto, considerata la maggior attendibilità che il rappresentante in questione assicura.
La proposta dell’organo amministrativo all’assemblea degli azionisti di aumentare il capitale sociale con esclusione o limitazione del diritto d’opzione ai sensi dell’art. 2441, c. 5, c.c. è soggetta all’applicazione della business judgment rule al pari di altri atti d’amministrazione e pertanto è sindacabile da parte del giudice in sede d’impugnazione solo in termini di manifesta irragionevolezza, di mancata adozione delle necessarie cautele procedimentali o di omessa assunzione di tutte le informazioni che, secondo le circostanze, appaiano rilevanti.
Per escludere o limitare il diritto d’opzione ai sensi dell’art. 2441, c. 5, c.c. è necessario che l’interesse sociale che giustifichi l’esclusione o la limitazione sia serio e consistente, tale da indurre l’organo amministrativo a ritenere che, nella scelta del modo in cui realizzare l’aumento del capitale sociale, sia ritenuto preferibile, perché ragionevolmente più conveniente, il sacrificio totale o parziale del diritto d’opzione medesimo.
Il riferimento dell’art. 2441, c. 6, c.c. al valore “patrimonio netto”, in base al quale deve essere determinato il prezzo d’emissione delle azioni di compendio di un aumento del capitale sociale deliberato con esclusione o limitazione del diritto d’opzione, non è da interpretarsi in accezione letterale di “patrimonio netto contabile” in quanto tale valore non sarebbe significativo del reale valore della società e condurrebbe alla determinazione di un prezzo d’emissione che non esprimerebbe il reale valore di mercato dell’azione.
Il parere sulla congruità del prezzo d’emissione di un aumento del capitale sociale rilasciato in via volontaria da un esperto indipendente all’organo amministrativo non deve necessariamente essere messo a disposizione del pubblico in quanto ciò non è previsto da alcuna disposizione di legge o regolamentare.
Ancorché per effetto della mancata adozione di una deliberazione assembleare dovuta al voto contrario di un azionista derivino, in via di fatto, pregiudizi obiettivi per la società, sia pure in termini di un misurabile deterioramento patrimoniale, non sono imputabili all’azionista in questione i predetti pregiudizi, dovendosi ritenere l’esercizio del voto una libera forma di manifestazione di volontà in senso favorevole o contrario ad una determinata proposta di deliberazione, con l’unico limite dell’abuso del diritto.
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Giovanni Maria Fumarola
Dottore magistrale in giurisprudenza cum laude all'Università commerciale Luigi Bocconi – Cultore ed assistente in diritto commerciale all'Università cattolica del Saro Cuore e all'Università degli Studi di Brescia...(continua)