Tribunale di Bologna
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Omesso controllo nella pubblicazione di una fotografia senza il consenso e l’autorizzazione dell’autore: responsabile anche l’editore
In base ai principi generali in tema di responsabilità per fatto illecito, non può escludersi la responsabilità dell’editore, quantomeno a titolo di concorso nel fatto illecito del giornale ex art. 2043/2055 c.c. per omesso controllo, trattandosi di pubblicazione di un contenuto (la fotografia) che se non appartiene al giornalista o alla testata giornalistica è certamente riconducibile ad un autore, essendo altresì notorio che la fotografia (opera o fotografia semplice) è tutelata dalla legge autorale; in altri termini, è dato affermare che nella pubblicazione di una fotografia senza il consenso e l’autorizzazione del suo autore ricorre la responsabilità per fatto illecito ex art. 2043 e 2055 c.c. di tutti i soggetti che hanno partecipato alla pubblicazione, compreso l’editore, senza l’intervento del quale non sarebbe stata possibile la pubblicazione, cioè a dire che grava su tutti i soggetti la cui attività è necessaria per la pubblicazione del contenuto editoriale verificare, con la diligenza proprio del tipo di pubblicazione, di non ledere diritti di terzi; nel caso della pubblicazione di una fotografia che non appartenga al giornale o al giornalista, vieppiù se reperita su internet, tale soglia di diligenza impone di riscontrare la paternità della fotografia e di richiedere il consenso alla pubblicazione al suo autore
Impugnativa della delibera di messa in liquidazione e cessazione della materia del contendere per revoca dello stato di liquidazione
Con la revoca dello stato di liquidazione viene meno la delibera di messa in liquidazione della società, la quale torna a tutti gli effetti in attività.
L’abuso della maggioranza consiste nell’esercizio arbitrario e fraudolento del diritto di voto per finalità di perseguimento di interessi divergenti da quelli della società, ovvero di lesione degli interessi dell’altro socio, essendo invece irrilevante la sussistenza di interessi confliggenti dei soci.
Utilizzo della denominazione sociale altrui e rischio di confusione tra società produttrici di impianti antincendio
Sulla base del rinvio contenuto nell’art. 2567 c.c., alla denominazione sociale viene esteso il principio di novità enunciato, in materia di ditta, dall’art. 2564 c.c. secondo cui quando la ditta è uguale o simile a quella usata da altro imprenditore e può creare confusione per l’oggetto dell’impresa e per il luogo in cui questa è esercitata, deve essere integrata o modificata con indicazioni idonee a differenziarla rilevando quale atto di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 n. 1 c.c..
Per valutare la possibilità di confusione fra le imprese ed il luogo in cui queste sono esercitate, non è necessario prendere in considerazione le attività effettivamente svolte, ed eventualmente anche quelle complementari e analoghe, essendo sufficiente il rapporto tra i rispettivi oggetti sociali, risultanti degli atti costitutivi sottoposti a pubblicità, rappresentando l’oggetto sociale non solo la sfera di azione tecnica della società, ma altresì l’esteriorizzazione della sua potenzialità espressiva ed espansiva, immediatamente percepibile da tutti i soggetti che entrino in rapporto con essa, in forma negoziale o concorrenziale.
Responsabilità della capogruppo per obbligazioni contratte dalla controllata
Ai sensi dell’art. 2497 c.c., l’attività di direzione e coordinamento può assumere i connotati dell’antigiuridicità quando viene esercitata da parte della società controllante nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui e in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società sottoposte ad essa. La responsabilità in questione è di natura extracontrattuale ex articolo 2043 c.c. ed è, quindi, riconducibile alla violazione dei principi di corretta gestione societaria dell’attività di direzione e coordinamento della società controllata da parte della controllante. Gli amministratori della società controllante rispondono in solido – in via aquiliana e successivamente alla violazione dei principi di buona e corretta amministrazione – per la lesione prodotta all’integrità del patrimonio della società controllata e per aver concorso con gli amministratori di quest’ultima al depauperamento del suo patrimonio sociale. Detta ipotesi di responsabilità sarebbe imputabile alla società controllante se e quando si dovesse dimostrare l’esistenza di un’interferenza nei confronti della società controllata, tale da determinare una compromissione della autonomia gestoria di quest’ultima. L’eventuale risarcimento del danno è identificato per i soci della controllata nel pregiudizio alla redditività o nel minor valore della partecipazione sociale e per i suoi creditori nella lesione cagionata all’integrità del patrimonio sociale.
Non può configurarsi una responsabilità della capogruppo per obbligazioni fisiologicamente assunte dalla controllata e rimaste inadempiute nella normale dinamica dello svolgimento dell’attività d’impresa.
La domanda di un fallimento per far valere un credito risarcitorio (nella specie, da abuso di direzione e coordinamento) nei confronti di altro fallimento deve essere dichiarata inammissibile se non è stata proposta avanti al giudice fallimentare nel pieno rispetto del principio generale sancito dal citato art. 52 l.f.
L’azione ex art. 2394 c.c. nell’esecuzione di un concordato preventivo e la responsabilità per asserita illegittima prosecuzione dell’attività
Il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità dell’amministratore nei confronti dei creditori sociali rimane sospeso tra la data dell’omologazione del concordato preventivo e la data di risoluzione dello stesso in ragione dell’obbligatorietà del concordato omologato per tutti i creditori anteriori ai sensi dell’art. 184 l. fall., cosicché risulta agli stessi preclusa l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, tenuto conto dell’estinzione dei crediti per la parte che supera la percentuale prospettata nella proposta concordataria.
L’individuazione del momento in cui si è verificata la perdita del capitale sociale e/o della continuità aziendale è rilevante per accertare la responsabilità degli amministratori per i danni cagionati alla società e ai creditori, per effetto dell’illegittima prosecuzione dell’attività sociale ex art. 2486 c.c., in relazione ad atti non conservativi dell’integrità e del valore del patrimonio sociale.
Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell’amministratore della stessa, l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev’essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti e il danno di cui si pretende il risarcimento. Gli amministratori non possono essere ritenuti responsabili delle perdite maturate dall’impresa, senza la prova che il deficit patrimoniale sia stato conseguenza delle condotte gestorie compiute dopo la riduzione del capitale sociale, e possono essere chiamati a rispondere solo dell’aggravamento del dissesto cagionato dalle ulteriori perdite che siano derivate dalla loro condotta illegittima, in quanto commessa al di fuori dei poteri di conservazione del patrimonio sociale.
Il curatore fallimentare che intenda far valere la responsabilità dell’ex amministratore per illegittima prosecuzione dell’attività dopo il realizzarsi di una causa di scioglimento deve allegare e provare che, successivamente alla perdita del capitale, sono state intraprese iniziative imprenditoriali connotate dall’assunzione di nuovo rischio economico-commerciale e compiute al di fuori di una logica meramente conservativa.
Prededucibilità dei crediti ex art. 111 L.F.
Non è sufficiente perché il credito sia ammesso al concorso in prededuzione, che lo stesso abbia a maturare durante la pendenza di una procedura concorsuale, essendo presupposto indefettibile per il riconoscimento del detto rango, che la genesi dell’obbligazione sia temporalmente connessa alla pendenza della procedura medesima – ché in caso contrario tutti i crediti sorti nell’ambito dei rapporti di durata sarebbero prededucibili – e che, comunque, l’assunzione di tale obbligazione risulti dal piano e dalla proposta.
Il danno da violazioni fiscali ha natura indiretta per gli ex soci di società estinta
Non sussiste danno diretto per il socio in conseguenza delle violazioni degli amministratori in materia fiscale qualora l’imposizione di maggiori oneri fiscali per il socio sia conseguenza dell’avvenuta estinzione della società debitrice. In tal caso, l’incidenza della pretesa tributaria sul patrimonio del socio non è la conseguenza diretta della violazione tributaria, bensì di una circostanza estranea – l’estinzione della società -, che ha reso esigibile la pretesa tributaria nei confronti degli ex soci. Questa circostanza non muta la natura del danno, che resta un danno patrimoniale per la società. Ciò è vero, a fortiori, se l’accertamento è stato diretto ai soci in seguito alla cancellazione della società con distribuzione dell’attivo.
Gli effetti nei confronti dei terzi del riconoscimento del diritto di uso esclusivo del marchio registrato
Ai sensi dell’art. 20, co. 1 e 2 c.p.i., la registrazione del marchio attribuisce al suo titolare il diritto di valersene in modo esclusivo per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato, vietando che un soggetto terzo nell’esercizio della propria attività economica utilizzi un segno distintivo identico o simile, alle condizioni descritte dalla suddetta norma, salvo che sussista un diverso accordo tra il soggetto titolare del marchio e i terzi che ne facciano utilizzo. La ratio della disposizione risiede nella volontà di tutelare il titolare del diritto esclusivo sul marchio avverso qualsivoglia abuso del segno distintivo, prescindendo dall’individuazione del soggetto che sia titolare del segno in asserita contraffazione (nel caso di specie il convenuto aveva svolto attività di mera rivendita di prodotti riportanti un marchio altrui, senza essere a conoscenza dell’illiceità del segno distintivo).
Nel caso di violazione di un diritto di proprietà industriale, la tutela inibitoria di cui agli artt. 124 e 131 c.p.i. può essere concessa, su richiesta dell’interessato, anche quando la contraffazione sia cessata, a prescindere dall’esistenza di un danno attuale o potenziale per il titolare del diritto, trattandosi non di una misura sanzionatoria, ma di mero accertamento, volta a tutelare lo stesso interesse della norma sostanziale violata, di cui costituisce una ripetizione nel caso concreto e a prevenire violazioni della stessa natura di quelle già commesse, con esclusione del solo caso in cui il comportamento illecito sia da tempo esaurito e non più ripetuto.
Abuso di maggioranza ed esercizio dei diritti sociali relativi a una partecipazione conferita in trust
L’abuso del diritto della maggioranza dei soci si sostanzia in una lesione del diritto del socio di minoranza, in violazione del canone di correttezza e buona fede, che impone la salvaguardia nell’interesse comune della società. In particolare, l’abuso di potere è causa di annullamento delle deliberazioni assembleari quando la deliberazione: (i) non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società; deve pertanto trattarsi di una deviazione dell’atto dallo scopo economico-pratico del contratto di società, per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico rispetto a quello sociale; (ii) sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci di maggioranza diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli poiché è rivolta al conseguimento di interesse extrasociali. Della prova della sussistenza dell’eccesso di potere è onerata, ex art. 2697 c.c., la parte che, deducendo tale vizio, assume l’illegittimità della deliberazione. L’annullabilità della delibera assembleare per abuso di maggioranza costituisce l’unica ipotesi in cui il giudice può procedere ad un esame nel merito della deliberazione assembleare e non di mera legalità formale.
L’invalidità della delega conferita da un socio a un proprio rappresentante per il voto in un’assemblea di s.r.l. si risolve in un motivo di annullamento della deliberazione qualora il voto espresso dal non legittimato sia stato determinante.
Nell’eventualità di impugnazione di delibera assembleare, incombe sulla società l’onere di provare che tutti i soci siano stati tempestivamente avvisati della convocazione; tale prova può essere fornita anche tramite presunzioni.
Il trust non è un ente dotato di personalità giuridica, ma un insieme di beni e rapporti destinati ad un fine determinato, nell’interesse di uno o più beneficiari, e formalmente intestati al trustee, il quale, pertanto, disponendo in via esclusiva dei diritti conferiti nel patrimonio vincolato, è l’unico soggetto legittimato a farli valere nei rapporti con i terzi, anche in giudizio. Ne consegue che, nell’ipotesi di partecipazione sociale conferita in trust, il suo trustee è l’unico soggetto legittimato all’esercizio dei relativi diritti sociali.