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Tribunale di Firenze


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5 Ottobre 2023

L’azione civile di risarcimento e il trasferimento in sede penale

Il trasferimento dell’azione civile in sede penale è un fenomeno opposto rispetto al frazionamento della domanda. Infatti, mentre il trasferimento integra una fattispecie di litispendenza processuale che, per evitare un bis in idem, determina l’estinzione della prima domanda proposta, il frazionamento presuppone la diversità delle domande di risarcimento che ne esclude, pertanto, la possibilità di un conflitto tra giudicati. Per la valutazione della sussitenza del presupposto della litispendenza, e quindi del fenomento del trasferimento dell’azione, è necessario che vi sia l’identità oggettiva delle domande valutata sulla base delle richieste concretamente avanzate dall’attore.

L’unitarietà del diritto al risarcimento ed il suo riflesso processuale dell’ordinaria infrazionabilità del giudizio di liquidazione (scaturente dal rispetto dei canoni della concentrazione e della correttezza processuale) comportano che, quando un soggetto agisca in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni a lui cagionati da un dato comportamento del convenuto, la domanda si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta. Pertanto, quale ulteriore logica conseguenza, non è ammissibile che taluno agisca in giudizio per il risarcimento del danno esponendo in proposito determinate voci e, poi, definito il giudizio con il giudicato, chieda “ex novo” il risarcimento di altri danni derivanti dallo stesso fatto, ma in relazione a nuove voci, diverse da quelle prima esposte, fatta salva l’ipotesi (espressione del principio dispositivo della domanda di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c.) che la limitazione soltanto ad alcune voci, risolvendosi sostanzialmente nell’abbandono del relativo diritto, possa desumersi da una volontà inequivoca della parte. Il danneggiato che non dimostri di avervi un interesse oggettivamente valutabile non può, in presenza di un unitario fatto illecito lesivo di cose e persone, frazionare la tutela giudiziaria, agendo separatamente per il risarcimento dei danni patrimoniali e di quelli non patrimoniali, poiché tale condotta aggrava la posizione del danneggiante-debitore e causa ingiustificato aggravio del sistema giudiziario.

18 Settembre 2023

Presupposti per la responsabilità dei sindaci per omesso controllo

In tema di responsabilità degli organi sociali, la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407, comma 2, c.c. non richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma occorre comunque che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, il che implica la sussistenza e l’individuazione di anomalie, se non di macroscopiche violazioni, che avrebbero imposto ai sindaci un’azione di informazione ed eventualmente di contrasto.

Sulla prescrizione dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 LF

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare ai sensi dell’art. 146 LF, salvo che risulti diversamente, assomma in sé quella sociale (art. 2393 c.c.) e quella dei creditori (art. 2394 c.c.) – ciascuna mantenendo le caratteristiche sue proprie – e di conseguenza il diritto al risarcimento può considerarsi estinto solo se è decorso il termine quinquennale per ambedue le azioni. A tal riguardo il diritto al risarcimento che spetta alla società verso gli amministratori si estingue dopo cinque anni dalla cessazione del mandato di gestione, mentre il diritto al risarcimento che spetta ai creditori si prescrive in cinque anni dall’evidenza dell’insufficienza patrimoniale colpevolmente provocata dagli organi sociali.

Patti parasociali: criteri di interpretazione dei contenuti del contratto e limiti all’adempimento dei paciscenti

La domanda di accertamento del significato di un patto parasociale passa attraverso l’individuazione del quadro dei vincoli di fonte negoziale intervenuti e operanti tra le parti e, ancor prima, dell’individuazione dei relativi effetti e dei soggetti vincolati, ottenibile mediante l’interpretazione degli accordi intercorsi, alla luce dei criteri fondamentali, da applicarsi senza necessità di riconoscere alcuna priorità al senso strettamente letterale: (i) dell’esame del dato letterale e della comune intenzione delle parti, nonché della valutazione del comportamento complessivo tenuto dalle medesime anche successivamente alla stipulazione (ex art. 1362 c.c.), fermo restando che oggetto della ricerca ermeneutica è il significato oggettivo del testo, rispetto al quale il senso letterale delle parole è il primo, ma non esclusivo strumento, imponendosi un’indagine comprensiva dell’elemento logico, in un razionale gradualismo dei mezzi di interpretazione che devono fondersi e armonizzarsi; (ii) della valutazione congiunta delle clausole nel loro insieme (art. 1363 c.c.); (iii) della buona fede interpretativa (art. 1366 c.c.); (iv) dell’interpretazione utile (art. 1367 c.c.); nonché avuto, comunque, riguardo alla causa in concreto, intesa come lo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto.

L’onere processuale incombente sulla parte attrice asserita creditrice, nelle azioni contrattuali, ricomprende, oltre all’allegazione dell’inadempimento, anche e ancor prima la prova del titolo negoziale costituente la fonte genetica della pretesa creditoria azionata; prova includente quella della ricorrenza in concreto dei presupposti fattuali che determinano l’insorgenza e l’operatività degli obblighi asseritamente disattesi e la cui assoluzione presuppone, a monte, la puntuale delineazione del contenuto e dei limiti dell’impegno contrattualmente assunto e asseritamente inadempiuto.

In nome del principio di buona fede, in forza del quale ogni contraente è tenuto, nell’esecuzione del contratto, alla salvaguardia dell’interesse perseguito dalla controparte con la pattuizione, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio dell’interesse proprio, l’estensione e il contenuto degli obblighi giuridicamente cogenti del patto parasociale e delle condotte adempitive dell’obbligo assunto con la pattuizione non può condurre il paciscente sino alla violazione di norme di legge imperative o al compimento di atti illeciti, tali da esporlo a responsabilità nei confronti della società: donde, se è pur vero che la natura extrasociale del patto può condurre a incorrere in responsabilità da inadempimento nei confronti delle controparti il contraente che esprima il proprio diritto di voto in maniera divergente dall’impegno assunto, pur nell’ambito di una delibera normativamente conforme e pertanto valida ed efficace erga omnes, non è invece vero l’opposto, non essendo possibile ritenere rimproverabile e fonte di danno sine iure l’omissione, da parte del paciscente, di condotte che, pur necessarie e idonee alla realizzazione dell’interesse perseguito della controparte, implichino la violazione di norme e doveri di legge o statutari.

13 Luglio 2023

Eccezione di nullità di modelli e disegni comunitari, preclusioni documentali e c.t.u.; il terzo nell’illecito concorrenziale

La nullità dei modelli o disegni tutelati da brevetti comunitari e dal brevetto internazionale con efficacia comunitaria non è rilevabile d’ufficio; la legittimazione a sollevare la suddetta eccezione di nullità non è riconosciuta a chiunque vi abbia interesse (com’è per la domanda), ma soltanto a coloro che facciano valere l’esistenza di un proprio diritto nazionale anteriore.

L’art. 121.5 CPI consente al CTU, in deroga alle norme ordinarie, di ricevere ed esaminare i documenti inerenti ai quesiti posti anche se non ancora prodotti in causa, consentendo così di superare, in materia, le preclusioni del codice di rito. Dunque, nessuna inammissibilità può derivare da una tardiva produzione documentale.

Non è sufficiente sollevare una eccezione di nullità di plurimi brevetti, per difetto di novità, senza specificare – o specificando solo per alcuni di essi – da cosa sarebbe determinata l’invalidità. Se questa, in particolare, deriva da una predivulgazione, elencare le anticipazioni di alcuni brevetti non può significare sollevare l’eccezione di nullità anche con riferimento agli altri; e lo stesso deve dirsi con riguardo al difetto di carattere individuale.

La relazione di interessi tra autore dell’atto ed imprenditore avvantaggiato deve essere ricondotta alla situazione concorrenziale e, quindi, unita ad uno stato soggettivo caratterizzato dalla conoscenza – effettiva o dovuta – dell’illecito nel quale essa va ad inserirsi: diversamente, la responsabilità del terzo finirebbe per essere affermata sulla base non di una presunzione di colpa, ma di una partecipazione oggettiva all’illecito, quand’anche inconsapevole ed incolpevole.

10 Luglio 2023

Revoca dell’amministrazione senza giusta causa

Se potenzialmente qualsiasi situazione sopravvenuta, anche estranea all’operato degli amministratori, è suscettibile di elidere e far venir meno il patto fiduciario tra soci e consiglio di amministrazione, le cause della rottura del pactum devono comunque poter essere chiaramente dedotte dalla delibera assembleare di revoca dell’amministratore. La facoltà di revocare a propria discrezione gli amministratori trova infatti un limite nel presupposto della giusta causa, le cui ragioni devono essere, quindi, esposte nella delibera. L’indicazione delle ragioni nella delibera è imposta dalla circostanza che la revoca è atto dell’assemblea e in seno ad essa le ragioni della revoca trovano la loro ponderazione e valutazione. Occorre l’enunciazione esplicita a verbale in ordine alle ragioni di revoca, che devono presentare i caratteri di effettività ed essere ivi riportate in modo adeguatamente specifico; mentre la deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori non è ammessa, restando esse ormai quelle indicate nella deliberazione.

Nel caso di revoca dell’incarico di amministratore senza giusta causa, il danno consiste nel lucro cessante, cioè nel compenso non percepito per il periodo in cui l’amministratore avrebbe conservato il suo ufficio, se non fosse intervenuta la revoca.