Tribunale di Bologna
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L’esclusione del socio inadempiente alle obbligazioni assunte nei confronti della società cooperative
A fronte di disposizioni statutarie che attribuiscono espressamente all’organo amministrativo il potere di escludere il socio che non abbia adempiuto alle obbligazioni assunte nei confronti della società cooperativa, o si sia reso moroso nel versamento delle somme dovute, deve ritenersi legittima, ex art. 2533, c. 1, c.c., la delibera di C.d.A. di esclusione del socio di società cooperativa che, dopo essersi visto assegnare un immobile di proprietà della società, non ha corrisposto il prezzo pattuito per il definitivo trasferimento della proprietà dell’immobile. La legittimità della delibera di esclusione determina la risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti tra il socio e la cooperativa ex art. 2533, c. 4, c.c., ivi compresi quelli derivanti dalla suddetta assegnazione “immobiliare”, con conseguente obbligo di rilascio dell’immobile assegnato da parte del socio escluso.
Nullità e annullabilità delle delibere assembleari e relativa legittimazione ad agire
La nullità delle delibere assembleari in conformità all’art. 2379 c.c. è ravvisabile nell’ipotesi di mancata convocazione dell’assemblea, mancanza del relativo verbale, impossibilità/illiceità dell’oggetto, modifica dell’oggetto sociale per attività illecite o impossibili e il relativo vizio è deducibile da chiunque vi abbia interesse indipendentemente dalla percentuale di partecipazione al capitale sociale in capo a chi agisce. Nel caso di annullabilità della delibera assembleare per non conformità della delibera a legge o statuto, la legittimazione ad agire spetta solo al socio che, individualmente o insieme ad altri attori, detiene almeno il 5% del capitale sociale.
Il principio in base al quale i vizi comportanti la radicale nullità della delibera di sodalizi assoggettati alla disciplina dettata per società per azioni, rappresenta l’eccezione, tassativamente prevista dall’Articolo 2379 del Codice Civile, alla regola generale della mera annullabilità. Pertanto, i vizi afferenti la regolarità della convocazione assembleare, della sua regolamentazione e discussione, dell’omessa allegazione al verbale dei presenti/votanti con le relative schede di votazione, nonché genericamente asseriti abuso/eccesso di maggioranza, conflitto di interessi e difetto di unanimità deliberativa, sono riconducibili alla generale categoria dei motivi di annullabilità della delibera assembleare.
Responsabilità degli amministratori di s.r.l. per atti di mala gestio
Il prelievo di compensi superiori a quelli deliberati dall’assemblea costituisce inadempimento degli amministratori, i quali sono tenuti a restituire la differenza. L’amministratore ha l’onere di giustificare le spese, sia dando prova della loro inerenza all’attività di gestione della società sia allegando oggettivi riscontri delle concrete esigenze di spesa.
L’omissione anche parziale dei doveri tributari costituisce inadempimento degli amministratori, che sono pertanto tenuti a rimborsare sia le sanzioni sia gli interessi applicati dall’AGE in conseguenza dell’inadempienza.
L’omesso pagamento degli oneri condominiali costituisce inadempimento degli amministratori, che pertanto sono tenuti a rifondere alla società le spese liquidate nel decreto ingiuntivo emesso per il mancato pagamento degli oneri condominiali.
Responsabilità illimitata del socio accomandante per le obbligazioni della società
La perdita del beneficio della responsabilità limitata del socio accomandante non discende automaticamente dalla sottoscrizione da parte di quest’ultimo di un documento avente contenuto dichiarativo del fatto che egli avrebbe posto in essere atti di amministrazione, potendo l’accomandante assumere ex art. 2320 c.c. la responsabilità illimitata per le obbligazioni della società soltanto nel caso in cui egli abbia effettivamente compiuto atti di ingerenza che abbiano avuto influenza decisiva o almeno rilevante sull’attività gestoria.
Sussiste la violenza morale ex art. 1435 c.c. quale vizio del consenso solo quando la minaccia sia stata specificatamente diretta ad estorcere la dichiarazione negoziale della quale si deduce l’annullabilità e risulti di natura tale da incidere, con efficacia causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione dell’autore di essa.
Responsabilità dell’amministratore di srl per condotte di mala gestio
Responsabilità dell’amministratore di s.r.l. cessato dalla carica
Presupposto necessario per la sussistenza della responsabilità ex art 2476 c.c. è la qualità di amministratore. Tale responsabilità viene pertanto meno una volta cessata la qualifica di amministratore.
Non sussiste responsabilità dell’amministratore per danni conseguenti all’esecuzione di un rapporto lavorativo con terzi, qualora tale contratto sia stato ratificato – anche tacitamente – dalla società (che ne aveva conoscenza, anche presunta).
Non è ammissibile la domanda di risarcimento danni, azionata nei confronti dell’amministratore, qualora la società abbia sottoscritto una transazione con terzi che preveda l’assenza di danni in capo alla medesima in relazione ad un contratto di lavoro stipulato dall’amministratore.
Azioni a tutela dell’amministratore delegato per la liquidazione del compenso
La domanda volta ad ottenere la liquidazione del compenso di amministratore delegato è soggetta al termine quinquennale di prescrizione di cui all’art. 2949 c.c.; tale termine opera anche in relazione al diritto all’indennizzo per l’ingiustificato arricchimento della società ex art. 2041 c.c., quando anch’esso inerisca e derivi da un rapporto societario.
Se è prevista un’azione tipica che il danneggiato avrebbe potuto esperire nei confronti dell’arricchito e che invece non ha tempestivamente esercitato, la domanda subordinata di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. è inammissibile ed improponibile, attesa la natura sussidiaria dell’azione ex art. 2042 c.c.
Disconoscimento della propria sottoscrizione ed intervento del Pubblico Ministero nel procedimento per querela di falso
Il disconoscimento della propria sottoscrizione, ex art. 214 c.p.c., deve avvenire in modo formale ed inequivoco essendo inidonea, a tal fine, una contestazione generica oppure implicita, perché frammista ad altre difese o meramente sottintesa in una diversa versione dei fatti; la relativa eccezione deve contenere specifico riferimento al documento e al profilo che di questo viene contestato, sicché non vale, ove venga dedotta preventivamente a fini solo esplorativi e senza riferimento circoscritto al determinato documento ma con riguardo ad ogni eventuale prodizione in copia che sia stata o possa essere effettuata da controparte (cfr. Cass. Civ. 17/06/2021, n.17313).
Il procedimento di querela di falso ex art. 221 e ss. c.p.c. è volto all’accertamento dell’autenticità di un documento, ovvero la sua effettiva provenienza o attribuzione alla persona che ne appare essere l’autore, e può essere proposto in qualunque stato e grado del giudizio finché la verità del documento non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato.
L’art. 221, ultimo comma, c.p.c. dispone che, seppur obbligatorio l’intervento del pubblico ministero, detta partecipazione si ricollega all’esigenza di tutelare gli interessi generali in tema di pubblica fede e di ricerca dell’autore della falsità, e non deve intendersi come partecipazione attiva al processo (ex multis Trib. Salerno n. 2219/2012) essendo sufficiente che gli atti siano comunicati all’ufficio medesimo, per consentirgli di intervenire nel giudizio, mentre la partecipazione effettiva e “la formulazione delle conclusioni sono rimesse alla sua diligenza” (cfr. Cass. n. 10894/2005).
Marchio complesso e valutazione di capacità distintiva
Un marchio è qualificabile come “complesso” qualora tutti gli elementi del segno (figurativi o denominativi) godano di autonoma capacità distintiva rispetto agli altri; è, invece, “d’insieme” quello i cui elementi costitutivi, isolatamente considerati, non godano di tale capacità distintiva. In tale caso il carattere “forte” o “debole” del marchio non va predicato solo in ragione dei singoli elementi che ne fanno parte, ma dell’effetto che suscita l’accostamento di questi ultimi.
In particolare, secondo costante insegnamento giurisprudenziale, «il marchio complesso, che consiste nella combinazione di più elementi, ciascuno dotato di capacità caratterizzante e suscettibile di essere autonomamente tutelabile, non necessariamente è un marchio forte, ma lo è solo se lo sono i singoli segni che lo compongono, o quanto meno uno di essi, ovvero se la loro combinazione rivesta un particolare carattere distintivo in ragione dell’originalità e della fantasia nel relativo accostamento. Quando, invece, i singoli segni siano dotati di capacità distintiva, ma quest’ultima (ovvero la loro combinazione) sia priva di una particolare forza individualizzante, il marchio deve essere qualificato debole, tale seconda fattispecie differenziandosi, peraltro, dal marchio di insieme in ragione del fatto che i segni costitutivi di quest’ultimo sono privi di un’autonoma capacità distintiva, essendolo solo la loro combinazione».
Le nozioni di marchio ‘forte’ e ‘debole’ non sono codificate ma sono frutto di elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale giunta a qualificare come “forte” il marchio privo di qualsiasi collegamento concettuale con il prodotto o servizio cui accede, e come “debole” il marchio che, pur non risolvendosi in un’indicazione del genere merceologico pura e semplice (che non è ammessa, ex art. 13 co. 1°, lett. b) c.p.i.), presenta un collegamento concettuale immediato con la stessa
La compromettibilità in arbitri dell’azione di responsabilità degli amministratori
In considerazione della natura giurisdizionale dell’arbitrato rituale e della sua funzione sostitutiva della giurisdizione ordinaria, l’eccezione di compromesso rituale ha carattere processuale ed integra una questione di competenza. In ipotesi di devoluzione della controversia ad un arbitro, il giudice, nel negare la propria competenza, si pronuncia con sentenza decidendo sulle relative spese, ai sensi del combinato disposto degli artt. 819 ter e 91 c.p.c.
La compromettibilità in arbitri dell’azione di responsabilità degli amministratori è oggi ammessa dalla giurisprudenza in considerazione del dispositivo del quinto comma dell’art.2476 c.c. che consente che l’azione di responsabilità contro gli amministratori possa essere oggetto di rinuncia o transazione.