Tribunale di Milano
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Interpretazione del contratto di cessione di brevetto e del brevetto di perfezionamento
Decadenza dall’indennizzo per sopravvenienze passive a seguito di cessione di partecipazioni
Là dove sia previsto un termine decadenziale per la formulazione di una richiesta di indennizzo in un contratto di acquisizione di partecipazioni societarie e questo termine decadenziale sia fatto contrattualmente decorrere dalle parti dal momento della “conoscenza”, il fatto generatore dell’indennizzo non può ritenersi noto solo a seguito della formale approvazione del bilancio nell’assemblea degli azionisti ma, bensì, conosciuto quantomeno già dal momento nel quale la bozza del bilancio è stata redatta, soprattutto in un contesto di gruppo ove deve assumersi che l’organo amministrativo della controllata operi in stretto collegamento con i vertici gestori della controllante.
La previsione di un termine decadenziale di 30 giorni non può ritenersi contrario alla disposizione dell’art. 2965 c.c.
Questioni in materia di contratto di edizione musicale
Violazione del patto di non concorrenza per effetto di fusione per incorporazione: tutela inibitoria
Competenza territoriale per le controversie relative a rapporti di agenzia
La competenza territoriale inderogabile del Tribunale in funzione di giudice del lavoro nella cui circoscrizione si trova il domicilio dell’agente, disposta per le controversie relative a rapporti di agenzia dagli artt. 409, n. 3 e 413, co. 4 c.p.c., comprende anche la domanda restitutoria del compenso provvigionale garantito anticipatamente e corrisposto all’agente in forza di un contratto accessorio al contratto principale di agenzia, considerati lo stretto collegamento volontario e funzionale, l’esplicita accessorietà, la configurazione provvigionale del compenso e l’opportunità di cognizione unitaria.
Le ipotesi e l’operatività della esclusione del socio di srl
A differenza delle società di persone (nella cui disciplina l’esclusione è prevista espressamente e direttamente dall’art. 2286 c.c. e, comunque, consentita anche nella generale ipotesi dei gravi inadempimenti alle obbligazioni incombenti sul socio), nella società a responsabilità limitata la cessazione del rapporto sociale con riguardo ad un socio è possibile solo:
a) nell’ipotesi del mancato versamento dei conferimenti dovuti per la liberazione della quota di capitale sottoscritta (in sede di costituzione o in sede di aumento reale del capitale sociale) ed all’esito del procedimento previsto dall’art. 2466 c.c.;
b) ovvero ai sensi dell’art. 2473-bis c.c. nelle specifiche ipotesi di esclusione previste dall’atto costitutivo. In tal caso, perché lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al singolo socio possa operare è necessario che i. le cause di esclusione siano previste espressamente e tassativamente da una clausola statutaria che siano applicate per le situazioni di fatto e/o di diritto verificatesi successivamente alla loro introduzione (per l’ovvia esigenza di consentire ai soci di evitare tale gravissima ‘sanzione privata’, conoscendo preventivamente le condotte che potrebbero darvi causa); ii. integrino, sotto il profilo contenutistico, una giusta causa di cessazione del vincolo sociale (art. 2473-bis).
In ogni caso, le ipotesi di esclusione del socio cui agli artt. 2466 c.c. (esclusione del c.d. “socio moroso”) e 2473 bis c.c. (esclusione per giusta causa) sono due istituti del tutto autonomi e diversi e, comunque, non sovrapponibili.
Al di fuori di tali ipotesi, il singolo rapporto sociale non potrà mai unilateralmente essere risolto per decisione maggioritaria (assembleare o consiliare); né il canone di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto sociale (che impone alle parti di un contratto di comportarsi, nell’esecuzione degli obblighi loro rivenienti dalla conclusione dello stesso, secondo correttezza e salvaguardando per quanto possibile le ragioni delle altre) consente in alcun modo di stravolgere tale equilibrato impianto normativo.
Come provvedimento conseguente all’annullamento della delibera di esclusione del socio il Giudice può ordinare all’Amministratore di iscrivere nel Registro delle Imprese il reintegro del socio e può attribuire al socio stesso, in caso di inerzia dell’Organo gestorio, il potere di agire in via surrogatoria per ottenere detta iscrizione.
Il socio di srl – che sia stato escluso con deliberazione dell’assemblea sociale – ha la legittimazione attiva ad impugnare la decisione di esclusione.
Requisiti dell’azione surrogatoria ex art. 2900 c.c.
Differentemente dall’azione revocatoria disciplinata dall’art. 2901 c.c., l’azione surrogatoria prevista all’art. 2900 c.c. costituisce un rimedio eccezionale, derogatorio della regola di cui all’art. 81 c.p.c. secondo cui nessuno può far valere nel processo, in nome proprio, un diritto altrui ed è pertanto applicabile nei soli casi e alle condizioni previste dalla legge, senza possibilità di applicazione estensiva. Conseguentemente, poiché l’art. 2900 c.c. prevede quale presupposto essenziale dell’azione in parola la sussistenza, in capo a chi agisce, della qualità di creditore, e dunque la sussistenza di un credito certo, non può ritenersi legittimato ad agire in surrogatoria chi vanta un credito non certo nella sua esistenza perché contestato nell’an e oggetto di accertamento giudiziale, il quale costituisce una mera aspettativa di fatto (e non di diritto) che si risolve nella speranza dell’accoglimento dell’azione proposta e perciò non consente di ritenere sussistente in capo a chi la vanta la attualità della qualità di creditore necessaria per agire in via surrogatoria.
Inoltre, il presupposto che legittima l’azione ex art. 2900 c.c. consiste nell’inerzia del debitore nell’esercizio dei diritti e delle azioni che gli spettano verso i terzi. Ne deriva che l’esperibilità dell’azione in surrogazione deve ritenersi esclusa in presenza di un qualsivoglia comportamento positivo posto in essere dal debitore che, ancorché lesivo delle aspettative del creditore, costituisca una manifestazione di volontà di gestione e non, invece, un indice di trascuratezza del proprio diritto. Conseguentemente, in assenza di allegazioni a supporto della lamentata inerzia, la mera intestazione fiduciaria di quote sociali non consente di fondare un giudizio di trascuranza in capo al fiduciario e, per l’effetto, non è di per sé idonea ad integrare il requisito dell’inerzia richiesto per l’ammissibilità dell’azione di surrogazione nei suoi confronti.
Il conferimento di licenza d’uso e di esclusiva di vendita non comporta l’automatico divieto per il licenziante di vendere i prodotti in proprio
Il fatto che le parti non abbiano ritenuto di regolare espressamente, e con puntualità di disciplina, un obbligo [ndr per la licenziante] di cessare l’attività di vendita diretta con propri marchi in favore di una licenziataria che ancora doveva organizzare le sue strategie, depone significativamente per l’insussistenza di un obbligo di esclusiva rivolto verso la stessa [ndr licenziante] nei termini prospettati.
Se nessuna specifica clausola contrattuale prevede espressamente un divieto per [ndr la licenziante] di vendere i propri prodotti, si deve rilevare che detta conclusione nemmeno può raggiungersi all’esito della ricerca della comune intenzione delle parti, attuata interpretando le clausole le une per mezzo delle altre come previsto dall’art. 1363 c.c.
L’interpretazione del contratto impone di portare l’attenzione sul comportamento delle parti, precedente e posteriore alla stipulazione, come previsto dall’art. 1362 II comma c.c.
Determinazione del lucro cessante nel risarcimento del danno a seguito di contraffazione del marchio
Qualora sia accertata la violazione di un diritto di proprietà industriale e sia dovuto il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 125 c.p.i., ai fini della determinazione del lucro cessante subito dalla società attrice si deve considerare la differenza dei flussi di vendita che il titolare della privativa avrebbe avuto in assenza della contraffazione e quello che ha effettivamente avuto, intendendo il mancato guadagno quale utile netto determinato sottraendo ai ricavi netti di vendita i soli costi di produzione “incrementali” quali, ad esempio, i costi di acquisto della materia prima e dei prodotti semi-lavorati, i costi energetici di produzione, i costi dei materiali di consumo diretti, nonché i costi che eventualmente si sarebbero sostenuti al fine di incrementare la propria capacità produttiva per la produzione della quantità di beni per cui è stata accertata la contraffazione.
Utili societari versati sul conto corrente personale
In ipotesi di società di natura familiare, composta da due coniugi e amministrata da uno di essi, l’amministratore che versa gli utili della società sul proprio conto corrente, su cui il coniuge ha delega ad operare, non commette alcun atto distrattivo in danno dell’altro socio. Tale circostanza, infatti, può ritenersi compatibile con l’esistenza di un accordo in forza del quale le somme derivanti dagli utili della società siano impiegate per le spese comuni della famiglia.