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Tribunale di Bologna


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7 Ottobre 2022

Utilizzo della denominazione sociale altrui e rischio di confusione tra società produttrici di impianti antincendio

Sulla base del rinvio contenuto nell’art. 2567 c.c., alla denominazione sociale viene esteso il principio di novità enunciato, in materia di ditta, dall’art. 2564 c.c. secondo cui quando la ditta è uguale o simile a quella usata da altro imprenditore e può creare confusione per l’oggetto dell’impresa e per il luogo in cui questa è esercitata, deve essere integrata o modificata con indicazioni idonee a differenziarla rilevando quale atto di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 n. 1 c.c..

Per valutare la possibilità di confusione fra le imprese ed il luogo in cui queste sono esercitate, non è necessario prendere in considerazione le attività effettivamente svolte, ed eventualmente anche quelle complementari e analoghe, essendo sufficiente il rapporto tra i rispettivi oggetti sociali, risultanti degli atti costitutivi sottoposti a pubblicità, rappresentando l’oggetto sociale non solo la sfera di azione tecnica della società, ma altresì l’esteriorizzazione della sua potenzialità espressiva ed espansiva, immediatamente percepibile da tutti i soggetti che entrino in rapporto con essa, in forma negoziale o concorrenziale.

7 Ottobre 2022

Responsabilità della capogruppo per obbligazioni contratte dalla controllata

Ai sensi dell’art. 2497 c.c., l’attività di direzione e coordinamento può assumere i connotati dell’antigiuridicità quando viene esercitata da parte della società controllante nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui e in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società sottoposte ad essa. La responsabilità in questione è di natura extracontrattuale ex articolo 2043 c.c. ed è, quindi, riconducibile alla violazione dei principi di corretta gestione societaria dell’attività di direzione e coordinamento della società controllata da parte della controllante. Gli amministratori della società controllante rispondono in solido – in via aquiliana e successivamente alla violazione dei principi di buona e corretta amministrazione – per la lesione prodotta all’integrità del patrimonio della società controllata e per aver concorso con gli amministratori di quest’ultima al depauperamento del suo patrimonio sociale. Detta ipotesi di responsabilità sarebbe imputabile alla società controllante se e quando si dovesse dimostrare l’esistenza di un’interferenza nei confronti della società controllata, tale da determinare una compromissione della autonomia gestoria di quest’ultima. L’eventuale risarcimento del danno è identificato per i soci della controllata nel pregiudizio alla redditività o nel minor valore della partecipazione sociale e per i suoi creditori nella lesione cagionata all’integrità del patrimonio sociale.

Non può configurarsi una responsabilità della capogruppo per obbligazioni fisiologicamente assunte dalla controllata e rimaste inadempiute nella normale dinamica dello svolgimento dell’attività d’impresa.

La domanda di un fallimento per far valere un credito risarcitorio (nella specie, da abuso di direzione e coordinamento) nei confronti di altro fallimento deve essere dichiarata inammissibile se non è stata proposta avanti al giudice fallimentare nel pieno rispetto del principio generale sancito dal citato art. 52 l.f.

7 Ottobre 2022

L’azione ex art. 2394 c.c. nell’esecuzione di un concordato preventivo e la responsabilità per asserita illegittima prosecuzione dell’attività

Il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità dell’amministratore nei confronti dei creditori sociali rimane sospeso tra la data dell’omologazione del concordato preventivo e la data di risoluzione dello stesso in ragione dell’obbligatorietà del concordato omologato per tutti i creditori anteriori ai sensi dell’art. 184 l. fall., cosicché risulta agli stessi preclusa l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, tenuto conto dell’estinzione dei crediti per la parte che supera la percentuale prospettata nella proposta concordataria.

L’individuazione del momento in cui si è verificata la perdita del capitale sociale e/o della continuità aziendale è rilevante per accertare la responsabilità degli amministratori per i danni cagionati alla società e ai creditori, per effetto dell’illegittima prosecuzione dell’attività sociale ex art. 2486 c.c., in relazione ad atti non conservativi dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.

Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell’amministratore della stessa, l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev’essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti e il danno di cui si pretende il risarcimento. Gli amministratori non possono essere ritenuti responsabili delle perdite maturate dall’impresa, senza la prova che il deficit patrimoniale sia stato conseguenza delle condotte gestorie compiute dopo la riduzione del capitale sociale, e possono essere chiamati a rispondere solo dell’aggravamento del dissesto cagionato dalle ulteriori perdite che siano derivate dalla loro condotta illegittima, in quanto commessa al di fuori dei poteri di conservazione del patrimonio sociale.

Il curatore fallimentare che intenda far valere la responsabilità dell’ex amministratore per illegittima prosecuzione dell’attività dopo il realizzarsi di una causa di scioglimento deve allegare e provare che, successivamente alla perdita del capitale, sono state intraprese iniziative imprenditoriali connotate dall’assunzione di nuovo rischio economico-commerciale e compiute al di fuori di una logica meramente conservativa.

7 Ottobre 2022

Prededucibilità dei crediti ex art. 111 L.F.

Non è sufficiente perché il credito sia ammesso al concorso in prededuzione, che lo stesso abbia a maturare durante la pendenza di una procedura concorsuale, essendo presupposto indefettibile per il riconoscimento del detto rango, che la genesi dell’obbligazione sia temporalmente connessa alla pendenza della procedura medesima – ché in caso contrario tutti i crediti sorti nell’ambito dei rapporti di durata sarebbero prededucibili – e che, comunque, l’assunzione di tale obbligazione risulti dal piano e dalla proposta.

26 Settembre 2022

Il danno da violazioni fiscali ha natura indiretta per gli ex soci di società estinta

Non sussiste danno diretto per il socio in conseguenza delle violazioni degli amministratori in materia fiscale qualora l’imposizione di maggiori oneri fiscali per il socio sia conseguenza dell’avvenuta estinzione della società debitrice. In tal caso, l’incidenza della pretesa tributaria sul patrimonio del socio non è la conseguenza diretta della violazione tributaria, bensì di una circostanza estranea – l’estinzione della società -, che ha reso esigibile la pretesa tributaria nei confronti degli ex soci. Questa circostanza non muta la natura del danno, che resta un danno patrimoniale per la società. Ciò è vero, a fortiori, se l’accertamento è stato diretto ai soci in seguito alla cancellazione della società con distribuzione dell’attivo.

19 Settembre 2022

Gli effetti nei confronti dei terzi del riconoscimento del diritto di uso esclusivo del marchio registrato

Ai sensi dell’art. 20, co. 1 e 2 c.p.i., la registrazione del marchio attribuisce al suo titolare il diritto di valersene in modo esclusivo per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato, vietando che un soggetto terzo nell’esercizio della propria attività economica utilizzi un segno distintivo identico o simile, alle condizioni descritte dalla suddetta norma, salvo che sussista un diverso accordo tra il soggetto titolare del marchio e i terzi che ne facciano utilizzo. La ratio della disposizione risiede nella volontà di tutelare il titolare del diritto esclusivo sul marchio avverso qualsivoglia abuso del segno distintivo, prescindendo dall’individuazione del soggetto che sia titolare del segno in asserita contraffazione (nel caso di specie il convenuto aveva svolto attività di mera rivendita di prodotti riportanti un marchio altrui, senza essere a conoscenza dell’illiceità del segno distintivo).

Nel caso di violazione di un diritto di proprietà industriale, la tutela inibitoria di cui agli artt. 124 e 131 c.p.i. può essere concessa, su richiesta dell’interessato, anche quando la contraffazione sia cessata, a prescindere dall’esistenza di un danno attuale o potenziale per il titolare del diritto, trattandosi non di una misura sanzionatoria, ma di mero accertamento, volta a tutelare lo stesso interesse della norma sostanziale violata, di cui costituisce una ripetizione nel caso concreto e a prevenire violazioni della stessa natura di quelle già commesse, con esclusione del solo caso in cui il comportamento illecito sia da tempo esaurito e non più ripetuto.

2 Settembre 2022

Abuso di maggioranza ed esercizio dei diritti sociali relativi a una partecipazione conferita in trust

L’abuso del diritto della maggioranza dei soci si sostanzia in una lesione del diritto del socio di minoranza, in violazione del canone di correttezza e buona fede, che impone la salvaguardia nell’interesse comune della società. In particolare, l’abuso di potere è causa di annullamento delle deliberazioni assembleari quando la deliberazione: (i) non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società; deve pertanto trattarsi di una deviazione dell’atto dallo scopo economico-pratico del contratto di società, per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico rispetto a quello sociale; (ii) sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci di maggioranza diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli poiché è rivolta al conseguimento di interesse extrasociali. Della prova della sussistenza dell’eccesso di potere è onerata, ex art. 2697 c.c., la parte che, deducendo tale vizio, assume l’illegittimità della deliberazione. L’annullabilità della delibera assembleare per abuso di maggioranza costituisce l’unica ipotesi in cui il giudice può procedere ad un esame nel merito della deliberazione assembleare e non di mera legalità formale.

L’invalidità della delega conferita da un socio a un proprio rappresentante per il voto in un’assemblea di s.r.l. si risolve in un motivo di annullamento della deliberazione qualora il voto espresso dal non legittimato sia stato determinante.

Nell’eventualità di impugnazione di delibera assembleare, incombe sulla società l’onere di provare che tutti i soci siano stati tempestivamente avvisati della convocazione; tale prova può essere fornita anche tramite presunzioni.

Il trust non è un ente dotato di personalità giuridica, ma un insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato, nell’interesse di uno o più beneficiari, e formalmente intestati al trustee, il quale, pertanto, disponendo in via esclusiva dei diritti conferiti nel patrimonio vincolato, è l’unico soggetto legittimato a farli valere nei rapporti con i terzi, anche in giudizio. Ne consegue che, nell’ipotesi di partecipazione sociale conferita in trust, il suo trustee è l’unico soggetto legittimato all’esercizio dei relativi diritti sociali.

Offerta in prelazione delle quote quale condizione preliminare alla pronuncia ex art. 2932 c.c.

La previa offerta in prelazione a favore dei soci richiesta dallo statuto in caso di cessione di quote e il mancato esercizio del diritto di prelazione è condizione preliminare ai fini della richiesta di una pronuncia ex art. 2932 c.c. che produca gli effetti del contratto definitivo di vendita di quote societarie non concluso.

Spetta alla parte convenuta e non all’attore dover fornire la prova positiva dell’eventuale esercizio del diritto di prelazione da parte dei soci in base alle regole generali in tema di ripartizione dell’onere della prova e del principio di vicinanza della stessa.

Eccezione di postergazione del finanziamento soci opposta dalla società espromittente

La clausola, contenuta in un contratto di cessione di quote, per cui la società acquirente si impegna a rimborsare al venditore, entro una certa data, il suo finanziamento alla società ceduta, non può essere dichiarata nulla per difetto del requisito di determinatezza. Se, difatti, l’oggetto dell’obbligazione si identifica nelle prestazioni che le parti sono vincolate ad eseguire, e questo si ritiene determinato laddove sia chiaro alle parti ciò a cui si obbligano, allora deve asserirsi che la clausola dia forma ad un’obbligazione avente ad oggetto una prestazione di dare una somma di denaro, determinata in quanto comprensibile alle parti, oltre che eseguibile mediante un procedimento di mera attuazione (senza, cioè, necessità di alcuna integrazione).

La clausola produce effetti da inquadrarsi nel genus delle modificazioni del lato passivo del rapporto obbligatorio e, specificatamente, nella fattispecie dell’espromissione, descritta dall’art. 1272 c.c. L’espromissione prende forma in un contratto fra il creditore espromissario ed un terzo espromittente, per il tramite del quale quest’ultimo spontaneamente si impegna, nei confronti del primo, a pagare un preesistente debito dell’obbligato originario espromesso, dovendo escludersi che siano giuridicamente rilevanti i motivi che hanno determinato l’intervento dell’espromittente. L’espromissione si differenzia dall’accollo, disciplinato dall’art. 1273 c.c.,  per la totale estraneità all’operazione negoziale del debitore originario espromesso. Nello schema dell’espromissione, il terzo espromittente subentra nella stessa posizione del debitore originario, potendo opporre al creditore  le eccezioni (c.d. comuni) che a quest’ultimo avrebbe potuto opporre il debitore originario, con esclusione delle eccezioni c.d. personali e di quelle che derivano da fatti successivi all’espromissione (art. 1272, comma 3, c.c.).

L’eccezione di postergazione pare rientrare tra quelle c.d. personali, essendo basata su atti e fatti strettamente dipendenti dalla natura di persona giuridica del soggetto finanziato, dalla sua situazione patrimoniale al tempo dei conferimenti posti in essere in suo favore, dal particolare rapporto giuridico di natura societaria esistente tra autore e destinatario del finanziamento. Non potendosi dunque ricomprendere l’eccezione in questione tra quelle c.d. comuni, ne discende che esclusivamente la società che ha contratto il finanziamento soci potrebbe astrattamente opporre al creditore la natura postergata del credito; tale facoltà non è invece riconoscibile in capo alla società espromittente.

Alla stessa conclusione si perviene avendo riguardo anche alla ratio sottesa all’istituto della postergazione, che è quella di conservare l’apporto economico dei soci a servizio dell’attività svolta dall’impresa sociale, al fine di evitare che il rischio correlato all’impresa, priva di adeguati mezzi propri, sia posto a carico dei creditori esterni alla società. Per il tramite dell’art. 2467 c.c., laddove ricorrano le condizioni dettagliate dal comma 2, si persegue l’intento di preferire, in sede di soddisfacimento del credito, i creditori sociali ai soci finanziatori, derivandone che i secondi possono essere rimborsati esclusivamente dopo il completo soddisfacimento dei primi. Al contrario, in relazione all’adempimento, da parte di un terzo, dell’obbligazione di rimborso del finanziamento eseguito dal socio, non si pone alcuna esigenza di salvaguardia del patrimonio della società beneficiaria – di fatto estranea al suddetto rapporto obbligatorio – a fini di tutela dei creditori sociali di quest’ultima, cosicché l’applicazione al caso di specie della disposizione di cui all’art. 2467 c.c. non presenta alcuna effettiva ragion d’essere.