Tribunale di Milano
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Principi in tema di impugnativa di bilancio
Il socio è portatore di un diritto verso la società a ricevere con il bilancio informazioni veritiere e corrette. Questo diritto è tutelato con la facoltà del socio, attribuita a determinate condizioni, di insorgere contro le delibere che ritiene illegittime.
Si tratta di una tutela endosocietaria reale diversa da quella che il socio stesso può indirettamente conseguire in forza dell’intervento dell’organo amministrativo tenuto ad adeguarsi alle risultanze di una precedente impugnativa di bilancio, fatta valere per i medesimi vizi.
Va considerato che il giudizio di impugnazione, se si conclude in senso positivo per il socio impugnante, comporta la caducazione endosocietaria della delibera invalida con efficacia verso tutti i soci ex art 2377, co. 7, c.c.
La certezza di questo risultato non è offerta al socio dall’obbligazione dell’amministratore di tener conto delle ragioni della dichiarata invalidità di un bilancio nella redazione del bilancio in corso.
Il socio, in ipotesi di mancata ottemperanza da parte dell’organo amministrativo alla sua obbligazione di adeguare gli atti interni alla decisione sull’impugnazione della delibera, ha una tutela risarcitoria (non sempre di facile dimostrazione) che non comporta in sé la caducazione delle delibere c.d. intermedie se non oggetto di tempestiva impugnazione.
A ciò si aggiunga che la stessa disposizione dell’art 2434 bis, comma 1 c.c., nello stabilire che le azioni previste dagli artt. 2377 e 2379 c.c. non possono essere proposte nei confronti delle deliberazioni di approvazione del bilancio dopo che è avvenuta l’approvazione del bilancio dell’esercizio successivo – norma da interpretarsi con riferimento alla situazione esistente al momento di proposizione della domanda di impugnazione e non alla situazione che può determinarsi in corso di causa – dimostra che quello che è precluso è solo esercitare l’impugnazione di un bilancio dopo che è già stato approvato il bilancio dell’esercizio successivo e null’altro.
Dunque, il legislatore con la citata disposizione segna il confine della situazione in cui ritiene non sussista un interesse ad agire del socio in materia di impugnazione di delibera di approvazione del bilancio, oltre il quale l’interesse ad agire va riconosciuto, con la conseguenza che sussiste l’interesse del socio, se a ciò legittimato, all’azione di impugnazione delle delibere di approvazione del bilancio anche dopo che è stata proposta impugnazione alla delibera di approvazione del precedente bilancio, seppure le impugnazioni siano tutte fondate sui medesimi motivi; persiste infatti un interesse attuale e concreto del socio ad ottenere il risultato utile giuridicamente rilevante consistente nella rimozione, non altrimenti conseguibile, della delibera societaria che assume viziata e illegittima.
Concorrenza sleale per interposta persona e prova delle condotte illegittime
La concorrenza sleale deve ritenersi fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, non configurabile ove manchi il presupposto soggettivo del cosiddetto rapporto di concorrenzialità”, la stessa “è però configurabile allorquando l’atto lesivo del diritto del concorrente sia posto in essere dal soggetto terzo (cosiddetto interposto) che tuttavia si trovi in una relazione di interessi comuni con l’imprenditore avvantaggiato e, pur non possedendo egli stesso i necessari requisiti soggettivi (non essendo cioè concorrente del danneggiato), agisca per conto di (o comunque in collegamento con) un concorrente del danneggiato stesso, nel qual caso il terzo va legittimamente ritenuto responsabile, in solido, con l’imprenditore che si sia giovato della sua condotta, mentre, mancando del tutto siffatto collegamento tra il terzo autore del comportamento lesivo del principio della correttezza professionale e l’imprenditore concorrente del danneggiato, il terzo stesso è chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali e concorso del terzo non amministratore
L’azione ex art. 2394 c.c. e l’azione ex art. 2476, co. 6 c.c. pongono in capo agli amministratori una specifica obbligazione anche verso i creditori sociali finalizzata alla conservazione della garanzia patrimoniale della società ex art. 2740 c.c. L’azione è diretta, autonoma e genera in capo all’amministratore una responsabilità assimilabile a quella contrattuale in quanto fondata sullo specifico rapporto stabilito dalla legge tra i doveri degli amministratori e il diritto dei creditori sociali.
L’art. 2394-bis c.c. stabilisce, esprimendo un principio generale che vale anche per la parallela azione ex art. 2476, co. 6 c.c., che in caso di fallimento della società debitrice l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore spetta al curatore. Si tratta di legittimazione del curatore attribuita ex lege, posto che l’azione non è di quelle di cui era titolare la società e nelle quali invece subentra ex art. 43 l.fall. il curatore, ed esclusiva, tanto da privarne i creditori sociali, fino a che pende la procedura concorsuale e ciò anche se la curatela resta inattiva. L’art. 2394-bis c.c. assegna all’azione una finalità recuperatoria del patrimonio della fallita nell’interesse indistinto di tutti i creditori che ne consente la qualificazione come azione della massa, a tutela della par condicio creditorum.
Nell’illecito proprio dell’amministratore descritto dall’art. 2394 c.c. può concorrere anche il terzo che amministratore non sia. Poiché il danno al creditore è derivativo del danno al patrimonio della società, il curatore è legittimato verso il terzo, concorrente nell’illecito con l’amministratore, ex art. 43 l.fall. come successore del fallito nell’azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. In caso di intervenuto fallimento al terzo e al creditore sociale residua la legittimazione all’azione ex art. 2476, co. 7 c.c. ed ex art. 2043 c.c. verso il terzo per il risarcimento dei danni che devono però porsi come direttamente cagionati al loro patrimonio dalla condotta di mala gestio dell’amministratore ed eventualmente di terzi concorrenti.
Domanda di adempimento dell’accordo transattivo stipulato tra la cooperativa e l’amministratore; tardiva costituzione del convenuto contumace
Il convenuto costituitosi in giudizio tardivamente entra nel processo allo stato in cui si trova, non potendo compiere atti processuali che siano ormai preclusi alle parti, salva la prerogativa di cui all’art. 293, ult. co., c.p.c. Pertanto, se costituito dopo la scadenza dei termini previsti all’art. 183, co. 6, c.p.c., lo stesso non può modificare il tema né allegatorio né probatorio cristallizzato durante la contumacia, potendo articolare solo mere difese su questioni rilevabili anche d’ufficio.
Criteri di liquidazione del danno per mancato conferimento di incarico gestorio promesso
Il danno patrimoniale cagionato dal mancato conferimento dell’incarico gestorio a favore del destinatario di proposta contrattuale per mero rifiuto dei proponenti di dar seguito alla proposta è quantificabile sommando danno emergente e del lucro cessante. Con riferimento al danno emergente, il parametro minimo del risarcimento corrisponde all’ammontare del corrispettivo promesso per tutta la durata dell’incarico (in particolare, tale parametro opera quando la voce retributiva è prestabilita nell’ammontare e indipendente dai risultati della gestione. Va inoltre verificato che l’ottenimento di tale somma sia stato unicamente impedito dal rifiuto dei soggetti che avrebbero dovuto provvedere al conferimento dell’incarico). Più problematico è, invece, il riconoscimento del danno in termini di lucro cessante, specialmente con riferimento alla liquidazione della parte variabile del compenso legata all’esito positivo dell’attività gestoria: infatti, in tal caso, la perdita non consiste in un valore economico certo, bensì in un vantaggio economico atteso e, quindi, nella mera possibilità di conseguirlo. Pertanto, il danno potenzialmente scaturente dalla “possibilità perduta” dev’essere provato dal danneggiato, sia pur in via presuntiva, in termini di apprezzabilità, serietà e consistenza del suo stesso verificarsi (an debeatur); invece la determinazione del quantum debeatur va realizzata con valutazione squisitamente equitativa. Sotto quest’ultimo profilo, l’unico criterio utilmente impiegabile è quello, seppur inevitabilmente approssimativo e probabilistico, basato sul confronto con i compensi medi annuali percepiti nel periodo e nel luogo di riferimento dai top manager di realtà aziendali paragonabili per dimensione e “complessità” alla società in questione. L’ammontare dell’utilità sperata andrà quindi calcolato con riferimento alle medie dei suddetti compensi, ulteriormente mediando quelle risultanti dai diversi campioni esaminati, moltiplicate per gli anni di carica. Il valore così ottenuto è onnicomprensivo e dev’essere quindi diminuito dell’ammontare dei compensi fissi.
Simulazione di società di capitali iscritta nel registro delle imprese
La simulazione di una società di capitali iscritta nel registro delle imprese non è configurabile ed ammissibile in ragione della natura stessa del contratto sociale, che non è solo regolatore degli interessi dei soci, ma si atteggia, al contempo, come norma programmatica dell’agire sociale, destinata ad interferire con gli interessi dei terzi, che con la società instaurano rapporti e fanno affidamento sulla sua esistenza, dovendosi ritenere che tipo e scopo sociale, una volta compiute le formalità di legge, siano quelli che emergono dal sistema di pubblicità, sicché l’atto di costituzione dell’ente non può più essere interpretato secondo la comune intenzione dei contraenti e resta consacrato nei termini in cui risulta iscritto ed è portato a conoscenza dei terzi (richiama Cass. n. 22560/2015).
Sulla (non) abusività della delibera di scioglimento della società
La facoltà di deliberare lo scioglimento anticipato della società previsto dall’art. 2484, primo comma, n. 6), c.c. è espressione delle prerogative della libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.) e di autonomia contrattuale (art. 1322 c.c.), tanto che la decisione non deve essere motivata ed è sindacabile nel merito da parte dell’autorità giudiziaria solo quando si alleghi l’esistenza di una situazione di abuso del diritto.
Pertanto, la tutela giuridica della chance attribuita al socio di conseguire in futuro un diritto amministrativo non può raggiungere un’ampiezza tale da precludere il diritto della maggioranza di deliberare lo scioglimento anticipato della società.
La chance prevista dallo statuto esiste fintanto che esiste la società; non è illegittima una decisione della maggioranza di sciogliere la holding perché sostenuta da una diversa valutazione circa l’assetto e l’organizzazione della gestione della controllata, rientrando tale valutazione e scelta nell’ambito del diritto della maggioranza. [In presenza di una clausola contenuta nello statuto della holding che prevede, come nel caso di specie, (i) l’attribuzione, ad uno dei due soci, del diritto di voto per una percentuale maggiore rispetto al capitale sociale dal medesimo detenuto all’interno della società e (ii) che, al venire meno della qualità di socio del titolare di detto diritto particolare, questo si trasferisce automaticamente in capo all’altro, il Tribunale di Milano ha escluso che la delibera assembleare di scioglimento della società controllante assuma natura abusiva per il fatto di privare l’altro socio dell’aspettativa di conseguire in futuro il diritto particolare attribuito dallo statuto].
Impugnazione di delibera di approvazione del bilancio ed interesse ad agire
Le disposizioni dirette a garantire la veridicità, la chiarezza e la precisione del bilancio sono inderogabili e la loro violazione determina una reazione dell’ordinamento che prescinde dalla condotta delle parti, sicché la delibera di approvazione di un bilancio non conforme alla legge è nulla (cfr. Cass., ord. 13031/2014).
Sotto il profilo processuale, simmetricamente, l’interesse del socio ad impugnare la delibera di approvazione del bilancio deve valutarsi alla stregua della prospettazione della parte, la quale ben può limitarsi a lamentare la mancanza di una corretta informazione – secondo le prescrizioni di legge – sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’ente (cfr. Cass., ord. 21238/2021).
Responsabilità per mala gestio dell’amministratore verso la cooperativa edilizia, compenso dell’amministratore che sia già militare
In tema di responsabilità per mala gestio dell’amministratore verso la cooperativa, a fronte della contestazione ex art. 2392 c.c. del mancato pagamento di imposte dovute dalla cooperativa edilizia, incombe sull’amministratore l’onere di provare l’esatto adempimento alle obbligazioni di corretta gestione societaria, dimostrando l’effettiva sussistenza di ragioni causali sottese al mancato pagamento delle imposte tali da escludere una valutazione in termini di mala gestio dell’omesso adempimento alle obbligazioni fiscali e tributarie. In mancanza, va riconosciuta la responsabilità dell’amministratore e l’entità del risarcimento deve essere limitata all’effettiva e diretta efficienza causale del suo inadempimento: non avendo il comportamento dell’amministratore inciso sulla debenza o meno dell’imposta, il danno da mancato pagamento non coincide con l’importo delle imposte non versate, ma esclusivamente con gli aggravi, costituiti dalle sanzioni e dagli interessi irrogati alla cooperativa a seguito dell’accertamento fiscale compiuto dagli enti competenti.
Non ha diritto ad essere remunerato per l’attività svolta in qualità di presidente del CdA di una cooperativa esercente attività commerciale il militare che, in violazione degli artt. 894 d.lgs. 66/2010 e 12 L. 599/1954, non abbia previamente ottenuto specifica autorizzazione dall’amministrazione di appartenenza ad esercitare tale attività extraprofessionale.
Azioni esercitate dal creditore ex art. 2394 e 2395 c.c. in pendenza di fallimento
E’ inammissibile la domanda proposta dal creditore sociale ai sensi dell’art. 2394 c.c. nei confronti dell’ex amministratore di una società a responsabilità limitata a seguito dell’intervenuto fallimento della stessa. Ciò in quanto l’art. 2394 bis c.c. trova applicazione anche in tema di responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata. E’ infatti il curatore, ai sensi dell’art. 146 l. fall., ad essere legittimato ad esperire l’azione dei creditori sociali, pure in mancanza di un espresso richiamo all’art. 2394 c.c. previsto per le sole società per azioni ma applicabile in via analogica: accedendo ad una diversa tesi si creerebbe infatti una disparità di trattamento ingiustificata tra i creditori della società azionaria e quelli della s.r.l., tenuto conto che dopo la novella dell’art. 2476 c.c., introdotta dall’art. 378 del d.lgs. n. 14 del 2019, anche nella società a responsabilità limitata è ora espressamente ammessa l’azione dei creditori sociali (Cass. 23452/2019).
L’inadempimento contrattuale di una società di capitali non è sufficiente per predicare la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente attraverso il rimedio di cui all’art. 2395 c.c., presupponendo infatti l’azione in parola la lesione di un diritto patrimoniale del socio o del terzo che non sia mera conseguenza -indiretta- del depauperamento del patrimonio sociale. Tale ultima ipotesi è rinvenibile, ad esempio, laddove -in violazione dei principi di cui agli artt. 1337 e 1375 c.c.- vengano assunte obbligazioni che la società sin dall’inizio non avrebbe potuto assolvere (nella specie il Tribunale ha accolto la domanda del creditore di canoni locatizi, accertando che il debitore, poi fallito, aveva fin dal momento della conclusione del contratto sottaciuto la situazione di dissesto).