Brevetto di principio attivo e certificato protettivo complementare
L’articolo 3, lettera a), del regolamento n. 469/2009 dev’essere interpretato nel senso che, per poter ritenere che un principio attivo sia protetto da un brevetto, non è necessario che lo stesso sia menzionato nelle rivendicazioni di tale brevetto mediante una formula strutturale; qualora tale principio attivo sia coperto da una formula funzionale contenuta nelle rivendicazioni di un brevetto rilasciato dall’UEB, tale articolo 3, lettera a), non osta, in linea di principio, al rilascio di un CPC per tale principio attivo, a condizione però che, sulla base di tali rivendicazioni, interpretate in particolare alla luce della descrizione dell’invenzione, sia possibile concludere che tali rivendicazioni si riferivano, implicitamente ma necessariamente e in maniera specifica, al principio attivo di cui trattasi, circostanza che spetta al giudice verificare.
Al titolare di un brevetto di base in vigore non può essere rilasciato un nuovo CPC – eventualmente dotato di un periodo di validità più esteso – ogniqualvolta questi immetta in commercio in uno Stato membro un medicinale contenente, da un lato, un principio attivo protetto in quanto tale dal brevetto di base e che costituisce, secondo gli accertamenti del giudice, l’attività inventiva centrale di tale brevetto; dall’altro, un altro principio attivo che non è protetto in quanto tale da detto brevetto.
Per “prodotto” deve intendersi una combinazione che si configura come un’innovazione totalmente distinta rispetto a ciò che forma oggetto dell’attività inventiva del brevetto di base, essendo invece escluse da tale definizione quelle combinazioni tra il principio attivo inventivo e altri principi noti che – ancorché rivendicate in rivendicazioni dipendenti che fruiscono dei requisiti di inventività di quella principale da cui dipendono – si risolvano in forme di mera somministrazione unitaria di farmaci già usualmente prescritti congiuntamente (quale è il caso di antiipertensivi e diuretici) per i loro noti effetti sinergici, cui non osta alcun pregiudizio tecnico o controindicazione generale e che quindi non hanno richiesto alcuna attività inventiva.
La protezione complementare, in quanto strumento di prolungamento dell’esclusiva brevettuale – che, come tale, costituisce un’eccezione al principio generale della caduta in pubblico dominio – è ammissibile solo ove risponda alla ratio di consentire tale limitato prolungamento limitatamente ed esclusivamente per ciò che rappresenta l’effettiva invenzione oggetto del brevetto.
Il CPC conferisce gli stessi diritti attribuiti dal brevetto di base, cosicché se il titolare di tale medesimo brevetto poteva, durante il suo periodo di validità, opporsi, sul fondamento del suo brevetto, all’impiego o a determinati impieghi del suo prodotto sotto forma di un medicinale costituito da o contenente tale prodotto, il CPC rilasciato per lo stesso prodotto gli conferirà gli stessi diritti per qualsiasi impiego del prodotto, in quanto medicinale, che sia stato autorizzato prima della scadenza di detto certificato.
Ove una composizione, costituita da un principio attivo innovativo che ha già beneficiato di un CPC e da un altro principio attivo non protetto, in quanto tale dal brevetto sia oggetto di un nuovo brevetto di base ai sensi dell’articolo 1, lettera c), del regolamento n. 469/2009, quest’ultimo brevetto, riguardando un’innovazione totalmente distinta, potrebbe dare diritto a un CPC per tale nuova composizione immessa successivamente in commercio.
Ai sensi dell’articolo 9 della direttiva n. 48/2004 (c.d. direttiva enforcement), la revoca o la decadenza di una misura cautelare, conseguente ad un’azione od omissione dell’attore oppure all’insussistenza della violazione contestata, consente al convenuto di domandare il risarcimento del danno arrecato dall’applicazione della misura provvisoria, dovendo comunque il giudice verificare la sussistenza di un comportamento negligente di chi ha agito in sede cautelare tale, da determinarne una responsabilità sanzionabile.Ove si agisca in sede cautelare a tutela di un marchio o di un brevetto, il timore di un pregiudizio grave e irreparabile dedotto dal ricorrente non deve avere necessariamente una connotazione economica, ma ben può tradursi nel timore di una perdita di clientela o di notorietà del marchio, danni tipicamente non riparabili tramite un mero ristoro economico.
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Giorgio Grossi
AmministratoreAvvocato, già tirocinante ex art. 73 d.l. n. 69/2013 presso la Sezione Specializzata in materia d'Impresa del Tribunale di Milano. Cultore della materia presso la cattedra di Diritto Commerciale dell'Università...(continua)