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Corte d’appello di Milano


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Sui compensi degli amministratori di società di capitali

Il diritto al compenso degli amministratori di società di capitali è un diritto disponibile che può essere derogato ed escluso in forza di una previsione statutaria o di una deliberazione assembleare che sancisca la gratuità dell’incarico.

In presenza di una clausola statutaria che preveda espressamente la mera facoltà di assegnare agli amministratori un’indennità annuale in misura fissa ovvero un compenso proporzionale agli utili d’esercizio, l’erogazione del compenso è solo eventuale e, comunque, subordinata a una preventiva delibera assembleare che determini, altresì, la misura del compenso spettante a ciascun amministratore.

Clausola compromissoria statutaria e giudizio di rendiconto ex art. 263 c.p.c.

La clausola compromissoria, contenuta nello statuto di una società in accomandita semplice, che preveda la devoluzione ad arbitri delle controversie insorte tra i soci o fra alcuni di essi e la società connesse all’esecuzione del contratto sociale, deve ritenersi estesa al giudizio di rendiconto ex art. 263 c.p.c. avente ad oggetto l’inadempimento agli obblighi di cui agli artt. 2261, 2320 e 1713 c.c.: infatti, tali controversie rientrano tra quelle derivanti dall’esecuzione del contratto sociale, dal momento che proprio a questo ambito attiene l’obbligo di rendicontazione dell’amministratore.

L’arbitrato irrituale comporta per sua natura la rinuncia delle parti ad avvalersi della tutela giurisdizionale e, pertanto, la decisione dell’autorità giudiziaria affermativa dell’esistenza dell’arbitrato irrituale pone non già una questione di competenza, ma una questione preliminare di merito che implica l’improponibilità della domanda per rinuncia preventiva all’azione giudiziaria ed alla giurisdizione dello Stato.

Legittimazione attiva della società fiduciaria a far valere domande risarcitorie ex art. 2395 c.c. per i titoli intestati fiduciariamente

In assenza di una specifica indicazione di diritto positivo, il negozio di intestazione fiduciaria di partecipazioni in favore di società fiduciarie di cui alla L. n. 1966/1939 deve essere ricondotto allo schema della fiducia germanistica, in base al quale la società fiduciaria non è la titolare effettiva e sostanziale dell’investimento e non è legittimata a fare valere, in nome proprio, alcun diritto risarcitorio derivante dalla lesione del patrimonio, poiché tale diritto spetta in via esclusiva al fiduciante, che rimane il titolare effettivo del diritto e può esercitare l’azione di rivendicazione in caso di uso del bene contrario allo scopo convenuto. Il fiduciario, che agisce in base alle direttive impartite dal fiduciante, ha il compito di amministrare, per conto del fiduciante, il suo patrimonio, ma non può disporre della proprietà del bene rimasta in capo al fiduciante.

L’attività di amministrazione compiuta dalla società fiduciaria è qualificabile come mandato senza rappresentanza, con la conseguenza che le azioni a tutela della proprietà dei beni spettano al fiduciante, mentre quelle inerenti alla gestione dei beni affidati spettano al fiduciario.

Concorrenza sleale: tra sviamento di clientela e (liceità della) libertà di iniziativa economica

In tema di concorrenza sleale per sviamento di clientela, l’illiceità della condotta non dev’essere ricercata episodicamente, ma va desunta dalla qualificazione tendenziale dell’insieme della manovra posta in essere per danneggiare il concorrente, o per approfittare sistematicamente del suo avviamento sul mercato. Pertanto, mentre è contraria alle norme di correttezza imprenditoriale l’acquisizione sistematica, da parte di un ex dipendente che abbia intrapreso un’autonoma attività imprenditoriale, di clienti del precedente datore di lavoro il cui avviamento costituisca, soprattutto nella fase iniziale, il terreno dell’attività elettiva della nuova impresa, più facilmente praticabile proprio in virtù delle conoscenze riservate precedentemente acquisite, deve ritenersi fisiologico il fatto che il nuovo imprenditore, nella sua opera di proposizione e promozione sul mercato della sua nuova attività, acquisisca o tenti di acquisire anche alcuni clienti già in rapporti con l’impresa alle cui dipendenze aveva prestato lavoro.

Attività da direzione e coordinamento – presunzione e onere probatorio

Ai fini della configurabilità dell’esercizio di attività da direzione e coordinamento ex art. 2497 c.c. il ricorso alla presunzione ex art. 2497 sexies c.c. non soddisfa pienamente l’onere probatorio, essendo necessario, per colui che agisce ex art. 2497 c.c., allegare gli elementi costitutivi dell’abuso dell’attività da direzione e coordinamento dovendo provare l’esercizio in fatto dell’eterodirezione con riguardo alle operazioni gestorie contestate.

Contraffazione di marchio forte

In presenza di un marchio forte sono illegittime tutte le variazioni e modificazioni, anche se rilevanti ed originali, che lascino sussistere l’identità sostanziale del ‘cuore’ del marchio, ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume caratterizzando la sua spiccata attitudine individualizzante.

Si definisce “marchio forte” il segno privo di attinenza e concettualmente distante dal prodotto da esso contraddistinto.

La percezione da parte del pubblico di un segno come ornamento non può rappresentare un ostacolo alla protezione conferita dall’art. 5, n. 1, lett. b), della direttiva allorché, nonostante il suo carattere decorativo, il detto segno presenta una somiglianza con il marchio registrato tale che il pubblico interessato può credere che i prodotti provengano dalla stessa impresa o, eventualmente, da imprese collegate economicamente.

L’apprezzamento della somiglianza tra il marchio registrato e il segno asseritamente contraffattorio deve compiersi “non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica” (Cass. civ. 15840/2015; Cass. civ. 3118/2015; Cass. civ. 1906/2010) e “con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici visivi, mediante una valutazione di impressione che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e che va condotta in riferimento alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori di quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere eseguito tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo mnemonico dell’altro” (Cass. civ. 4405/2006).

In relazione al marchio forte, il giudizio di confondibilità deve avvenire valutando l’attinenza del segno asseritamente contraffattorio al c.d. “nucleo ideologico caratterizzante il messaggio” del marchio registrato.

La differenza qualitativa dei prodotti e la differenza di prezzo, anche se notevole, non elimina il rischio di confusione essendo possibile, anzi probabile, che il consumatore meno avveduto sia indotto a ritenere che la stessa impresa produca a prezzi diversi prodotti di diversa qualità.

Danno da abusiva attività di direzione e coordinamento: legittimazione attiva e prescrizione dell’azione

L’azione svolta ai sensi dell’art. 2497 c.c. è posta a tutela di un diritto risarcitorio del socio della società eterodiretta, il quale fa valere un danno riflesso, ma proprio, per la perdita di valore e redditività della partecipazione, cagionato dall’abusiva attività di direzione e coordinamento della capogruppo. La qualità di socio della società eterodiretta nel momento in cui viene realizzata la condotta abusiva della capogruppo è sufficiente per legittimare la richiesta risarcitoria. Infatti, poiché tale richiesta riguarda un diritto entrato nel patrimonio del socio attore per effetto della condotta abusiva contestata, è irrilevante che la qualità di socio sia venuta a cessare nel corso del giudizio.

Indipendentemente dalla qualificazione dell’azione ex art. 2497 c.c. come contrattuale o extracontrattuale, il diritto con essa azionato rientra nel novero dei diritti derivanti da rapporti sociali. Pertanto, a tale diritto si applica il termine prescrizionale breve di cinque anni di cui all’art. 2949 c.c., con dies a quo individuato nel momento in cui è risultato conoscibile il pregiudizio agli interessi sociali.

La proposizione di ricorso ex art. 2409 c.c. non interrompe la prescrizione del diritto al risarcimento del danno cagionato al socio da abusiva attività di direzione e coordinamento in quanto tale ricorso è inteso ad apprestare rimedi volti a rimuovere la situazione irregolare e non contiene alcuna richiesta di tipo risarcitorio come, invece, quella azionata ex art. 2497 c.c.