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Tribunale di Milano


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29 Giugno 2021

Intese anticoncorrenziali: eccezione di nullità della polizza fideiussoria contente clausole contrarie all’art. 2 L. 287/1990

La standardizzazione contrattuale non produce necessariamente effetti anticoncorrenziali. Essa può risultare compatibile con le regole di concorrenza a condizione che gli schemi uniformi non ostacolino la possibilità di diversificazione del prodotto offerto, anche attraverso la diffusione di clausole che, fissando condizioni contrattuali incidenti su aspetti significativi del rapporto negoziale, impediscano un equilibrato contemperamento degli interessi delle parti. [Nel caso di specie, il Tribunale di Milano ha confermato il decreto ingiuntivo opposto e dichiarato infondata l’eccezione di nullità di un contratto di polizza fideiussoria, richiamando il provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 della Banca d’Italia, relativo alle “Condizioni generali di contratto per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie” applicabile, tuttavia, alla cd. fideiussione omnibus.]

28 Giugno 2021

Sulla determinazione del valore di liquidazione delle azioni del socio receduto

Resta cristallizzato il valore di liquidazione delle azioni determinato dagli amministratori qualora il socio receduto non provveda ad adire il Tribunale, in sede di volontaria giurisdizione, richiedendo la nomina dell’esperto o quantomeno a chiedere nel corso del giudizio la sua rideterminazione mediante una consulenza tecnica.

La determinazione del valore delle azioni per le quali è stato esercitato il recesso viene effettuata dagli amministratori tenendo conto della consistenza patrimoniale della società e delle prospettive reddituali dell’impresa con la conseguenza che, per la corretta determinazione del valore, si deve aver riguardo al patrimonio sociale e non già al valore nominale delle azioni desumibile dalla mera operazione matematica di divisione del capitale sociale, che rappresenta un dato numerico non necessariamente rispondente al valore patrimoniale delle stesse.

28 Giugno 2021

Limiti al sindacato delle scelte gestorie di amministratori e liquidatori di s.r.l.: la “business judgement rule”

In base al principio “business judgment rule” la convenienza delle scelte di gestione adottate dagli amministratori e dai liquidatori di società è tendenzialmente insindacabile in sede giudiziale, salvo la manifesta irragionevolezza delle stesse, desumibile dal fatto che l’amministratore non abbia usato le necessarie cautele e assunto le informazioni rilevanti. Si tratta di una valutazione da condurre necessariamente ex ante, non potendosi affermare l’irragionevolezza di una decisione dell’amministratore per il solo fatto che essa si sia rivelata ex post economicamente svantaggiosa per la società. In particolare, non può essere ritenuto responsabile l’amministratore o il liquidatore che, prima di adottare la scelta gestoria contestata, si sia legittimamente affidato all’ausilio di figure professionali specializzate.

24 Giugno 2021

Azione sociale di responsabilità promossa dal curatore fallimentare: natura della responsabilità ed onere della prova

Le condotte distrattive e di mala gestio degli ex amministratori della società fallita sono sussumibili in primis in fattispecie di responsabilità sociale – di natura contrattuale – per il danno arrecato al patrimonio sociale, e pertanto ai sensi degli artt. 146 l.fall e 2476 c.c. (e 2393 c.c.), con consequenziale onere a carico dei convenuti – a fronte della circostanziata allegazione di inadempimento e ai fini dell’art. 2697 c.c. – di provare l’esatto adempimento degli obblighi sugli stessi gravanti.

21 Giugno 2021

Responsabilità dell’amministratore di snc per prelievi ed ammanchi di cassa e per utilizzo personale di beni sociali

E’ responsabile nei confronti della società l’amministratore di società in nome collettivo che abbia:
i. effettuato prelievi ingiustificati dai conti correnti;
ii. distratto corrispettivi relativi alla attività caratteristica non registrati o regolarizzati (e non scontrinati o fatturati);
iii. utilizzato beni sociali per fini personali. Tale condotta illegittima costituisce una forma di inadempimento ai propri obblighi ed ingenera una responsabilità in capo all’amministratore, il quale è tenuto a risarcire il danno cagionato.

Grava sulla società l’onere di dimostrare la sussistenza delle condotte illegittime, il nesso causale ed il danno cagionato (nel caso di specie i prelievi e l’indebito utilizzo di risorse sociali e di proventi e corrispettivi della attività non fatturati e contabilizzati); tuttavia, una volta allegati e/o dimostrati e non specificamente contestati i prelievi e gli ammanchi di cassa, spetta all’ex amministratore fornire la prova liberatoria di cui all’art. 1218 c.c., dimostrando con evidenza contabile (o con adeguata prova costituenda) che il denaro sociale oggetto di tali prelievi e pagamenti fosse stato reimpiegato per spesare costi o saldare debiti della società.
In assenza di contestazione e di prova di ciò, l’ex amministratore deve restituire alla società le somme non reimmesse nelle casse sociali.

La mancata impugnazione della decisione di rimozione delle funzioni gestorie da parte del socio-amministratore di snc rende la cessazione dalla carica definitiva e le eventuali irregolarità ed illegittimità inopponibili alla società.

In una società di persone l’utile di esercizio realizzato e risultante da rendiconto non opposto è automaticamente distribuibile tra i soci, vantando in tal caso il socio un vero e proprio diritto di credito liquido ed esigibile; diritto non conculcabile neppure (a differenza che nelle società di capitali) per delibera maggioritaria (salvo che non sia l’atto costitutivo a prendere una diversa disciplina).

E’ nulla la clausola compromissoria contenuta nell’atto costitutivo di una società di persone che, in difformità rispetto al dettato normativo di cui all’art. 34, co. 2 del d.lgs. n. 5/2003 ed anche se anteriore allo stesso, non attribuisca il potere di nomina degli arbitri ad un soggetto terzo, demandandone l’individuazione alle parti stesse.

21 Giugno 2021

In presenza di un contratto di cessione di quote sociali, solo la promissaria acquirente può agire contro il socio inadempiente

L’assunzione da parte di un gruppo di soci dell’obbligazione di vendere alla società Alfa “ciascuno per la propria quota di partecipazione e comunque tutti congiuntamente e solidalmente per l’intero” capitale sociale della società Beta comporta una responsabilità congiunta e solidale dei soci verso la promissaria acquirente nell’ipotesi di inadempimento anche di uno solo all’obbligo di cessione della propria quota. Da una tale clausola non rileva però alcun impegno reciproco fra i soci a vendere la propria partecipazione: i soci che hanno effettivamente ceduto la propria quota non possono agire nei confronti del socio che non ha dato seguito alla clausola. Infatti solo la promissaria acquirente ( società Alfa ) può, sulla base di una tale clausola, lamentare la mancata cessione e far valere l’inadempimento ai fini della risoluzione di diritto del contratto. In mancanza di azione, nulla possono lamentare gli altri soci che abbiano regolarmente eseguito la propria prestazione.

Non può essere indice di collusione tra il socio che non ha ceduto la partecipazione e la società ( Alfa ) che non ha agito nei suoi confronti, la cessione a quest’ultima di un bene immobile a prezzo ribassato rispetto a una precedente proposta, atteso che in presenza di altri offerenti in concorso con proposte pressochè identiche, la conclusione dell’affare con la società non è affatto certa e che bisogna verificare in concreto le ragioni che giustificano un ribasso del prezzo concordato.

21 Giugno 2021

Inesistenza ed invalidità della delibera di seconda convocazione per vizi formali e sostanziali

La deliberazione assembleare societaria assunta, in seconda convocazione, non preceduta dalla verbalizzazione del mancato raggiungimento delle maggioranze richieste per la sua costituzione in prima convocazione, non può essere considerata “inesistente”, possedendo tutti gli elementi per essere riconducibile al modello legale delle deliberazioni assembleari e per essere imputata alla società nel cui ambito viene assunta, e ponendo solo problemi di validità legati all’accertamento della maggioranza necessaria per assumere la deliberazione.

Non ogni incompletezza o inesattezza del verbale inficia la validità della delibera assembleare, considerato che l’art. 2377, co. 5, n. 3, del c.c. limita la rilevanza dell’incompletezza o inesattezza del verbale ai fini dell’annullamento della delibera all’ipotesi in cui siano tali da impedire l’accertamento del contenuto, degli effetti e della validità della deliberazione. In tal senso, la mancata allegazione al verbale di documenti prodotti dai soci non determina di per sé l’invalidità ai sensi dell’art. 2377 c.c., per l’incompletezza dello stesso.

Nelle società di capitali il diritto del socio a percepire gli utili presuppone e necessita di una preventiva delibera assembleare che ne disponga la distribuzione. Il socio ha, dunque, una aspettativa ma non un diritto di credito esigibile sino a quando l’assemblea, in sede di approvazione di bilancio (o, comunque, anche in un momento successivo), non decida circa la distribuzione, l’accantonamento o il reimpiego degli utili nell’interesse della stessa società.

La delibera assunta dalla maggioranza di non distribuire l’utile di esercizio è censurabile (da un punto di vista sostanziale) unicamente sotto il profilo dell’abuso di maggioranza, il cui carattere abusivo deriva dalla condotta dei soci di maggioranza volta ad acquisire posizioni di indebito vantaggio in antitesi con l’interesse sociale e/o idonea a provocare la lesione della posizione degli altri soci (rendendo più onerosa la partecipazione o sacrificando la legittima aspettativa di remunerazione dell’investimento in violazione del canone di buona fede e correttezza (ex art. 1175 e 1375 c.c.) nella esecuzione del contratto sociale (ove l’esercizio in comune dell’attività economica avviene proprio “allo scopo di dividerne gli utili”). Tuttavia, grava sul socio di minoranza che impugna la delibera l’onere di provare in giudizio che la decisione dell’accantonamento degli utili sia viziata sotto il profilo dell’abuso di maggioranza.

A tal proposito, la mancata distribuzione per diversi esercizi dell’utile sociale costituisce un indice rivelatore ma non è di per sé sufficiente a dimostrare il carattere abusivo della delibera di accantonamento (ciò anche in considerazione del fatto che la stessa produce effetti positivi diretti sul patrimonio della società e riflessi sul valore delle partecipazioni dei soci), rivestendo elemento determinante ai fini della decisione la valutazione circa le concrete ed effettive motivazioni sottese alla volontà della maggioranza. Tuttavia, il sindacato sull’esercizio del potere discrezionale della maggioranza deve, comunque, arrestarsi alla legittimità della deliberazione attraverso l’esame di aspetti all’evidenza sintomatici della violazione della buona fede e non può spingersi a complesse valutazioni di merito in ordine all’opportunità delle scelte di gestione e programma dell’attività comune sottese all’accantonamento dell’utile.

21 Giugno 2021

Nullità del brevetto relativo al sistema di controllo di macchine per caffè e il problem-solution approach

In un giudizio di nullità di brevetto per mancanza di descrizione sufficientemente chiara e completa da consentire a persona esperta di attuarla (art. 76 co. 1 let. b CPI) non si deve confondere l’ampiezza dell’effetto tecnico fornito da una certa soluzione con il requisito di sufficienza di descrizione, che riguarda il fatto che la soluzione, pur nel suo ampio spettro di effetti, sia replicabile dall’esperto del settore.È inoltre opportuno utilizzare come criterio per interpretare il testo brevettuale e le rivendicazioni di una privativa la figura dell’esperto del ramo, dotato di ordinarie nozioni del settore, il quale valuta il testo brevettuale “as a whole”, ossia con mente desiderosa di apprendere, senza isolare arbitrariamente delle porzioni del testo brevettuale per fornire una interpretazione di tipo prevalentemente semantico.

Nella valutazione del requisito dell’attività inventiva, di cui all’art. 48 c.p.i., è opportuno avvalersi della metodologia della c.d. problem – solution approach, ovvero il criterio ermeneutico indicato e adottato nei protocolli interpretativi dell’EPO e largamente condiviso dalla giurisprudenza che si occupa della materia brevettuale. Il CTU, infatti, dopo essersi premurato di definire le competenze dell’esperto del ramo a cui ascrivere la valutazione dell’attività inventiva, deve individuare la closest prior art, precisando le differenze tra questa e l’invenzione oggetto di causa, e il problema tecnico oggettivo che il trovato si propone di risolvere, svolgendo, infine, l’analisi di ovvietà ex ante con il metodo “would – could”, verificando, in particolare, se gli insegnamenti dell’arte nota fossero tali da indurre o suggerire all’esperto del ramo la praticabilità della soluzione proposta dal brevetto in esame.