Tribunale di Milano
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Cessione di partecipazione sociale e cessione del credito risarcitorio: profili processuali
Nel contratto di cessione di una partecipazione sociale espressamente assoggettato alla legge italiana, la clausola che indica il foro competente non è clausola compromissoria, è ininfluente ai fini della competenza (poiché il forum contractus, in forza della legge italiana prescelta, è determinato in forza della legge italiana ex art. 20 c.p.c.), e non è comunque da approvarsi per iscritto qualora il contratto sia concluso non per adesione ma all’esito di specifica trattativa.
Al cessionario del credito, successore a titolo particolare ex art. 111 c.p.c. nel diritto risarcitorio controverso, il debitore ceduto non può opporre le eccezioni che attengono al rapporto di cessione, essendo ad esso estraneo e non incidendo la cessione stessa sul suo permanente obbligo di adempiere.
Affinché una domanda possa ritenersi presuntivamente abbandonata dalla parte non basta la sua mancata riproposizione in sede di precisazione delle conclusioni, dovendosi piuttosto valutare la complessiva condotta processuale per desumerne la volontà processuale di insistere o meno sulla domanda pretermessa [nel caso di specie, la curatela fallimentare aveva scelto di non costituirsi ed omettere qualsiasi attività processuale].
Ripartizione tra soci delle componenti attive e passive della società e giurisdizione del giudice italiano
L’azione che ha ad oggetto l’inadempimento da parte del convenuto del contratto di ripartizione tra i soci delle componenti attive e passive della società, ancorché si parli di omesso trasferimento della proprietà di un immobile sito all’estero, non è reale ma personale, sicché la giurisdizione deve essere radicata sulla base del parametro generale della residenza del convenuto.
Approvazione del bilancio di s.r.l., invalidità della decisione assunta con consultazione scritta
La partecipazione personale dell’organo amministrativo nell’assemblea dei soci per la presentazione e la discussione del progetto di bilancio ai fini dell’approvazione del medesimo costituisce un dovere dell’amministratore, non delegabile a terzi in quanto trattasi di attribuzione esclusiva, con conseguente annullabilità della delibera ex art. 2479-ter, comma 1, c.c., in quanto adottata su proposta di un soggetto non abilitato in assenza del vero organo amministrativo.
La comunicazione inviata dal legale dell’amministratore e non da quest’ultimo, ed indirizzata al legale dei soci e non a quest’ultimi direttamente, non può in alcun modo ritenersi equipollente alla comunicazione volta ad avviare il procedimento di approvazione scritta [nel caso di specie, un messaggio di posta elettronica certificata conteneva la chiosa “Si allega: bilancio al 31.12.2019 da approvarsi per iscritto”].
Il pagamento dei compensi degli amministratori in un momento di grave deficit patrimoniale viola la par condicio creditorum
Il pagamento di un credito non munito di privilegio, quale quello dell’amministratore per il suo compenso, in un momento di grave deficit patrimoniale della società, costituisce violazione del principio della par condicio creditorum in danno ai creditori privilegiati e contravviene all’obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale di cui all’art. 2394 c.c. in relazione alla funzione di garanzia che il patrimonio svolge verso i creditori stessi.
Il credito costituito dal compenso in favore dell’amministratore di società, anche se di nomina giudiziaria, non è assistito dal privilegio generale di cui all’art. 2751 bis, n. 2, c.c., atteso che egli non fornisce una prestazione d’opera intellettuale, né il contratto tipico che lo lega alla società è assimilabile al contratto d’opera, di cui agli artt. 2222 e ss. c.c. poichè non si presentano gli elementi del perseguimento di un risultato, con la seguente sopportazione del rischio, mentre l’attività che egli si impegna a svolgere non è, a differenza di quella del prestatore d’opera, determinata dai contraenti preventivamente, né è determinabile aprioristicamente, identificandosi con la stessa attività d’impresa.
Mancata impugnazione della delibera di approvazione del bilancio sostitutiva di quella invalida e carenza di interesse ad agire
L’interesse ad agire del socio dissenziente viene meno qualora quest’ultimo – dopo aver impugnato la delibera di approvazione del bilancio di esercizio – ometta di impugnare la delibera approvativa del bilancio sostitutivo. Infatti, l’accoglimento della domanda non produrrebbe alcuna utilità concreta all’attore rispetto alla lesione denunciata ed al sottostante interesse sostanziale. L’impugnante non potrebbe conseguire, cioè, alcun bene della vita dall’eventuale accoglimento della propria pretesa, giacché il documento contabile gravato è stato nel frattempo sostituito, in ambito endosocietario, da un altro dotato di autonoma efficacia.
Se il socio impugnante una delibera di approvazione del bilancio d’esercizio della società non ha impugnato anche la delibera sostitutiva, questa è di per sé destinata a rimanere efficace nell’ambito endo-societario nonostante l’impugnante ne abbia eccepito la invalidità in sede processuale, con il che viene meno (non già la materia del contendere ma) lo stesso interesse ad agire rispetto alla prima impugnazione, al cui accoglimento non potrebbe conseguire alcun effetto utile per l’attore, data la già avvenuta sostituzione in ambito endo-societario del deliberato censurato con altro comunque efficace.
Responsabilità degli amministratori per danni diretti al socio che ha acquistato la partecipazione sulla base di bilanci non veritieri
L’art. 2395 c.c. contiene la norma di chiusura del sistema codicistico della responsabilità civile degli amministratori di società di capitali, la cui applicazione richiede la verifica in ordine alla sussistenza di fatti illeciti imputabili agli amministratori stessi, vale a dire di comportamenti dolosi o colposi cui siano riconducibili in via immediata i danni derivati direttamente nel patrimonio del socio o del terzo, secondo le regole in tema di responsabilità extracontrattuale. In specie, l’azione individuale postula la lesione di un diritto soggettivo patrimoniale del socio o del terzo che non sia conseguenza del depauperamento del patrimonio della società. Orbene, la responsabilità dell’amministratore nei confronti del terzo non scaturisce dal mero inadempimento contrattuale posto in essere nella gestione della società e ad essa imputabile, bensì deve concretizzarsi in un’ulteriore azione degli amministratori costituente illecito extracontrattuale, direttamente lesiva di un diritto soggettivo patrimoniale del terzo. Costituisce, dunque, illecito rilevante ai sensi dell’art. 2395 c.c. ogni fatto, doloso o colposo, commesso dagli amministratori in occasione dell’esercizio delle loro funzioni gestorie, che rechi al terzo un danno ingiusto tale da riverberarsi direttamente nel suo patrimonio. Trattandosi di responsabilità aquiliana, il terzo danneggiato è onerato della prova dei presupposti – soggettivi e oggettivi – di tale responsabilità. Tanto premesso, l’accoglimento dell’azione risarcitoria proposta a norma dell’art. 2395 c.c. richiede l’accertamento non solo della condotta contra legem, ma anche – al pari di ogni altra azione risarcitoria – l’allegazione e prova, da parte dell’attore, del danno lamentato e del nesso causale intercorrente tra questo e la condotta stessa.
È pacifico che tra le condotte contra legem suscettibili di generare responsabilità in capo agli amministratori e alla società vi sia la propalazione di informazioni false o incomplete o comunque decettive in ordine alla situazione economico patrimoniale della società stessa, informazioni in base alle quali il socio o il terzo abbiano determinato proprie scelte di investimento (o disinvestimento) relative alla società stessa, quali acquisti di partecipazioni da altri soci, vendite di partecipazioni, sottoscrizioni di aumenti di capitale, ecc. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, in presenza di una domanda risarcitoria ex art. 2395 c.c., incombe sul terzo danneggiato l’onere di provare – sulla scorta del principio del “più probabile che non” – la ricorrenza delle falsità e l’idoneità della prospettazione inveritiera a trarre in inganno il contraente, di fatto determinando la conclusione del contratto. In particolare, incombe sull’acquirente l’onere di allegare e dimostrare che egli abbia acquistato le azioni di quella società per effetto della rappresentazione illegittima della situazione patrimoniale ed economica contenuta nel bilancio. In altri termini, con particolare riferimento a partecipazioni in società chiuse, non può considerarsi sufficiente ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria accedente all’azione di responsabilità la sola prova del compimento, da parte degli amministratori, di un’attività decettiva nei confronti dell’acquirente delle azioni e di un inganno di cui quest’ultimo sia rimasto vittima nell’operazione di acquisto; occorre, infatti, che l’acquirente alleghi e dimostri che, per effetto dell’illegittima e falsa rappresentazione della situazione patrimoniale economica contenuta nel bilancio e/o nei documenti ad esso allegati – la cui sussistenza, beninteso, costituisce presupposto logico necessario dell’accoglimento della domanda –, egli sia stato indotto ad acquistare le quote e che, per effetto di tale acquisto abbia subito un danno.
Distribuzione selettiva di pezzi di ricambio di orologi di lusso
Un sistema di distribuzione selettiva qualitativa non rientra nell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, giacché esso non produce effetti pregiudizievoli alla concorrenza, a condizione che sia oggettivamente giustificato, non discriminatorio e proporzionato.
E’ opinione consolidata nella giurisprudenza comunitaria che l’esistenza di canali di distribuzione differenziati adattati alle caratteristiche proprie dei vari produttori e alle esigenze delle varie categorie di consumatori sia in particolare indicata nel settore dei beni di consumo durevoli, di alta qualità e tecnicità, nel quale un numero relativamente ristretto di produttori, grandi e medi, offre una vasta gamma di apparecchi facilmente intercambiabili e che siffatti prodotti possono effettivamente aver bisogno di un servizio di vendita e post vendita specialmente adeguato alle loro caratteristiche e connesso alla distribuzione
Per ciò che attiene in particolare a un servizio post vendita specialmente adeguato ne deriva che le condizioni che consentono di stabilire la conformità di un sistema di distribuzione selettiva con l’articolo 101 TFUE possono altresì essere utilizzate per valutare se un sistema di riparazione selettiva, che rientra nel servizio post vendita, produca effetti pregiudizievoli alla concorrenza. I criteri relativi ai sistemi di distribuzione selettiva possono quindi essere applicati, per analogia, per valutare i sistemi di riparazione selettiva.
Se la preservazione dell’immagine del marchio non potrebbe giustificare di per sé una restrizione della concorrenza attraverso l’attuazione di un sistema di riparazione selettiva, l’obiettivo di conservare la qualità dei prodotti e il loro uso corretto può invece giustificare tale restrizione, a salvaguardia di un commercio specializzato, in grado di fornire prestazioni specifiche per prodotti di alto livello qualitativo e tecnologico.
Sussiste carenza di legittimazione attiva in capo a Codacons per ciò che attiene alla posizione dei riparatori di orologi indipendenti, posto che tale categoria non appartiene al novero dei consumatori ed utenti rispetto ai quali l’art. 139 Cod. Consumo attribuisce alle associazioni indicate nell’art. 137 la legittimazione ad agire a tutela dei relativi interessi collettivi.
Indipendenza dei sindaci-revisori ed esercizio di fatto della funzione di sindaco
Nel caso in cui venga devoluta al collegio sindacale anche la funzione di revisione contabile, il rapporto che lega i sindaci-revisori alla società deve essere unicamente quello sindacale con le relative ricadute anche in termini di diritto al compenso e deve essere soggettivamente connotato dal fatto che i sindaci devono essere iscritti nell’apposito registro dei revisori contabili. La duplicazione delle funzioni rende evidentemente ancor più pregnanti i vincoli imposti dalla legge per garantire l’indipendenza dei sindaci-revisori.
L’esercizio di fatto della funzione da parte del sindaco ineleggibile o decaduto trova il suo titolo non certo nel rapporto sindacale – di natura contrattuale ed avente ad oggetto la prestazione di un’opera professionale verso l’obbligo della società di pagare il corrispettivo pattuito – che non può essere instaurato o vien meno, ma appunto nel mero fatto del suo esercizio operato volontariamente dal professionista nell’impossibilità giuridica di instaurare il rapporto sindacale come ex lege configurato e comportante l’obbligo per la società di corrispondere il relativo compenso.
Acclarata la mancanza di una valida causa dell’obbligazione, tanto nel caso di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione di un contratto, quanto in quello di qualsiasi altra causa che faccia venir meno il vincolo originariamente esistente – l’azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella di ripetizione di indebito oggettivo; è, quindi, la pronuncia dichiarativa o estintiva del giudice, avente portata estintiva del contratto, l’evenienza che priva di causa giustificativa le reciproche obbligazioni dei contraenti e dà fondamento alla domanda del “solvens” di restituzione della prestazione rimasta senza causa.
Sequestro ex art. 129 c.p.i. e sequestro penale
Il sequestro concesso ex art. 129 c.p.i. e il sequestro penale già in essere sulla stessa merce presentano diversi presupposti e finalità: la misura reale disposta in sede penale è destinata, in caso di condanna, a sfociare nella confisca a beneficio dell’erario e non nella soddisfazione dei creditori. A fronte delle pretese di terzi già rappresentate in sede penale sulla stessa merce, la richiesta di sequestro ‘industriale’ da parte del Fallimento appare sorretta dal distinto ed autonomo interesse a pignorare automaticamente quei beni all’esito dell’eventuale condanna, ove anche dovesse per qualsiasi ragione cadere il vincolo appostovi in sede penale.
Il socio nella governance della s.r.l.
Nelle azioni di responsabilità promosse individualmente dal socio contro gli amministratori di s.r.l. sussiste litisconsorzio necessario con la società medesima, in quanto l’autonoma iniziativa del socio, riconosciuta dall’art. 2476, co. 3, c.c. senza vincolo di connessione con la quota di capitale dallo stesso posseduta, non toglie che si tratta pur sempre di un’azione sociale di responsabilità, rifluendo l’eventuale condanna dell’amministratore unicamente nel patrimonio sociale e potendo solo la società (non il socio) rinunciare all’azione e transigerla.
L’art. 2476 c.c. è norma cardine della disciplina della s.r.l., in quanto delinea il complessivo sistema di tutele riconosciute al socio di minoranza in tale compagine, attribuendo, in primo luogo, ai soci che non partecipano all’amministrazione ampi e inderogabili poteri di controllo, assegnando loro un ruolo chiave nei meccanismi di governance. Tale penetrante diritto di controllo sta alla base di tutti gli altri strumenti di tutela a disposizione del socio di s.r.l., in quanto propedeutico alla tutela giurisdizionale volta sia ad accertare la responsabilità degli amministratori, che a ottenere il risarcimento di un danno, sia quello subito dal patrimonio sociale, sia quello direttamente subito dal socio. Il diritto di controllo si esplicita in primo luogo nel diritto di ricevere informazioni e nel diritto di ispezione, che non subiscono alcuna restrizione di natura temporale, sicché ciascun socio che non partecipi all’amministrazione ha diritto di ispezionare tutta la documentazione contabile e amministrativa della società, anche risalente negli anni e anche quella relativa ad esercizi interessati da pregresse gestioni (con l’unico limite del divieto di abuso nel caso di richiesta di informazioni già note, ovvero nel caso di azioni di mero disturbo). In questa prospettiva si spiega altresì la scelta del legislatore di mantenere la legittimazione del singolo socio ad impugnare le delibere assembleari invalide ex art. 2479 ter c.c. All’iniziativa del singolo socio sono lasciati ampi poteri di reazione ai comportamenti illegittimi della maggioranza o degli amministratori e in tale assetto complessivo – che costituisce il nucleo tipizzante la s.r.l. – non trova alcuna giustificazione una interpretazione restrittiva della legittimazione del socio, volta a limitare l’esercizio dell’azione di responsabilità nei soli confronti degli amministratori in carica.
La condizione di inesigibilità del credito ex art. 2467 c.c. presuppone che, da una parte, il finanziamento sia stato disposto e, dall’altra, il rimborso sia stato richiesto in presenza di una situazione di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto, oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento, ossia di una situazione di crisi qualificata, sostanzialmente equiparabile all’insolvenza, la quale unicamente giustifica la considerazione di un concorso virtuale tra i creditori.