Tribunale di Milano
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La responsabilità degli amministratori ex art. 2395 c.c.
L’art. 2395 c.c. è una norma di chiusura della disciplina della responsabilità risarcitoria degli amministratori di società azionarie che, fuori dai casi della responsabilità sociale e di quella nei confronti dei creditori per l’inosservanza degli obblighi di legge inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, sanziona atti di gestione colposi o dolosi commessi dagli amministratori stessi, che abbiano direttamente e specificamente arrecato un danno al patrimonio del socio o del terzo creditore.
L’inadempimento contrattuale di una società di capitali, ove anche conclamato, non comporta mai l’automatica responsabilità risarcitoria ex art. 2395 c.c. dei suoi amministratori nei confronti dell’altro contraente essendo a tal fine necessario che la condotta dell’amministratore sia “direttamente” – e, quindi, con effetto causale determinante – causatrice del danno.
L’inadempimento e persino la pessima amministrazione del patrimonio sociale non sono di per sé sufficienti a dare ingresso all’azione di responsabilità, tanto più in un quadro normativo in cui la mala gestio non è civilmente sanzionata, se non nella misura in cui si sia tradotta in un illecito, vale a dire in un atto doloso o almeno colposo che cagioni al terzo un danno contra ius: di talchè la semplice incapacità o inettitudine imprenditoriale causativa di un insuccesso non può di per se assurgere a fonte di responsabilità risarcitoria.
Inadempimento in tema di mancato pagamento di royalties nei contratti di produzione artistica
Assenza del carattere individuale del disegno e modello, concorrenza sleale e risarcimento del danno. Il caso OVS
Ai fini dell’accertamento dell’illecito di concorrenza sleale non rileva che le rispettive società si trovino su piani diversi della catena produttiva, in quanto condizione necessaria per cui le imprese si trovino in una situazione di concorrenza è che prodotti e servizi concernano la stessa categoria di clientela finale e che operino quindi in una qualsiasi delle fasi della produzione o del commercio destinate a sfociare nella collocazione sul mercato di tali beni.
Ai fini di una determinazione equitativa del danno, la sanzione del risarcimento del danno per concorrenza sleale può seguire le stesse regole in tema di tutela dei diritti della proprietà industriale con la peculiarità della materia e l’indicazione, derivante dalla direttiva CE 04/48, di tenere conto nella quantificazione del danno – purché il risarcimento sia adeguato, ma non punitivo – di tutti gli aspetti pertinenti, tra i quali i benefici realizzati dall’autore della violazione.
Sorti dell’intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali nel caso di morte del fiduciario e prova della stessa.
L’intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali integra gli estremi dell’interposizione reale di persona, per effetto della quale l’interposto acquista la titolarità delle azioni o delle quote, pure essendo tenuto ad osservare un certo comportamento convenuto in precedenza con il fiduciante, nonché a ritrasferire i titoli a quest’ultimo ad una scadenza convenuta, ovvero al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario. Inoltre, il pactum fiduciae avente ad oggetto il trasferimento di quote societarie non richiede la forma scritta (neppure ad probationem), dovendo esso equipararsi al contratto preliminare, e non richiedendo la cessione di quote – quanto agli effetti fra le sue parti – una forma particolare, neppure nel caso in cui la società sia proprietaria di beni immobili.
La responsabilità della società di revisione
Ai sensi dell’art. 15 d. lgs. 39/2010, “i revisori legali e la società di revisione legale rispondono, in solido tra loro e con gli amministratori nei confronti della società che ha conferito l’incarico di revisione legale, dei suoi soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento dei loro doveri”.
La norma, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità e la dottrina prevalente, delinea nei confronti dei soci e dei terzi estranei al contratto di revisione, la concorrente responsabilità di natura aquiliana della società di revisione per i danni cagionati alla loro sfera giuridica dall’inosservanza dei doveri che regolano l’attività di revisione, in modo tale da assicurare l’affidabilità delle informazioni dirette al pubblico, sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società contenute nei bilanci sottoposti al suo giudizio.
La responsabilità in questione, ancorché solidale con quella degli amministratori, è una responsabilità civile per fatto proprio colposo o doloso dei revisori commesso nell’esercizio dell’attività di controllo contabile loro demandato e come tale presuppone, in estrema sintesi, l’accertamento:
– dell’inadempimento dei revisori ai loro doveri attraverso la violazione delle regole tecniche e dei principi internazionali di revisione oltre che delle comuni regole di diligenza e prudenza nell’accertamento della corrispondenza alla realtà della rappresentazione contabile dei fatti di gestione;
– del pregiudizio economico arrecato alla sfera giuridica del terzo o del socio, dal conseguente mancato rilievo della discrepanza tra la situazione patrimoniale, economica e finanziaria reale della società e quella rappresentata nei bilanci attestati senza rilievi;
– del nesso causale tra la condotta illecita ed il pregiudizio economico, in modo tale che quest’ultimo costituisca, ai sensi dell’art. 1223 c.c., conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento da parte dei revisori ai loro doveri.
Affinché il danno lamentato dal terzo o dal socio sia imputabile alla società di revisione è indispensabile, dunque, la prova del nesso eziologico tra la violazione dei doveri di controllo ed il pregiudizio economico lamentato.
Mancata iscrizione di fondo rischi
L’iscrizione di poste contabili in un apposito fondo per rischi ed oneri deve essere finalizzata alla copertura di perdite o debiti di natura determinata, nonché di esistenza certa o probabile. L’apprezzamento del rischio dell’effettiva sussistenza di passività non ancora determinate al momento di chiusura dell’esercizio si concretizza in un giudizio ex ante delle probabilità/possibilità di evoluzione di una determinata situazione, la cui correttezza non è ancorata a dati oggettivi ma va rapportata ai canoni generali di prudenza e ragionevolezza che presiedono alla redazione del bilancio, la violazione solo dei quali può quindi portare a fare ritenere scorretta tale valutazione e, conseguentemente, inficiato il bilancio nonché il principio di verità ad esso sotteso.
Con riferimento alle partecipazioni sociali, non è censurabile la valorizzazione in bilancio al costo d’acquisto anziché al minor valore pari alla corrispondente frazione di patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio delle partecipate, qualora la svalutazione sia ritenuta non durevole sulla base di opportuna motivazione riportata in nota integrativa
Impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio
In merito all’iscrizione di un fondo a bilancio per un apposito “rischio”, l’apprezzamento del rischio dell’effettiva sussistenza di passività non ancora determinate al momento di chiusura dell’esercizio si concretizza, non nel rilievo di una vicenda gestoria oggettivamente già conclusa, ma in un giudizio:
– ex ante delle probabilità/possibilità di evoluzione di una situazione;
– la cui correttezza non è ancorata a dati oggettivi, ma va rapportata ai canoni generali di prudenza e ragionevolezza che presiedono alla redazione del bilancio, la violazione solo dei quali può quindi portare a far ritenere scorretta la valutazione e, conseguentemente, inficiato il bilancio da carenze quanto all’appostazione di fondo rischi e, quindi, contrastante anche con il principio di verità.
Costituzione di parte civile nei confronti dell’amministratore infedele partecipante all’attività di direzione e coordinamento e azione civile di responsabilità ex art. 2497, secondo comma, c.c.
La costituzione di parte civile nel processo penale avente ad oggetto la contestazione di una condotta distrattiva da parte di un amministratore della società concerne, sotto il profilo civilistico, sia gli inadempimenti ai doveri di amministratore della società considerata “uti singula” sia gli inadempimenti di quei medesimi doveri eventualmente commessi quale partecipe all’attività di direzione e coordinamento svolta dalla holding, essendo la condotta inadempiente sempre la stessa, così come i doveri violati e i soggetti danneggiati. Conseguentemente, poiché la coincidenza di petitum, causa petendi e parti delle azioni promosse in sede civile e penale determina l’applicazione dell’effetto estintivo previsto implicitamente dall’art. 75, primo comma, c.p.p., l’azione di responsabilità ex art. 2497, secondo comma, c.c. proposta in sede civile nei confronti del medesimo amministratore in ragione della sua partecipazione all’attività di direzione e coordinamento abusivamente svolta dalla holding dovrà essere dichiarata estinta d’ufficio.
L’azione di inopponibilità ex art. 45 l.f. appartiene alla giurisdizione del giudice italiano
Il principio per cui a norma degli artt. 3 e 25 Reg. n. 1346/2000, l’azione revocatoria ordinaria ex art. 66 l.fall. promossa da una curatela fallimentare nei confronti di un convenuto non residente in Italia appartiene alla giurisdizione del giudice italiano, trattandosi di azione direttamente derivante dalla procedura e ad essa strettamente connessa (Cass. N. 10233/2017) trova applicazione anche in relazione all’azione di inopponibilità degli atti ex art. 45 l.fall., trattandosi del medesimo tipo di azione. Ne è conferma, del resto, l’art. 4, secondo comma, lett. M) Reg. n. 1346/2000, ai sensi del quale, salva la prova che l’atto controverso è soggetto alla legge di uno Stato diverso da quello di apertura della procedura che non ne consente l’impugnazione, le disposizioni relative all’inopponibilità degli atti sono determinate dalla legge dello Stato di apertura della procedura.
Sostituzione della delibera assembleare impugnata: profili processuali
La produzione in giudizio della delibera assembleare sostitutiva della delibera impugnata è ammissibile ancorché tale circostanza sia stata dedotta, da parte della società convenuta, nella fase decisoria (nella specie, in comparsa conclusione), trattandosi di un’evenienza espressamente prevista dall’art. 2377, co. 8 c.c., di cui il Tribunale deve prendere atto quale evento ostativo ad una pronuncia di annullamento.
Nel giudizio di invalidità della prima delibera non può trovar luogo alcuna valutazione delle eccezioni sollevate dall’attore in relazione all’invalidità della delibera sostitutiva, posto che l’invalidità delle delibere assembleari può essere fatta valere solo in via di azione, dovendo pertanto il giudice limitarsi a verificare l’effettiva portata sostitutiva della seconda delibera.
La sostituzione della delibera comporta la chiusura del giudizio con una pronuncia non già di cessazione della materia del contendere, bensì di sopravvenuta carenza di interesse ad agire dell’attore: la sostituzione, infatti, determina il venir meno dell’utilità dell’impugnazione, dal momento che la delibera impugnata è già stata privata di effetti dalla sua sostituzione endo-societaria, così che all’accoglimento della domanda non conseguirebbe alcun effetto utile per l’attore.
Nel giudizio di impugnazione di una delibera di approvazione del bilancio per violazione degli obblighi di cui all’art. 2429 c.c., il rifiuto opposto dal socio di ricevere via e-mail la documentazione che avrebbe dovuto essere depositata presso la sede sociale costituisce condotta contraria all’obbligo di buona fede oggettiva ex art. 1375 c.c.: in caso di sostituzione della delibera impugnata, tale condotta consente di superare la presunzione di fondatezza dell’impugnazione, che sta alla base della previsione dell’art. 2377, co. 8 c.c. sulla ripartizione delle spese di lite e ne giustifica l’integrale compensazione.