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Corte d’appello di Milano


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Determinazione del danno da violazione degli obblighi ex art. 2486 c.c.

Per liquidare il danno derivante da una gestione della società condotta in spregio dell’obbligo di cui all’art. 2449 cod. civ. (vecchio testo), ovvero dell’attuale 2486 cod. civ., il giudice può ricorrere in via equitativa, nel caso di impossibilità di una ricostruzione analitica dovuta all’incompletezza dei dati contabili ovvero alla notevole anteriorità della perdita del capitale sociale rispetto alla dichiarazione di fallimento, al criterio presuntivo della differenza dei netti patrimoniali. La condizione è che tale ricorso sia congruente con le circostanze del caso concreto, e che quindi sia stato dall’attore allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato e siano state specificate le ragioni impeditive di un rigoroso distinto accertamento degli effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta (così Cass. 9983/2017).
Nel caso in cui l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società trovi fondamento nella violazione del divieto di intraprendere nuove operazioni, a seguito dello scioglimento della società derivante dalla riduzione del capitale sociale al di sotto dei limiti previsti dall’art. 2447 cod. civ., non è giustificata la liquidazione del danno in misura pari alla differenza tra l’attivo ed il passivo accertati in sede fallimentare, non essendo configurabile l’intero passivo come frutto delle nuove operazioni intraprese dagli amministratori, ma dovendosi ascrivere lo stesso, almeno in parte, alle perdite pregresse che avevano logorato il capitale (così Cass. n. 16211/2007).
Nel caso in cui l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società trovi fondamento nella violazione del divieto di intraprendere nuove operazioni, a seguito dello scioglimento della società derivante dalla riduzione del capitale sociale al di sotto dei limiti previsti dall’art. 2447 cod. civ., non è giustificata, in mancanza di uno specifico accertamento in proposito, la liquidazione del danno in misura pari alla perdita incrementale derivante dalla prosecuzione dell’attività, poiché non tutta la perdita riscontrata dopo il verificarsi della causa di scioglimento può essere riferita alla prosecuzione dell’attività medesima, potendo in parte comunque prodursi anche in pendenza della liquidazione o durante il fallimento, per il solo fatto della svalutazione dei cespiti aziendali, in ragione del venir meno dell’efficienza produttiva e dell’operatività dell’impresa (così Cass. n. 17033/2008).

Il CTU e i profili di contestazione riguardanti le sue competenze tecniche rispetto al settore cui si riferisce il brevetto

La scelta del consulente tecnico è atto discrezionale del giudice e spetta alla parte contestarne le competenze tecniche rispetto al settore del quale è stato ritenuto esperto dal Tribunale; infatti la circostanza che il consulente tecnico sia laureato in una materia che non coincide con il settore tecnico del brevetto è di per sé irrilevante laddove il consulente, iscritto all’albo dei Consulenti in Proprietà Industriale, operi da anni quale CTU nominato dal Tribunale. In caso di carente descrizione del brevetto e di estensione del suo oggetto oltre la domanda originaria, non è possibile invocare le conoscenze generali del settore che devono essere possedute dal tecnico medio del ramo, ma è necessario sottoporre al CTU, mediante il richiamo specifico ai testi, quali informazioni in essi contenute potrebbero essere proficuamente utilizzate per integrare la descrizione lacunosa del brevetto.

Assenza di apposita clausola di sell-off: l’uso del marchio fuori dal periodo di durata della licenza è ammissibile solo per un periodo congruo al fine di bilanciare gli interessi delle parti

Il venire meno del titolo contrattuale che autorizza l’utilizzo dei segni distintivi fa venire meno il consenso all’utilizzazione dei detti segni distintivi. Purtuttavia, successivamente alla scadenza del contratto di licenza, si può pattuire un termine per la lecita commercializzazione delle scorte o, in caso di mancata previsione, può giustificarsi -in base al canone di buona fede, che sempre deve presiedere i rapporti contrattuali- un circoscritto termine finalizzato allo smaltimento delle scorte. Nel contemperamento degli opposti interessi del titolare del segno e dell’ex licenziatario, in mancanza di un’espressa previsione, il periodo temporale di commercializzazione, successivo alla scadenza del contratto di licenza, deve essere limitato secondo criteri di equità, tenendo conto, da un lato, della natura di diritto assoluto della privativa e, dall’altro, della legittima aspettativa dell’ex licenziatario in buona fede allo smaltimento di giacenze prodotte nel periodo di vigenza del contratto. Tale periodo va circoscritto, tenendo presente gli elementi e le peculiarità del caso di specie e, in particolare, valutando la durata dei rapporti contrattuali e le quantità di prodotti oggetto della produzione. In base agli usi, quando non sia prevista dalle parti una espressa clausola di sell off, si ritiene congruo, per il lecito smaltimento di giacenze, un arco temporale individuabile tra i tre e i sei mesi. La liceità dell’uso del segno è circoscritta alla finalità dello smaltimento delle giacenze e, quindi, non può scriminare condotte volte a promuovere nuovi prodotti, come la promozione e la pubblicizzazione di nuovi modelli, attraverso nuovi cataloghi relativi ad anni successivi alla cessazione della licenza. Tale condotta consentirebbe surrettiziamente l’uso dei segni distintivi altrui, in palese violazione dei diritti assoluti di privativa, per un periodo di tempo indefinito e di gran lunga superiore a quelli riconducibili alla legittima aspettativa dell’ex licenziatario.[Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto incongruo un periodo di due anni successivi alla cessazione del contratto di licenza, ai fini del lecito smaltimento delle giacenze. Esso è infatti eccessivo rispetto agli usi, nonché valutando in concreto la durata biennale del contratto di licenza, addirittura uguagliato, se non superato, dal periodo successivo di utilizzazione non autorizzato dei segni distintivi].

 

 

 

Riscatto e termini di decadenza

L’art. 2437-sexies c.c. si limita ad operare un rinvio alla disciplina di cui agli artt. 2437-ter e 2437 quater c.c. relativi alla determinazione del valore delle azioni e all’iter di liquidazione, restando, invece, escluso il richiamo, operato a sua volta in via indiretta, dall’art. 2437-ter comma 6 c.c. ai relativi termini di decadenza ex art. 2437-bis comma 1 c.c. sia per l’esercizio del diritto di recesso, sia per la contestazione della valorizzazione delle azioni.

Tale esclusione risponde alla differente prospettiva della società a fronte dell’esercizio del recesso da parte di un socio e di quella della società a fronte dell’esercizio da parte di se stessa del riscatto delle azioni. Nel primo caso, infatti, vi è una chiara posizione di soggezione della società rispetto all’esercizio del diritto potestativo del socio e correlativamente un’esigenza di celerità e di rapida stabilizzazione degli assetti societari. Nel secondo caso, invece, la società ha tutto l’agio di decidere i tempi del riscatto.

Opere collettive e risarcimento del danno autorale

I diritti di utilizzazione economica dell’opera collettiva in sé di cui agli art. 12 e segg. l.d.a. (compreso quindi il diritto di elaborazione dell’opera originaria, di cui agli art. 18 e 4 l.d.a.) spettano, salvo patto contrario, all’editore, mentre il diritto morale d’autore sulla stessa spetta a chi ha diretto e organizzato l’opera (che può ovviamente essere anche soggetto diverso dall’editore e, ai sensi dell’art.11 l.d.a., può essere anche un ente privato che non persegue scopi di lucro) e tutti i diritti, morale e di utilizzazione economica in altra forma (cioè in forma diversa dalla riproduzione o dalla elaborazione dell’originaria opera collettiva), dei singoli contributi, raccolti nell’opera collettiva, spettano agli autori degli stessi.