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Tribunale di Catanzaro


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Impugnazione di deliberazione di approvazione del bilancio e compromettibilità in arbitri

Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione. Invero, nonostante la previsione di termini di decadenza dall’impugnazione, con la conseguente sanatoria della nullità, le norme dirette a garantire tali principi non solo sono imperative, ma, essendo dettate, oltre che a tutela dell’interesse di ciascun socio ad essere informato dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere la situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente, trascendono l’interesse del singolo ed attengono, pertanto, a diritti indisponibili.

Non è arbitrabile l’impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione.

Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione. Invero, nonostante la previsione di termini di decadenza dall’impugnazione, con la conseguente sanatoria della nullità, le norme dirette a garantire tali principi non solo sono imperative, ma, essendo dettate, oltre che a tutela dell’interesse di ciascun socio ad essere informato dell’andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere la situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente, trascendono l’interesse del singolo ed attengono, pertanto, a diritti indisponibili (cfr. Cass. Civ. ordinanza n. 20674/2016; conf. Cass. Civ. sentenza n. 14665/2019).

L’annullabilità del contratto per abuso di potere rappresentativo nelle S.r.l.

L’art. 2475-ter c.c. riproduce per le S.r.l. la regola generale sancita dall’art. 1394 c.c., prevedendo l’annullabilità, su domanda della società, dei contratti conclusi dagli amministratori che ne hanno la rappresentanza, quando questi hanno agito in conflitto di interessi, per conto proprio o di terzi, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo.

Affinché sussista un conflitto di interessi idoneo ad annullare il contratto, è necessario che il rappresentante persegua interessi incompatibili con quelli del rappresentato, di talché la salvaguardia dei primi impedisce al rappresentante di tutelare adeguatamente quelli facenti capo al dominus. Tale valutazione va condotta non in termini ipotetici o astratti, ma con riferimento alle caratteristiche concrete del negozio, al fine di verificare se la creazione dell’utile per una parte implichi il sacrificio dell’altra.

L’esistenza di un conflitto d’interessi tra la società e il proprio amministratore non può essere fatta discendere da un’aprioristica considerazione della soggettiva coincidenza dei ruoli di amministratore delle due società contraenti, ma dev’essere accertata in concreto, sulla base di una comprovata relazione antagonistica di incompatibilità degli interessi di cui sono portatori, rispettivamente, la società e il suo amministratore.

Domanda cautelare di revoca e requisiti dell’azione di merito

La domanda cautelare di revoca dell’amministratore di una s.r.l., intrapresa dal socio ex art. 2476, comma 3, c.c., è strumentale alla sola azione di responsabilità prevista dal primo comma del medesimo articolo. Ne discende pertanto che, ai fini  dell’accoglimento della domanda cautelare, deve verosimilmente emergere non solo la probabile ascrivibilità all’amministratore (da revocare) delle condotte di mala gestio lamentate, ma anche la portata lesiva di dette condotte e la probabile sussistenza, in base a conferente specifica allegazione, di un concreto ed attuale pregiudizio al patrimonio della società, potenzialmente suscettibile di aggravamento, con la permanenza in carica dell’amministratore.

Secondo giurisprudenza consolidata la revoca cautelare dell’amministratore può essere richiesta non soltanto nel contesto di una già promossa azione di responsabilità (secondo lo strumento tipico previsto dal terzo comma dell’art. 2476 c.c.), ma anche ante causam, ovvero prima dell’instaurazione della causa di merito, in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c.

L’esistenza di un conflitto di interessi tra la società ed il suo amministratore non può essere fatta discendere genericamente dalla mera coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratore di contrapposte parti contrattuali, ma deve essere accertata in concreto, sulla base di una comprovata relazione antagonistica di incompatibilità degli interessi di cui siano portatori, rispettivamente, la società ed il suo amministratore.

Illegittima prosecuzione della gestione aziendale

L’accertamento del verificarsi di una causa di scioglimento della società, da parte dell’amministratore unico ovvero da parte del consiglio di amministrazione, non ha carattere né effetto costitutivo dello stato di scioglimento, ma puramente e semplicemente dichiarativo del medesimo. Conseguentemente, il divieto di intraprendere nuove operazioni sorge per il solo verificarsi della causa di scioglimento, anche prima ed indipendentemente dal fatto che l’assemblea ne prenda o ne abbia preso atto.

Vanno qualificate come nuove operazioni tutti quei rapporti giuridici che, svincolati dalle necessità inerenti alle liquidazioni delle attività sociali, siano costituiti dagli amministratori per il conseguimento di un utile sociale e per finalità diverse da quelle di liquidazione della società.

In applicazione del disposto dell’art. 2486 c.c., integra responsabilità degli amministratori la prosecuzione, dopo che si sia verificata una causa di scioglimento, dell’attività economica della società con assunzione di nuovo rischio imprenditoriale che abbia determinato effetti pregiudizievoli per la società stessa, i creditori o i terzi.

La mancata convocazione dell’assemblea dei soci e la mancata predisposizione e approvazione del bilancio di esercizio sono sintomatici dell’intenzione di occultare la riferita perdita di esercizio e dell’illegittima prosecuzione della gestione aziendale.

Incompetenza della sezione specializzata in materia di impresa

Non è di competenza della Sezione Specializzata in materia di impresa la controversia relativa a un ente pubblico non economico che non esercita attività di impresa, quale l’organo istituito con Regolamento Regionale per l’autodisciplina e l’autogoverno di una professione il cui compito è custodire l’Albo professionale ed intervenire presso gli enti e le organizzazioni competenti per migliorare le condizioni professionali (nella specie il Collegio Regionale dei maestri di sci della regione Calabria).

Clausola compromissoria, giudizio monitorio e sorte del decreto ingiuntivo

L’esistenza della clausola compromissoria, se non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere il decreto ingiuntivo posto che la disciplina del procedimento arbitrale non contempla l’emissione di provvedimenti inaudita altera parte, impone però al giudice dell’opposizione investito dell’eccezione di arbitrato l’accoglimento, in rito, dell’opposizione con la declaratoria di nullità del decreto impugnato, esclusa la traslatio iudicii dalla specifica previsione dell’art. 819 ter comma 2 c.p.c.

Legittimazione del socio ad impugnare le delibere consiliari di s.r.l.

La mancanza, nella disciplina dettata per le s.r.l., di una previsione analoga a quella di cui all’art. 2388 co. 2 c.c. – che legittima all’azione anche i soci e a prescindere dalla configurabilità di un conflitto di interessi in capo agli amministratori – rappresenta una evidente lacuna legislativa, colmabile con il richiamo alle norme dettate per le s.p.a. in tema di impugnabilità di tali decisioni. La ratio sottesa a tale disposizione è infatti espressione di un principio generale di sindacabilità – ad iniziativa degli amministratori assenti o dissenzienti ovvero dei soci i cui interessi siano stati direttamente incisi – delle decisioni dell’organo amministrativo di società di capitali contrarie alla legge o allo statuto. Dunque, sebbene la norma di cui all’art. 2475 ter c.c. preveda solo l’impugnazione, ad opera degli amministratori, delle decisioni adottate dal consiglio di amministrazione con il voto determinante dell’amministratore in conflitto di interesse con la società, ciò non implica alcuna limitazione in ordine alla facoltà di impugnazione del socio che, con la stessa, abbia subito la violazione di un proprio diritto, trovando, pertanto, estensione analogica la previsione di cui all’art. 2388 co. 2 c.c.

La responsabilità civile degli amministratori è circoscritta ai soli danni che siano ricollegabili con un nesso di causalità immediata alla attività dell’amministratore ed è onere di chi agisce fornire la prova rigorosa del danno patito e del nesso di causalità tra comportamento e danno. L’adozione di una delibera consiliare illegittima non comporta l’automatica produzione di un danno alla società.

La disciplina applicabile alle società consortili

Nelle società consortili le deliberazioni dell’assemblea devono essere assunte con il rispetto delle inderogabili disposizioni societarie e non in base all’art. 2606 c.c. Alle società consortili deve applicarsi la disciplina tipica della forma societaria prescelta, costituendo il tipo societario prescelto l’ossatura giuridica dell’ente consortile.

In materia di società consortile costituita secondo il tipo delle società di capitali, la causa consortile può comportare la deroga delle norme che disciplinano il tipo adottato ove la loro applicazione sia incompatibile con profili essenziali del fenomeno consortile, fermo restando che siffatta deroga non può giustificare lo stravolgimento dei principi fondamentali che regolano il tipo di società di capitali scelto, al punto da renderlo non più riconoscibile rispetto al corrispondente modello legale.

Il consenso tacito nell’accordo transattivo

Per il negozio transattivo è richiesta la forma scritta ad substantiam dell’atto pubblico o della scrittura privata solo nel caso in cui la materia transatta riguardi uno dei rapporti considerati dall’art. 1350 n.12 c.c. In tutti gli altri casi la forma scritta è richiesta solo ad probationem e può anche non rivestire la forma completa del contratto, potendo quindi essere costituito da scritti separati, non contestuali e anche successivi al tempo in cui il negozio transattivo fu effettivamente posto in essere. Nei casi in cui la transazione necessiti di forma scritta soltanto ad probationem, la prova del contratto può anche essere fornita da un documento sottoscritto da una sola parte, ove risulti il consenso, anche solo tacito, purché univoco, dell’altra parte manifestato mediante attuazione integrale dei relativi patti.