Tribunale di Roma
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Arbitrabilità dell’azione di nullità di delibera assembleare per omessa convocazione del socio
Le controversie in materia societaria possono, in linea generale, formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell’interesse collettivo dei soci o dei terzi: a tal fine, l’area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte. Ad es., attengono a diritti indisponibili le controversie relative a delibere assembleari aventi oggetto illecito o impossibile, che danno luogo a nullità rilevabile anche d’ufficio, e quelle prese in assoluta mancanza di informazione. In tale ultimo ambito, tuttavia, non può esser sussunta la mancata convocazione di un socio, idonea, in tesi, a viziare la delibera, ma che, secondo la definizione data, non costituisce un diritto indisponibile, la cui area deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell’ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte. In particolare, deve ritenersi che la controversia riguardante la nullità delle delibere assembleari per omessa convocazione di soci sia compromettibile in arbitri attesa la non coincidenza tra l’ambito delle nullità e l’area più ristretta dell’indisponibilità del diritto, dovendosi ricomprendere in quest’ultima esclusivamente le nullità insanabili, per le sole quali residua il regime dell’assoluta inderogabilità e pertanto dell’indisponibilità e non compromettibilità ad arbitri del relativo diritto. Alla luce di tale impostazione è da ritenersi ammissibile la competenza arbitrale per le controversie aventi ad oggetto, ad es., la nullità dell’assemblea per mancata convocazione del socio, in quanto tale fattispecie è soggetta al regime della sanatoria delle nullità previsto all’art. 2379-bis, co. 1, c.c. (infatti, il diritto all’informazione del singolo socio in occasione della convocazione di assemblea è oggetto di una previsione posta a garanzia di un interesse individuale del socio stesso e non anche di soggetti terzi e, di conseguenza, da quest’ultimo disponibile e rinunciabile). Allo stesso modo, è da ritenersi compromettibile in arbitri una controversia avente ad oggetto la nullità dell’assemblea per aver deliberato su temi estranei all’ordine del giorno.
Recesso anticipato del socio nelle società cooperative edilizie
Nelle cooperative edilizie aventi ad oggetto la costruzione di alloggi e l’assegnazione degli stessi in godimento e in proprietà dei soci, in caso di recesso avvenuto prima dell’assegnazione dell’alloggio prenotato, il socio ha diritto alla restituzione dell’intera somma anticipata in conto costruzione, in virtù della posizione di creditore verso la cooperativa che il socio stesso ha acquisito.
Profili sostanziali e processuali della responsabilità degli amministratori di s.r.l.
Mentre nel caso di esercizio dell’azione sociale di responsabilità da parte del socio in nome proprio, ma nell’interesse della società (art. 2476, co. 3, c.c.), la società è litisconsorte necessario e quindi deve essere necessariamente citata in giudizio, se del caso in nome di un curatore speciale qualora l’azione sia proposta dal socio contro l’amministratore in carica, altrettanto non può dirsi nell’ipotesi di azione del socio per il risarcimento dei danni propri, direttamente sofferti dallo stesso per illecite condotte (omissive o commissive) dell’amministratore, unico legittimato passivo.
La circostanza che, in base all’art. 2476, co. 3, c.c., a ciascun socio, indipendentemente dalla misura della propria partecipazione al capitale sociale e senza una previa deliberazione assembleare con previsione di particolari quorum sia attribuita la titolarità dell’esercizio dell’azione sociale, non significa che la società, titolare del diritto al risarcimento del danno tanto da potervi anche rinunciare, non sia legittimata all’esercizio dell’azione in questione – non si può invero ipotizzare l’attribuzione di diritti di natura sostanziale, cui non si accompagni anche la legittimazione a farli valere in giudizio –, ma sta solo a significare che il socio di s.r.l. è legittimato all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità nell’interesse della società stessa (art. 81 c.p.c.), benché, con ogni evidenza, non sia titolare del diritto al risarcimento del danno sofferto dalla società, potendo invero costui far valere iure proprio il diritto al risarcimento dei danni personalmente subiti solo nell’ipotesi di azione extracontrattuale, di cui al successivo sesto [ora settimo] comma dell’art. 2476 c.c.
Di revoca dell’amministratore di s.r.l. ex art. 2476, co. 3, c.c. si può parlare solo in termini di revoca cautelare, se del caso proponibile anche ante causam. L’azione ex art. 2476, co. 3, c.c. consente l’adozione di una misura cautelare tipizzata meramente strumentale e preventiva all’azione sociale di responsabilità prevista dal medesimo articolo, avente contenuto solo risarcitorio, dovendosi invero escludere l’esistenza nel merito, in favore del socio, di un diritto alla revoca che consenta di rimuovere definitivamente gli amministratori al di fuori della procedura assembleare, di cui agli artt. 2479 e 2479 bis c.c. Non è, quindi, prevista dall’ordinamento un’azione di merito tendente alla sola revoca degli amministratori. Presupposti per l’adozione di siffatto provvedimento cautelare tipico – oltre al permanere, al momento della decisione sull’istanza, del rapporto gestorio fra la società e la persona fisica della cui revoca dalla carica si tratta – sono: (i) la verosimile fondatezza, in base ad una delibazione necessariamente sommaria, sia della lamentata violazione da parte dell’amministratore degli obblighi ad esso incombenti in base alla legge e all’atto costitutivo in dipendenza del rapporto gestorio con la società, sia del concreto pregiudizio al patrimonio della società derivato, in base a rapporto di causalità diretta, dall’inadempimento di tali obblighi; (ii) la qualificazione dei fatti imputati all’amministratore, quali risultanti dalla predetta prospettazione del denunciante, in termini di “gravi irregolarità nella gestione della società”. Nel caso di revoca cautelare dell’amministratore ex art. 2476, co. 3, c.c., non si può in alcun caso procedere alla nomina di un amministratore giudiziario, come invece previsto nella procedura ex art. 2409 c.c., in quanto sono i soci che devono procedere alla nomina di un nuovo amministratore, al posto di quello revocato in via cautelare.
Le mere irregolarità formali, tanto nella redazione del bilancio quanto nella tenuta delle scritture contabili obbligatorie (art. 2214 c.c.), non sono di per sé causa di danno e conseguentemente fonte di obbligo risarcitorio a carico dell’amministratore, dovendosi sempre verificare, ai fini risarcitori, l’esistenza di concreti danni patrimoniali sofferti dalla società in conseguenza della condotta dell’organo amministrativo.
La risoluzione del mandato senza rappresentanza per l’acquisto di quote sociali
Il mandato, anche ove conferito in rem propriam, non è ritenuto unanimemente contratto a prestazioni corrispettive e ciò precluderebbe l’azione di risoluzione del contratto. Tuttavia, si può dubitare che la risoluzione sia rimedio esclusivo dei contratti con prestazioni corrispettive, sia perché l’ordinamento ammette espressamente la possibilità di risoluzione di attribuzioni patrimoniali unilaterali, come accade per la disciplina della donazione modale, sia perché la risoluzione può derivare anche dalla mancata attuazione di elementi secondari del rapporto. Sicché il rimedio è applicabile ai contratti a titolo oneroso, nonché ai contratti a titolo gratuito per inadempimento del beneficiario che non esegua gli obblighi di carattere accessorio o strumentale a suo carico, quando tali obblighi abbiano un rilievo determinante (si pensi al contratto di mandato, quando il mandante non provveda a somministrare al mandatario i mezzi necessari per l’esecuzione del mandato). Del resto, diversamente rimarrebbe priva di tutela l’ipotesi di omesso adempimento dell’obbligo di trasferire la quota societaria acquistata per conto del mandante in quanto per la cosa mobile è prevista l’azione reale di rivendicazione e per i mobili registrati o gli immobili il rimedio dell’azione ex art. 2932 c.c. (1706 c.c.). Considerato che la quota societaria non è una cosa mobile e non è possibile l’azione di rivendica, deve essere tutelato il mandante con l’azione giudiziale di risoluzione, non avendo più interesse all’adempimento. La risoluzione può essere pronunciata solo quando l’inadempimento dedotto sia imputabile almeno a colpa della parte inadempiente, essendo unico onere di chi agisce in risoluzione la dimostrazione del titolo e l’allegazione dell’inadempimento di controparte che deve opporre l’adempimento o la non imputabilità dell’inadempimento.
Cessione di quote di s.r.l. e divieto del patto commissorio
Il contratto con cui le quote societarie cedute sono trattenute in garanzia con facoltà di ripristino della situazione pregressa nell’ipotesi di pagamento del debito, pur non integrando direttamente un patto commissorio, vietato dall’art. 2744 c.c., presenta una causa concreta in violazione di tale norma.
Le quote societarie sono equiparate a beni mobili sicché per ritenerle validamente acquisite in forza della disciplina degli acquisti a non domino occorre fornire la prova della buona fede del percettore.
Sui requisiti per la concessione del sequestro conservativo e sui limiti del mandato a costituire una società di persone
La concessione del sequestro conservativo, misura cautelare di carattere patrimoniale finalizzata a tutelare la fruttuosità dell’eventuale espropriazione forzata, è subordinata alla sussistenza, accertata sulla base di un’indagine meramente sommaria, del fumus boni iuris, vale a dire di una situazione che consenta di ritenere probabile la fondatezza della pretesa creditoria, e del periculum in mora, cioè del fondato timore di perdita della garanzia del credito vantato. Tuttavia, quanto al primo dei suddetti requisiti, il credito in relazione al quale viene domandato il sequestro, anche se non liquido o esigibile deve ad ogni modo essere attuale, ossia non meramente ipotetico od eventuale. Né si può sostenere, in ragione della sommarietà della delibazione, che non si possa e non si debba tener conto dell’andamento della causa di merito sottostante cui è necessariamente correlata la tutela.
Il mandato a costituire una società di persone con intestazione fiduciaria ad alcune persone a vario titolo coinvolte nella società ‘madre’ sconta il limite di cui all’art. 2479 c.c. Infatti, deve ritenersi riservata alla competenza dei soci la decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale determinato nell’atto costitutivo o una rilevante modificazione dei diritti dei soci.
Il negozio concluso dal falsus procurator, o da chi abbia sorpassato i limiti delle facoltà conferitegli dal dominus, integra una fattispecie soggettivamente complessa a formazione successiva, la quale si perfeziona con la ratifica del dominus. Inteso come negozio in itinere o in stato di pendenza, ma suscettibile di essere perfezionato in un secondo tempo, mediante la ratifica dello pseudo rappresentato, un tale negozio non è nullo e neppure annullabile, dal momento che ciò che è nullo è privo di ogni potenzialità di perfezionamento, mentre il negozio annullabile spiega i suoi effetti sin dall’inizio e li mantiene finché non intervenga l’eventuale pronuncia di annullamento, che valga a rimuovere quegli effetti. Il negozio posto in essere da chi sia privo del potere rappresentativo è un negozio perfetto, ma privo di efficacia. Peraltro, tale inefficacia (temporanea) del contratto, proprio perché non si verte in ipotesi di nullità, non è rilevabile d’ufficio, ma soltanto su eccezione di parte, mentre legittimato a sollevare tale eccezione, cioè a dolersi dell’operato di colui che abbia stipulato il contratto come rappresentante senza averne i poteri, è unicamente lo pseudo rappresentato, non anche l’altro contraente, al quale compete eventualmente solo il risarcimento del danno per avere confidato senza colpa sulla efficacia del contratto.
Difetto di giurisdizione del giudice italiano sulla domanda cautelare di riattivazione di un profilo Instagram oscurato
Non trova applicazione l’art. 35 del Regolamento (UE) n. 1215/2012 e pertanto non sussiste la giurisdizione italiana c.d. esorbitante in relazione a una domanda cautelare di ripristino o riattivazione di una pagina Instagram proposta nei confronti della società proprietaria della piattaforma con sede in Irlanda, che aveva provveduto a disattivare tale pagina, in un caso in cui la società ricorrente, che non può qualificarsi consumatore, abbia validamente sottoscritto la clausola di deroga della giurisdizione contenuta nelle condizioni d’uso della piattaforma e la misura cautelare non possa o non debba essere eseguita in Italia. Il provvedimento richiesto, infatti, avente ad oggetto un obbligo di fare, non può che essere eseguito dove le scelte vengono adottate e l’autonomia negoziale viene esercitata, ossia presso la sede irlandese della società resistente, mentre non assume rilievo ed è inconferente rispetto all’ordine di ripristino del profilo Instagram ogni riferimento alla localizzazione degli effetti di quest’ultimo.
La responsabilità dell’hosting provider attivo alla luce della Direttiva 2000/31 CE e del D.lgs. 70/2003
Ne caso di pretesa responsabilità di internet service provider, ai fini dell’individuazione del giudice munito di giurisdizione si deve tener conto del luogo in cui, in ciascun caso concreto, si è verificato l’evento dannoso, vale a dire la diffusione dei dati ed informazioni di titolarità di utenti terzi.
Nel caso della responsabilità del prestatore dei servizi della società dell’informazione, dunque, con riguardo all’interpretazione ed applicazione dell’art. 16, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 70 del 2003, la conoscenza dell’altrui illecito, quale elemento costitutivo della responsabilità del prestatore stesso, coincide con l’esistenza di una comunicazione in tal senso operata dal terzo, il cui diritto si assuma leso.
Il dato di fatto dell’effettiva conoscenza da parte dell’hosting provider della presenza sul portale di contenuti illeciti è soddisfatta in relazione alle diffide contenenti i titoli identificabili dei contenuti cinematografici riprodotti nei video illecitamente caricati da soggetti non autorizzati, peraltro facilmente individuabili anche in virtù della presenza del marchio collegato a tali prodotti audiovisivi, tali da non lasciare margini di incertezza sulla loro individuazione, senza necessità dell’indicazione di altri dati tecnici che non devono essere necessariamente forniti dal titolare del diritto leso.
Benché, al fine di favorire la diffusione dei servizi della società dell’informazione e i vantaggi ad essa collegati, anche l’hosting provider attivo va esonerato da obblighi preventivi e generalizzati di monitoraggio, nondimeno, qualora la tutela dei diritti di proprietà intellettuale può avvenire in modo efficace e adeguato attraverso gli strumenti tecnologici a disposizione dell’hosting provider sulla base delle informazioni fornitegli dallo stesso titolare del diritto violato, non vi è più alcuna ragione per esimere ulteriormente l’hosting provider da qualsiasi responsabilità, affrancandolo dal rispetto dei diritti di proprietà intellettuale che oggettivamente concorre a violare.
L’hosting provider, una volta ricevuta la comunicazione della presenza di contenuti illeciti sulla propria piattaforma digitale, è chiamato quindi a delibare, secondo criteri di comune esperienza, alla stregua della diligenza professionale tipicamente dovuta, la comunicazione pervenuta e la sua ragionevole fondatezza (ovvero, il buon diritto del soggetto che si assume leso, tenuto conto delle norme positive che lo tutelano, come interpretate ad opera della giurisprudenza interna e comunitaria), nonché, in ipotesi di esito positivo della verifica, ad attivarsi rapidamente per eliminare il contenuto segnalato. L’aggettivo vale, in sostanza, a circoscrivere la responsabilità del prestatore alla fattispecie della colpa grave o del dolo: se l’illiceità deve essere «manifesta», vuol dire che sarebbe possibile riscontrarla senza particolare difficoltà, alla stregua dell’esperienza e della conoscenza tipiche dell’operatore del settore e della diligenza professionale da lui esigibile, così che non averlo fatto integra almeno una grave negligenza dello stesso.
Inadempimento reciproco in un contratto di coproduzione cinematografica
In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l’adempimento, deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova è applicabile quando è sollevata eccezione di inadempimento ai sensi dell’art. 1460 cod. civ. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche quando sia dedotto l’inesatto adempimento dell’obbligazione al creditore istante spetta la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, gravando ancora una volta sul debitore la prova dell’esatto adempimento, quale fatto estintivo della propria obbligazione.
Nel caso in cui le parti abbiano dedotto inadempimenti reciproci in contratti con prestazioni corrispettive, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento, il giudice di merito non può limitarsi ad esaminare il comportamento di una sola delle parti, ma è tenuto a formulare un giudizio di comparazione in ordine al comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all’oggettiva entità degli inadempimenti – tenuto conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche e soprattutto degli apporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della incidenza di queste sulla funzione economico-sociale del contratto – si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale.
Elementi essenziali dell’abuso di posizione dominante del contraente e prova del danno
La disparità di trattamento contrattuale non è abusiva – ai sensi dell’art. 3 L. n. 287 del 1990 – soltanto a condizione che il contraente che la pratica non si trovi in posizione dominante, perché, in tal caso, tale disparità è frutto del lecito esercizio dell’autonomia negoziale delle parti e trova nella controparte un soggetto altrettanto libero di determinare le proprie scelte contrattuali; mentre non è così quando la disparità di trattamento sia la conseguenza della posizione dominante di cui il contraente più forte abusi, a fronte della dipendenza economica dei contraenti più deboli, i quali sono costretti a sottostare a qualsiasi pretesa, dal momento che a loro è impossibile, o grandemente difficile, reperire sul mercato adeguate alternative.
La posizione dominante è, dunque, abusiva quando viene esercitata per ostacolare l’effettiva concorrenza ed il giudice, nel relativo accertamento, deve andare alla ricerca della concorrenza “virtuale” (ossia, di quella che sarebbe rimasta se la posizione dominante non fosse stata esercitata nel modo che si pretende abusivo), definendo il mercato di riferimento, la sua estensione geografica, l’area di sostituibilità dei prodotti e dei servizi in questione, sicché su tale sostituibilità da parte del mercato il comportamento del dominante possa essere valutato nei suoi effetti.
Il danno cagionato mediante abuso di posizione dominante non è in re ipsa, ma, in quanto conseguenza diversa (e ulteriore) rispetto alla distorsione delle regole della concorrenza, deve autonomamente provarsi secondo i principi generali in tema di responsabilità aquiliana.