Tribunale di Milano
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Diritto di recesso per modifica dell’oggetto sociale
Nelle società per azioni, la deliberazione dell’assemblea straordinaria avente ad oggetto la modifica dell’oggetto sociale legittima il socio a esercitare il diritto di recesso esclusivamente nel caso in cui la variazione della clausola statutaria riguardante l’attività economica che la società può, e deve, svolgere sia significativa, cioè tale da determinare il mutamento delle condizioni di rischio inerenti alle partecipazioni sociali e, più in generale, della potenziale redditività della società in ottica futura. In particolare, la deliberazione deve apportare una modifica concreta alla clausola statutaria sull’oggetto sociale, ampliando ovvero riducendo il novero delle attività esercitabili dalla società. Pertanto, ai fini di valutare la significatività del cambiamento nelle attività sociali legittimante il recesso, risulta necessario esperire un vaglio di stampo comparatistico tra le diverse formulazioni della clausola sull’oggetto sociale, individuando sia le attività prima indicate in statuto e poi escluse, sia le attività prima non ricomprese e successivamente aggiunte con deliberazione assembleare. Non vale a escludere il legittimo esercizio del diritto di recesso del socio la circostanza per cui la società continui a svolgere di fatto determinate attività, nonostante la rimozione delle stesse dal testo della nuova clausola statutaria. Risultano irrilevanti ai fini del recesso sia i mutamenti non significativi dell’oggetto sociale, sia le mere modificazioni di fatto dell’attività in concreto svolta dalla società, queste ultime potendo determinare conseguenze esclusivamente sul piano della responsabilità degli amministratori per la gestione.
La volontaria giurisdizione si distingue dalla giurisdizione contenziosa poiché ha ad oggetto la gestione di interessi e non la risoluzione di una controversia giuridica su diritti soggettivi o status. Ciò non esclude tuttavia che il presupposto o la condizione della tutela volontaria possa essere la sussistenza di una situazione giuridica sostanziale di natura contenziosa, con conseguente esigenza di un accertamento circa la sussistenza del diritto controverso preliminare e condizionante il provvedimento camerale oggetto del giudizio della volontaria giurisdizione. In tali casi il giudice, chiamato a esercitare le funzioni volontarie, necessariamente conosce incidenter tantum la questione preliminare. Con la conseguenza che l’esame sulla ricorrenza del diritto soggettivo o dello status presupposto dell’azione è compiuto senza valore di cosa giudicata.
I rimedi contrattuali applicabili alla cessione di una partecipazione azionaria
La cessione delle azioni di una società di capitali o di persone ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale – e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione – possono giustificare l’annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell’art. 1497 c.c., la risoluzione per difetto di “qualità” della cosa venduta (necessariamente attinente ai diritti e obblighi che, in concreto, la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire e non al suo valore economico), solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l’inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza.
L’oggetto immediato della vendita di azioni è la partecipazione sociale e si estende alla consistenza o al valore del patrimonio solo per effetto di specifiche pattuizioni, frutto di autonomia contrattuale, sia perché è indiscutibile, sul piano giuridico, la alterità oggettiva tra la partecipazione oggetto di contratto ed il patrimonio della società, che appartiene ad altro soggetto giuridico e sul quale il socio non vanta diritti – sorgendo i suoi diritti non solo amministrativi ma anche patrimoniali rispetto alla società come soggetto giuridico altro da sé -, sia perché, sul piano economico, le parti del contratto di cessione ben possono tutelare i propri interessi inserendo apposite clausole di dichiarazioni e garanzie eventualmente anche ad effetto risolutivo, sia perché la prassi degli affari ha ormai da tempo individuato acconce clausole capaci di tutelare pienamente il cessionario, sia perché diverse impostazioni ermeneutiche finiscono inevitabilmente per aprire spazi di incertezza applicativa particolarmente disfunzionali in questa delicata materia.
Perfezionamento della notifica e inammissibilità delle prove prodotte per la prima volta in appello
Il momento di perfezionamento per il destinatario della notificazione eseguita con le formalità dell’art. 140 c.p.c. è la data del ricevimento della raccomandata informativa e, in ogni caso, la data di decorrenza del termine di dieci giorni dalla relativa spedizione; pertanto, in sostanza per la verifica dell’epoca di perfezionamento della notifica è necessario avere riguardo alla scadenza del termine di dieci giorni dalla spedizione della raccomandata informativa o alla data del ricevimento della stessa se anteriore. Fermo restando il fatto che, ai fini della valida ed effettiva conclusione del procedimento notificatorio, è sempre necessaria la prova dell’avvenuta ricezione da parte del destinatario della raccomandata informativa, essendo anche il perfezionamento della notificazione ex art. 140 c.p.c. nei confronti del destinatario costruito come fattispecie a formazione progressiva ove l’effetto provvisorio di perfezionamento alla data della spedizione della raccomandata informativa si consolida con l’effettivo ricevimento della stessa.
Per il deposito in appello di documenti già prodotti nel primo grado, la parte è onerata di dimostrare che gli stessi coincidono con quelli già presentati al primo giudice in osservanza degli adempimenti prescritti dagli artt. 74 e 87 disp. att. c.p.c. In difetto, è precluso al giudice dell’impugnazione l’esame della produzione, senza che rilevi la mancata opposizione della controparte, non trattandosi di salvaguardare il principio del contradditorio sulla prova, bensì di assicurare il rispetto della regola, di ordine pubblico processuale, stabilita dall’art. 345, co. 3, c.p.c.
Il margine di libertà deve essere valutato alla luce dei vincoli di progettazione
Nel giudizio di interferenza, la valutazione dell’ampiezza del margine di libertà – che attiene in sé alla valutazione del carattere di individualità richiesto per la validità della registrazione – induce a tener conto dell’esistenza di vincoli di progettazione specifici che attengano alla particolare tipologia di prodotto e si connettono all’esistenza di caratteristiche imposte dalla peculiare funzione tecnica del prodotto, eventualmente derivanti anche da prescrizioni legislative.
Il danno da lucro cessante va calcolato tenendo conto dell’utile marginale
Il titolare del diritto di privativa leso può chiedere di essere ristorato del danno patito invocando il criterio costituito dal margine di utile del titolare del brevetto applicato al fatturato dei prodotti contraffatti, realizzato dal contraffattore, di cui all’art. 125 c.p.i., alla luce del quale il danno va liquidato sempre tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto, vale a dire considerando l’effettivo margine di profitto conseguito, previa, quindi, deduzione dei costi sostenuti dal ricavo totale.
Il danno da lucro cessante, invero, corrisponde al mancato guadagno o profitto del titolare della privativa, dato dalla differenza tra i flussi di vendita che lo stesso avrebbe avuto senza la contraffazione e quelli che ha effettivamente ricevuto. Si parla, ai fini di quantificare il guadagno perso, anche di utile marginale, costituito dalla differenza tra il ricavo che sarebbe derivato da unità di prodotto aggiuntive, rispetto a quelle in concreto commercializzate, ed il costo marginale, comprensivo di tutti i costi che sarebbero stati sostenuti per produrre quelle unità aggiuntive.
Responsabilità di amministratori, sindaci e revisore
Gli elementi costitutivi della fattispecie integrante la responsabilità solidale degli amministratori non esecutivi sono, sotto il profilo oggettivo, la condotta d’inerzia, il fatto pregiudizievole anti doveroso altrui e il nesso causale tra i medesimi e, sotto il profilo soggettivo, almeno la colpa, i cui caratteri risultano indicati all’art. 2392 c.c. La norma stabilisce che la colpa può consistere o nell’inadeguata conoscenza del fatto di altri, il quale in concreto abbia cagionato il danno, o nel non essersi il soggetto con diligenza utilmente attivato al fine di evitare l’evento, aspetti entrambi ricompresi nel concetto di essere immuni da colpa. La regola della responsabilità solidale e presunta come paritaria in capo a tutti i componenti dell’organo gestorio viene meno, però, a fronte della prova della concreta insussistenza o ininfluenza della condotta di taluno nella causazione del danno. Permane ai sensi dell’art. 2381 c.c. il dovere di vigilare sul generale andamento della società rispetto al quale non ha alcun rilievo il difetto di delega, salva la prova che gli altri consiglieri, pur essendosi diligentemente attivati, non abbiano potuto in concreto esercitare detta vigilanza a causa del comportamento ostativo degli altri componenti del consiglio.
I presupposti della responsabilità dei sindaci, in concorso con quella degli amministratori, sono: la commissione, da parte degli amministratori, di un atto di mala gestio, la derivazione causale da tale atto di un danno a carico della società ex art. 2393 c.c., la derivazione di un danno dall’omessa o inadeguata vigilanza sull’operato degli amministratori da parte dei sindaci. Compito essenziale ex art. 2403 c.c. dell’organo di controllo è di verificare, secondo la diligenza professionale ex art. 1176 c.c., il rispetto dei principi di corretta amministrazione, controllando in ogni tempo che gli amministratori compiano la scelta gestoria nell’osservanza di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale, alla stregua delle circostanze del caso concreto. I doveri di controllo imposti ai sindaci sono contraddistinti da particolare ampiezza, si estendono a tutta l’attività sociale in funzione della tutela e dell’interesse dei soci e di quello concorrente dei creditori sociali. Il sindaco non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale in ragione della sua mera posizione di garanzia; si esige tuttavia, a fini dell’esonero dalla responsabilità, che egli abbia esercitato o tentato di esercitare l’intera gamma dei poteri istruttori e impeditivi affidatigli dalla legge.
L’esercizio del controllo da parte del revisore nelle società di capitali è finalizzato ad assicurare la verifica della corretta appostazione dei dati contabili nel bilancio della società e, di conseguenza, della corretta gestione contabile dell’ente, al fine di assicurare la conoscibilità, in capo ai terzi, delle effettive modalità di gestione contabile e dell’oggettività del patrimonio. Il revisore nello svolgimento della sua funzione deve necessariamente operare un controllo sulla correttezza e congruità di tutte le voci di bilancio. Proprio in funzione della peculiare ampiezza e incisività del controllo affidato al revisore contabile si prevede che esso risponda, in solido con gli amministratori, nei confronti della società che ha conferito l’incarico di revisione, dei suoi soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento ai loro doveri. Non si tratta di un’ipotesi di responsabilità oggettiva, ma anche il revisore risponde in solido con l’organo gestorio nei limiti del contributo effettivamente dato al danno.
Nell’ipotesi di perdita del capitale e sua riduzione al di sotto del minimo di legge lo scioglimento della società si produce automaticamente e immediatamente, salvo il verificarsi della condizione risolutiva costituita dalla reintegrazione del capitale o della trasformazione regressiva della società, da deliberarsi con le maggioranze richieste per le modificazioni dell’atto costitutivo. Il danno derivante dall’inerzia dell’organo gestorio a fronte della perdita del capitale sociale è un danno per i creditori sociali ed è rappresentato dall’incremento dell’indebitamento ovvero dall’aggravamento della situazione patrimoniale della società (già in situazione di deficit) con conseguente detrimento della prospettiva di soddisfazione per i creditori.
Per quanto attiene alla conservazione del capitale sociale è evidente l’esigenza che per tutta la durata della società persista quell’ammontare di risorse investite dai soci su cui si localizza, in via primaria, il rischio di impresa. In mancanza, nell’ipotesi in cui i soci non abbiano più nulla da perdere, non si può consentire la prosecuzione di un’iniziativa che altrimenti proseguirebbe ad esclusivo rischio di creditori sociali. Occorre in altri termini assicurare in ogni momento della vita sociale che il potere di direzione dell’iniziativa sia controbilanciato dalla esposizione al rischio. Gli artt. 2446 e 2447 c.c. esprimono principi fondamentali della attività economica di impresa in forma sociale: la tempestiva rilevazione di una situazione di crisi, con l’attivazione di procedure idonee a prevenirne l’aggravamento e l’immediato blocco di nuove operazioni imprenditoriali quando non sussista più quel minimo di investimento che è il presupposto per il regime di responsabilità limitata dei soci.
Sospensione necessaria del processo civile per pregiudizialità penale ed exceptio doli generalis ex art. 1993 c.c.
La sospensione necessaria del processo civile per pregiudizialità penale, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., nell’ipotesi in cui alla commissione del reato oggetto dell’imputazione penale una norma di diritto sostanziale ricolleghi un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile, è subordinata alla condizione della contemporanea pendenza dei due processi, civile e penale e, quindi, dell’avvenuto esercizio dell’azione penale da parte del P.M. nei modi previsti dall’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione o la richiesta di rinvio a giudizio, sicché tale sospensione non può essere disposta sul presupposto della mera presentazione di una denuncia e della conseguente apertura di indagini preliminari.
Va esclusa l’applicabilità della sanzione della nullità virtuale al negozio giuridico violativo della c.d. normativa antiriciclaggio, dal momento che il d.lgs. 231/2007 prevede una sanzione amministrativa, esplicitando che, presupponendo la nullità virtuale l’assenza di esplicita sanzione dell’atto o della condotta, e la possibilità di affermare la nullità come sanzione, per così dire, implicitamente prevista dalla disposizione violata, essa deve escludersi ove, invece, vi sia la previsione di una espressa sanzione, come quella amministrativa.
L’art. 1993, co. 2, c.c., ai sensi del quale il debitore può opporre al possessore del titolo le eccezioni fondate sui rapporti personali con i precedenti possessori soltanto se, nell’acquistare il titolo, il possessore ha agito intenzionalmente a danno del debitore medesimo, identifica la c.d. exceptio doli generalis. Affinché possano opporsi al possessore del titolo le eccezioni derivanti dai rapporti extracartolari opponibili al dante causa, se non occorre la prova di una vera e propria collusione, è necessaria almeno la dimostrazione che l’acquisto del titolo sia stato fatto con il programma di danneggiare il debitore, cioè con il sicuro proposito di impedire a quest’ultimo le difese, privandolo delle eccezioni che avrebbe potuto opporre al portatore precedente e di arrecargli così un danno.
Interruzione delle trattative e restituzione del deposito cauzionale
Sulla postergazione dei finanziamenti dei soci di s.r.l. ex art. 2467 c.c.
In tema di finanziamento dei soci in favore della società, la postergazione disposta dall’art. 2467 c.c. opera già durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apra un concorso formale con gli altri creditori sociali, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento sino a quando non sia superata la situazione di difficoltà economico-finanziaria prevista dalla norma; ne consegue che la società è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del finanziamento, in presenza della indicata situazione – costituita da un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto o da una situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento – ove esistente sia al momento della concessione del finanziamento, sia al momento della richiesta di rimborso.
La postergazione, sussistendone i presupposti sopra evidenziati, permane anche nel caso in cui il socio fuoriesca dalla società, in considerazione della finalità di tutela dei creditori che la norma citata mira a perseguire.
Il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di impresa, nello specifico caso in cui entrambe le sezioni facciano parte del medesimo ufficio giudiziario, non attiene alla competenza, ma rientra nella mera ripartizione degli affari interni all’ufficio giudiziario.
Contratto di edizione musicale: inadempimento e onerosità sopravvenuta
Nella valutazione della gravità dell’inadempimento di un contratto, devono essere preliminarmente distinte le violazioni delle obbligazioni costitutive del sinallagma contrattuale, che possono essere apprezzate ai fini della valutazione della gravità di cui all’art. 1455 c.c., rispetto a quelle che incidono sulle obbligazioni di carattere accessorio, che non sono idonee, in sé sole, a fondare un giudizio di gravità dell’inadempimento, potendosi darsi rilievo alla violazione degli obblighi generali di informativa ed avviso imposti dalla cd. buona fede integrativa soltanto in presenza di un inadempimento grave incidente sul nucleo essenziale del rapporto giuridico, ovvero di una ipotesi di abuso del diritto da parte di uno dei paciscenti.
Il contratto di edizione musicale, privo di una disciplina legale, si pone al di fuori delle indicazioni contenute negli artt. 118 e ss. della legge 22 aprile 1941, n. 633, costituendo pertanto un negozio atipico che attiene alla cessione di diritti economici dell’autore sulle opere musicali oggetto del contratto.
L’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, per potere determinare, ai sensi dell’art. 1467 c.c., la risoluzione del contratto, richiede l’incidenza sul sinallagma contrattuale di eventi che non rientrano nell’ambito della normale alea contrattuale e che si caratterizzano per la loro straordinarietà, connotato di natura oggettiva che qualifica un evento in base all’apprezzamento di elementi, quali la frequenza, le dimensioni, l’intensità, suscettibili di misurazioni (e quindi, tali da consentire, attraverso analisi quantitative, classificazioni quanto meno di carattere statistico); e per la loro imprevedibilità, che ha fondamento soggettivo, in quanto fa riferimento alla fenomenologia della conoscenza.
Il contratto di edizione musicale è indubbiamente caratterizzato da un profilo aleatorio di apprezzabile rilievo, tenuto conto della normale incertezza che necessariamente caratterizza le previsioni di successo relative a composizioni musicali future anche laddove espressione della personalità di un artista già apprezzato dal pubblico.