hai cercato articoli in

Tribunale di Bologna


485 risultati
9 Febbraio 2020

Tutela delle informazioni aziendali segrete ai sensi degli artt. 98 e 99 c.p.i.

La tutela delle informazioni segrete è contenuta nell’art. 98 e 99 del c.p.i.; la fattispecie ricomprende le informazioni aziendali (incluso anche il cd. know-how) e le esperienze tecnico-commerciali ove tali informazioni siano nella loro precisa configurazione non generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed operatori del settore, abbiano valore economico in quanto segrete e siano sottoposte a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.

Il primo requisito per poter invocare la tutela del c.d. “segreto industriale” è rappresentato dal carattere di “novità” delle informazioni, da intendersi non in senso assoluto, ma in senso relativo, come informazione non facilmente accessibile o reperibile. La privativa riconosciuta dagli art. 98 e 99 c.p.i. è infatti incentrata – più che sulle informazioni “in quanto tali” – sull’investimento attuato dall’imprenditore per ottenerle e segretarle.

Colui che invoca la tutela delle informazioni segrete, inoltre, ha l’onere di allegare quali siano le informazioni o il complesso di informazioni di cui si ritiene titolare. In difetto di una descrizione sufficientemente esauriente non è infatti possibile verificare il carattere di novità e la sottoposizione a misure di segretezza.

L’art. 98, 1° comma, c.p.i. individua poi un onere di adozione di specifiche misure di protezione in capo a chi invoca la tutela. Le misure di protezione devono essere dirette verso l’interno (es. dipendenti) e verso l’esterno e vanno adeguate alla tipologia di informazioni che si intende mantenere riservate, dei soggetti che possono accedervi e del progresso tecnologico. Si può dunque trattare di misure negoziali, organizzative e/o tecnologiche.

6 Febbraio 2020

Deliberazione assembleare avente ad oggetto l’introduzione di clausole di esclusione per giusta causa del socio di s.r.l.

È legittima l’introduzione a maggioranza assembleare di una clausola di esclusione del socio ai sensi dell’art. 2473 bis c.c. Pertanto, qualora la clausola rispetti i requisiti di sufficiente specificità e sia sorretta da giusta causa, la stessa può essere introdotta “durante societate” anche a maggioranza.

30 Gennaio 2020

Ammissibilità della domanda di nullità del modello comunitario registrato proposta in via riconvenzionale

Secondo la giurisprudenza, nell’ipotesi in cui la domanda sia stata proposta due volte dinanzi al medesimo ufficio e che i processi siano stati riuniti ai sensi dell’art. 273 c.p.c., in osservanza del principio del ne bis in idem e al fine di evitare l’elusione delle decadenze verificatesi nel primo processo, il giudice deve trattare soltanto la causa iniziata per prima. ll giudice tratta solo la prima causa, salva l’eventualità che, non potendo tale causa condurre a una pronuncia sul merito, venga meno l’impedimento alla trattazione della causa successivamente iniziata. Tale ultima regola giurisprudenziale deve ritenersi applicabile anche nel caso in cui le due identiche domande pendano davanti al medesimo giudice, per essere stata la prima introdotta in via principale e la seconda in via di reconventio reconventionis. Il diverso iter procedimentale non ha invero riflessi sull’interesse protetto dalla regola, che è quello di far pervenire il processo a una decisione sul merito e che sussiste invariato, quale che sia il meccanismo che ha condotto alla compresenza delle due domande nel medesimo processo.

30 Gennaio 2020

Rapporto di parasubordinazione e disciplina dell’invenzione dei dipendenti

La categoria dei rapporti di parasubordinazione di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c. ha rilievo ai soli fini processuali, il che comporta che non sono estesi a essi tutti gli istituti sostanziali propri del rapporto di lavoro subordinato, salvo i casi di diversa previsione espressa di legge, con la conseguenza che, non essendoci una previsione normativa che disponga l’applicazione dell’art. 64 c.p.i. ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, per l’attività prestata come “co.co.co.” l’equo premio non può essere riconosciuto.

L’attività posta in essere come amministratore non può essere ricondotta al rapporto di parasubordinazione e non è assoggettabile alle disposizioni dell’art. 64 c.p.i..

La corresponsione al lavoratore di una retribuzione accresciuta rispetto alla categoria di appartenenza è uno dei possibili indici della riferibilità della retribuzione all’attività inventiva, che può essere desunta anche altrimenti, per esempio dalla centralità della prestazione di inventore nel testo contrattuale e dalla posizione del lavoratore di socio della società, che per tale via beneficia ulteriormente della redditività dell’invenzione.

15 Gennaio 2020

Insussistenza di irregolarità della notificazione

La relazione di notifica che indica un destinatario diverso dalla parte processuale non integra i presupposti per l’irregolarità della notificazione, in quanto il soggetto indicato può essere diverso dalla parte processuale. Ciò, infatti, non impedisce che nei confronti del rappresentante del soggetto convenuto in giudizio possa essere eseguita anche la notifica a mezzo posta elettronica certificata, indistintamente all’indirizzo pec personale o a quello relativo all’attività professionale del soggetto.

Inoltre, ai fini dell’identificazione del destinatario, ai sensi dell’art. 145  comma 1 ultima parte c.p.c., è sufficiente cha la relata non lasci alcun dubbio né sulle generalità della persona né sul luogo di consegna: tale requisito è soddisfatto anche laddove queste ultime informazioni siano indicate nell’atto (e non nella relata di notifica).

27 Dicembre 2019

Cessione di ramo di azienda e violazione di marchio del cessionario da parte del distributore del cedente che continua a fabbricare e vendere beni recanti il marchio

Il distributore del cedente di ramo di azienda che continui l’attività di commercializzazione di prodotti recanti il marchio aziendale in violazione del diritto riconosciuto in via esclusiva al cessionario titolare del marchio d’impresa ex art. 20 c.p.i. compie una contraffazione. La condotta non integra invece concorrenza sleale confusoria di cui all’art. 2598 n. 1 e/o n. 3 c.c., ove non risulti che, nel periodo in cui si svolgeva l’attività contraffattiva, il cessionario del ramo di azienda non abbia iniziato la commercializzazione dei prodotti contraddistinti dal marchio, dovendosi ritenersi esclusa la possibilità di confusione con i prodotti e con l’attività della concorrente.

18 Dicembre 2019

Registrazione in malafede del patronimico noto per la produzione di vino Valpolicella

La Corte di Giustizia ha affermato che la registrazione di un marchio può dirsi in malafede quando, al momento del deposito della domanda di registrazione, il richiedente mira ad impedire la attività di impresa dei concorrenti, piuttosto che a proteggere la propria attività, ovvero intende trarre vantaggi ingiustificati, appropriandosi di segni attrattivi già presenti sul mercato. La conoscenza da parte del richiedente della esistenza di segni altrui nel mercato non è sufficiente, di per sé, ad integrare la prova della malafede, essendo necessario invece dimostrare che l’intenzione del richiedente la registrazione è specificamente fraudolenta, perché volta, ad esempio, ad impedire ad un terzo di commercializzare un prodotto con quel segno. Ovviamente della intenzione fraudolenta, elemento immateriale, intimo e soggettivo, non può fornirsi prova diretta, e la sua dimostrazione deve necessariamente trarsi da circostanze oggettive e note, che tramite un ragionamento presuntivo consentito dagli artt.2727 ss c.c. conducano a ricostruire le intenzioni di chi agisce. La Corte di Giustizia ha indicato, come esempi in cui le circostanze oggettive sono indizianti della malafede, il caso di chi registri un marchio, senza poi utilizzarlo, (il che evidenzia la intenzione impeditiva) ovvero ancora il caso di chi registri un marchio particolarmente noto ed attrattivo, (il che evidenzia la intenzione di appropriazione).

18 Dicembre 2019

Responsabilità degli amministratori verso i singoli soci o terzi

L’art. 2476, co. 6, c.c. prevede il diritto al risarcimento dei danni del singolo socio e del terzo direttamente danneggiati da atti dolosi o colposi degli amministratori. La chiave della distinzione di questa azione da quella sociale e dei creditori sociali è da rinvenirsi nell’espressione normativa “direttamente danneggiati”. Infatti, il danno arrecato al patrimonio sociale colpisce i soci e i terzi sempre indirettamente. Con particolare riguardo ai secondi, essi sono danneggiati indirettamente soltanto in quanto il patrimonio sociale non sia sufficiente a soddisfare i loro crediti. L’esempio classico di applicazione dell’art. 2476, co. 6, c.c. ricorre nell’ipotesi in cui gli amministratori redigano o rappresentino una situazione finanziaria alterata o comunque non veritiera sulla base della quale attirano delle banche a finanziare la società o dei risparmiatori a sottoscrivere azioni. In questo caso, non vi è danno per il patrimonio sociale che anzi risulta arricchito dai finanziamenti ottenuti. Pertanto il danno che il terzo subisce non è un riflesso del danno subito dal patrimonio sociale, ma investe immediatamente il loro patrimonio. Il criterio distintivo è proprio quello del danno diretto o indiretto. La giurisprudenza riconosce alla responsabilità individuale (o diretta) natura extracontrattuale, essenzialmente sul rilievo che tra gli amministratori ed il terzo non vi è rapporto contrattuale, sì che la norma sanziona la violazione del generale divieto, posto dall’art. 2043 c.c., di pregiudicare colpevolmente o dolosamente l’altrui sfera patrimoniale.

[Nel caso di specie l’amministratore unico di una società s.r.l., ha presentato e ceduto all’istituto di credito due fatture per crediti vantati nei confronti di una società terza e successivamente ha comunicato, in violazione delle regole di buona fede e correttezza, al debitore ceduto (e non all’istituto di credito) l’avvenuto storno, e quindi, il venir meno del credito. Un atteggiamento improntato a buona fede – ex art. 1375 c.c. – avrebbe imposto all’amministratore di comunicare tempestivamente l’istituto di credito dell’accaduto, anche per metterla in condizione di assumere eventuali conseguenti provvedimenti circa l’affido erogato.]

18 Dicembre 2019

Autonomia statutaria nelle società cooperative in merito all’ammissibilità ed esclusione dei soci

La clausola statutaria che consente l’esclusione del socio di una società cooperativa è da ritenersi pienamente valida in quanto le partecipazioni a tali società, in cui tra l’altro assume rilevanza l’aspetto personalistico, è regolata dall’autonomia statutaria ed è sottoposta ad una disciplina che prevede la possibilità di stabilire nell’atto costitutivo le condizioni per l’ammissione dei soci ex art. 2521 co. 3 n. 6 c.c. e  sottoposta al vaglio degli amministratori e dell’assemblea, secondo le modalità procedurali di cui all’art. 2528 c.c.; in aggiunta si rileva come ex art. 2521 co. 3 n.7 c.c. e art. 2533 co. 1 n. 1 c.c. sia consentito alle società cooperative di prevedere nell’atto costitutivo specifiche clausole di esclusione.

Rileva inoltre come il cd. principio della “porta aperta” delle società cooperative si traduca esclusivamente nella previsione dell’art. 2524 co. 1 e 2 c.c., secondo il quale il capitale della cooperativa non viene fissato in un ammontare prestabilito e l’ammissione di nuovi soci, con le modalità previste, non determina alcuna modificazione all’atto costitutivo, non comportando in capo all’aspirante socio il riconoscimento di un diritto soggettivo, o di altra posizione giuridica equivalente, ad essere ammesso alla cooperativa (Cass. civ. n. 4259/97; App. Brescia 30.12.1993) in quanto la clausola dello Statuto che prevede condizioni di ammissibilità non ha valore di offerta al pubblico, e la richiesta di adesione al contratto sociale si pone come mera proposta contrattuale demandata alla decisione dell’organo amministrativo, dotato di potere di placet ex art. 2528 c.c. (Cass. civ. n. 12627 del 26.05.2006).

Infine, in merito all’ammissibilità della clausola statutaria che prevede l’esclusione del socio dalla società cooperativa se questo svolga, o tenti di svolgere, attività in concorrenza con la società stessa, giova precisare come tale clausola risulta ammissibile, in quanto riconducibile ad una delle clausole legali di esclusione previste dall’art. 2533 c.c., così come confermato dalla Suprema Corte chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della previsione secondo la quale è causa di esclusione del socio in virtù dell’attività svolta in concorrenza con la cooperativa ( Cass. civ. 7308 del 05.08.1994).

12 Dicembre 2019

Legittimazione attiva del fallimento all’esercizio dell’azione nei confronti dei revisori

L’art. 146 legge fallimentare disciplina le azioni di responsabilità esperibili dalla Curatela e, al secondo comma, lettera a) stabilisce che “sono esercitate dal curatore, previa autorizzazione del Giudice Delegato, sentito il Comitato dei creditori, le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori”. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il Curatore Fallimentare può esercitare tutte quelle azioni che fanno capo alla stessa società fallita, o che sono qualificabili come azioni di massa, perché così il legislatore le ha espressamente qualificate in quanto destinate ad incrementare la massa dei beni sui quali i creditori ammessi al passivo possono soddisfare le proprie ragioni secondo le regole del concorso.

L’esercizio dell’azione di responsabilità per tutti i soggetti indicati dalla norma fallimentare prescinde dunque dalla specifica natura delle due azioni – l’azione sociale ex art.2393 c.c. di natura contrattuale che presuppone un danno alla società e l’azione spettante ai creditori ex art. 2394 c.c. di natura extracontrattuale che presuppone l’insufficienza patrimoniale – e consente l’unificazione degli scopi di queste ultime al fine di acquisire all’attivo fallimentare ciò che in ipotesi è andato sottratto o perso per fatto imputabile a tutti gli organi sociali. L’art. 146 l.f. è norma di natura processuale e meramente ricognitiva della legittimazione del Curatore ad esercitare le azioni di responsabilità civilistiche, presentando una formulazione ampia rispetto ai soggetti passivi destinatari della predetta azione. Inoltre trattasi di disposizione a carattere “normativo”, in quanto necessita di essere letta non atomisticamente, ma alla luce delle disposizioni codicistiche di natura sostanziale. Alla luce della giurisprudenza sul punto e in sintonia con la ratio della disposizione in esame, l’ampia nozione di organi di controllo non può essere circoscritta solamente ai componenti dell’organo sindacale ma, tenuto conto della attività espletata, può ragionevolmente essere estesa anche ai revisori, in quanto soggetti deputati al controllo contabile della società. Tale interpretazione “estensiva” trova ulteriore conferma nel regime di responsabilità a cui sono assoggettati i revisori ai sensi dell’art. 2409-sexies, applicabile ratione temporis.

Tale disposizione prevede che “i soggetti incaricati del controllo contabile sono sottoposti alle disposizioni dell’art. 2407 e sono responsabili nei confronti della società, dei soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento ai loro doveri. Nel caso di società di revisione i soggetti che hanno effettuato il controllo contabile sono responsabili in solido con la società medesima”. E’ proprio il richiamo integrale all’art. 2407 c.c. e, significativamente, al suo terzo comma, nonché l’espresso riferimento ai “terzi”, da leggersi quali “creditori sociali”, a radicare la legittimazione della Curatela ad agire anche a tutela dei diritti patrimoniali dei creditori. Pertanto, alla luce dell’art. 146 l.f. – norma che riassume in sé e legittima la Curatela ad agire tanto a tutela della società quanto della massa creditoria – e sulla base della giurisprudenza maturata sul tema, si può ragionevolmente affermare che al Curatore spettano tutte le azioni di responsabilità esperibili nei confronti dei soggetti che a vario titolo abbiano operato all’interno della società.