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Tribunale di Roma


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11 Marzo 2021

Tutela del diritto d’autore sulle opere fotografiche e violazione dei diritti morali del fotografo

La disciplina della tutela del diritto d’autore sulle opere fotografiche contempla attualmente tre ipotesi: 1) le opere d’ingegno che ricadono sotto la previsione dell’art. 2 n. 7 L.D.A. e che godono della tutela d’autore ai sensi degli artt.12 e ss., 20 e ss. e 171 e ss.; 2) le fotografie semplici, vale a dire le “immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale o sociale”, prive del carattere creativo, pur essendo caratterizzate da una qualche attività personale del fotografo, quanto meno nella ricerca del soggetto da fotografare, e tutelate, più limitatamente, ai sensi degli artt.87 e ss. L.D.A., come tipici diritti connessi; 3) le fotografie di “scritti, documenti, carte di affari, oggetti materiali, disegni tecnici e prodotti simili”, prive di tutela ex art.87, 2° comma L.D.A.

Ai fini della distinzione tra la prima e la seconda categoria di fotografie meritevoli di tutela, occorre verificare se sussista o meno un atto creativo, che sia espressione di un’attività intellettuale preponderante rispetto alla tecnica materiale, così che la modalità di riproduzione del dato fotografato trasmetta un messaggio ulteriore e diverso rispetto alla visione oggettiva di esso, rendendo una soggettiva interpretazione che permetta di individuare l’opera tra le altre analoghe. La fotografia è creativa quando è capace di evocare suggestioni o comunque di lasciare trasparire l’apporto personale del fotografo e non si limiti a riprodurre e documentare determinate azioni o situazioni reali. L’apporto creativo deve potersi desumere da una precisa attività del fotografo, volta o alla valorizzazione degli effetti ottenibili con l’apparecchio (inquadratura, prospettiva, cura della luce, del tutto peculiari) o alla scelta del soggetto (intervenendo il fotografo sull’atteggiamento o sull’espressione, se non creando addirittura il soggetto stesso), purché emerga una prevalenza del profilo artistico sull’aspetto prettamente tecnico. In sintesi la professionalità nella cura dell’inquadratura e la capacità di cogliere in modo efficace il soggetto fotografato non sono sufficienti a qualificare la fotografia come creativa, essendo invece a questo fine necessarie anche la originalità e la creatività della fotografia.

Anche l’autore delle fotografie non creative gode di un diritto morale connesso o, quantomeno, un diritto alla paternità in considerazione del generale diritto di ogni individuo alla paternità delle proprie azioni, nonché in considerazione della tutela prevista per il fotografo dagli artt. 87 e segg. LDA. In particolare, l’importanza che emerge dall’art. 90, co. 1, LDA, della presenza sulla foto del nome dell’autore, nonché la necessità, prevista dall’art. 91 LDA, dell’indicazione del nome dell’autore, se risulta sulla foto riprodotta, in caso di riproduzioni fotografiche in antologie per uso scolastico o, comunque, per uso scientifico e didattico e l’analoga previsione contenuta nell’at.98 LDA in caso di ritratto fotografico, consentono di ritenere la rilevanza giuridica del diritto alla paternità anche nel caso dell’autore di fotografie non creative.

Il diritto di rivendicare la paternità dell’opera consiste non soltanto in quello di impedire l’altrui abusiva auto o eteroattribuzione di paternità, ma anche nel diritto di essere riconosciuto come l’autore dell’opera, indipendentemente dalla parallela, ma pur solo eventuale, attribuzione ad altri, e la violazione del diritto importa l’obbligo del responsabile di risarcire il danno non patrimoniale arrecato.

 

18 Febbraio 2021

Responsabilità da direzione e coordinamento relativa a società controllata da ente pubblico

L’art. 2497 c.c. può trovare applicazione anche nelle ipotesi in cui il potere di eterodirezione competa ed un soggetto pubblico (e, quindi, anche ad un ente locale), purché diverso dallo Stato (così come chiarito dalla norma di interpretazione autentica dell’art. 19 del d.l. 78/2009, convertito nella L. 102/2009, second cui “L’articolo 2497, primo comma, del codice civile si interpreta nel senso che per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell’ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria”).

La responsabilità ex art. 2497, I co., c.c. presuppone che il pregiudizio alla redditività ed al valore della partecipazione dei soci (di minoranza) della società eterodiretta, e/o la lesione dell’integrità del patrimonio sociale, con susseguente insufficienza dello stesso al soddisfacimento dei
creditori sociali, siano portato e conseguenza di attività e scelte poste in essere in esecuzione di direttive ascrivibili alla cd. holding ed integranti esercizio abusivo ed illegittimo dell’attività di direzione e coordinamento, in violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale della società eterodiretta. Segnatamente, la società controllante o titolare di una posizione che le consenta l’esercizio di attività di direzione e coordinamento nei confronti di altre società potrà essere chiamata a rispondere degli atti posti in essere dagli amministratori di queste ultime, a condizione che risulti che detti atti gestori, oltre ad essere orientati al perseguimento dell’interesse
imprenditoriale della holding, in violazione dei principi di corretta gestione della società eterodiretta, siano, altresì, riguardabili, in concreto, come momenti di attuazione di direttive ed istruzioni impartite dalla medesima holding, sì da essere alla stessa addebitabili.

La fattispecie di responsabilità ex art. 2497 c.c. in materia di società controllate da enti pubblici presuppone la prova, a carico della parte che la invoca, della esistenza “cumulativa” non solo a) della titolarità, in capo ad una società o ad un ente, di un potere di direzione e di coordinamento nei confronti di altra società, ma anche degli ulteriori elementi quali b) la violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della eterodiretta; c) l’agire nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui; d) il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione e/o la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società; e) lo stretto nesso di causalità tra la condotta di eterogestione abusiva ed il pregiudizio prospettato.

Affinché una condotta della parte “dirigente/coordinante”, posta in essere sulla base della relazione con la “eterodiretta/coordinata”
ed in attuazione del potere di direzione in questione, si colori di antigiuridicità è necessario che il perseguimento dell’interesse
proprio o altrui della società in posizione apicale sia incompatibile con gli interessi della “eterodiretta/coordinata”, sì da risultare (di conseguenza) da un lato contrario al dovere della prima di gestire con correttezza il proprio potere sulla seconda (“mala gestio” ex art. 2497 c.c.) e, dall’altro (e parimenti di conseguenza), causativo, a quest’ultima, come effetto immediato e diretto ex artt. 1223 e 2056 c.c., di un pregiudizio.

7 Gennaio 2021

La violazione del diritto di marchio derivante dal rischio di confusione tra i segni utilizzati in settori merceologici differenti

Le lettere dell’alfabeto possono costituire valido marchio a prescindere dall’eventuale caratterizzazione grafica che sia stata loro conferita, purché esse siano idonee a distinguere, nella percezione del pubblico di riferimento, i prodotti o i servizi di un’impresa rispetto a quelli offerti da altre imprese. Soltanto in mancanza di capacità distintiva si configura l’impedimento assoluto alla registrazione del marchio di cui all’ art. 7, comma 1, lett. b) del Regolamento europeo n. 1001 del 2017 e l’assenza del requisito richiesto dagli artt. 13 e 25, comma 1, lett. b) c.p.i. È evidente che in questo contesto la lettera dell’alfabeto non viene in rilievo in quanto tale – sarebbe evidentemente insuscettibile di appropriazione – ma nella sua valenza meramente figurativa e grafica, di simbolo astratto. Essa così per la totale arbitrarietà del nesso che si viene a stabilire fra il simbolo ed il prodotto si connota come marchio “forte”.

23 Dicembre 2020

Uso effettivo del marchio internazionale idoneo ad evitarne la decadenza in Italia

Un marchio forma oggetto di un “uso effettivo” allorché assolve alla sua funzione essenziale, che è di garantire l’identità di origine dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato, al fine di trovare o mantenere per essi uno sbocco, e, pertanto, richiede la prova che esso è oggetto di uno sfruttamento commerciale reale, avuto riguardo alle caratteristiche del mercato, alla natura di tali prodotti o servizi tutelati, l’estensione territoriale e quantitativa dell’uso, nonché la sua frequenza e regolarità.
Qualsiasi forma di utilizzazione del marchio in funzione distintiva è astrattamente idonea ad evitare la decadenza per non uso, purché da essa possa discendere un effetto economico rilevante sotto il profilo concorrenziale, non essendo sufficiente un uso solo sporadico o simbolico teso soltanto a conservare i diritti conferiti dal marchio che, privando i concorrenti della possibilità di usare tale segno, rischierebbe di ostacolare la concorrenza, limitando la circolazione delle merci e la libera prestazione dei servizi.
E’ necessario, peraltro, ai fini del mantenimento dei diritti conferiti da un marchio per una determinata classe di prodotti o di servizi, che il marchio sia stato usato nel mercato dei prodotti o dei servizi di tale classe, in considerazione del numero dei marchi registrati e dei conflitti che possono tra essi insorgere.

4 Dicembre 2020

Intese anticoncorrenziali e tutela del consumatore che stipula il contratto a valle

Il provvedimento n. 55 del 2/5/2005 emesso dalla Banca d’Italia in funzione di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi possiede, al pari di quelli emessi dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, un’elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale, indipendentemente dalle misure sanzionatorie che siano in esso pronunciate. Il giudice del merito è tenuto, per un verso, ad apprezzarne il contenuto complessivo, senza poter limitare il suo esame a parti isolate di esso, e, per altro verso, a valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva, non potendo attribuire rilievo decisivo all’attuazione o meno della prescrizione contenuta nel menzionato provvedimento con cui è stato imposto all’ABI di estromettere le clausole vietate dallo schema contrattuale diffuso presso il sistema bancario. Inoltre, va allocato in capo all’attore l’onere della prova dell’adesione, da parte della banca convenuta, alla ipotizzata intesa restrittiva anticoncorrenziale, inclusa la circostanza che la fideiussione omnibus rilasciata sia conforme al modello contrattuale, che si assume lesivo della normativa antitrust e che la libertà di scelta del fideiussore sia stata effettivamente lesa.

La l. 287/1990 detta norme a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatari non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato, ovvero chiunque abbia un interesse processualmente rilevante alla conservazione del suo carattere competitivo, al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura, o alla diminuzione, di tale carattere per effetto di un’intesa vietata, tenuto conto, da un lato, che, di fronte a un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza, il consumatore,  acquirente finale del prodotto offerto dal mercato, vede eluso il proprio diritto a una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza e, dall’altro, che il cosiddetto contratto a valle costituisce lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti. Pertanto, siccome la violazione di interessi riconosciuti rilevanti dall’ordinamento giuridico integra, almeno potenzialmente, il danno ingiusto ex art. 2043 c.c., il consumatore finale, che subisce un danno da una contrattazione che non ammette alternative per l’effetto di una collusione a monte, ha a propria disposizione, ancorché non sia partecipe di un rapporto di concorrenza con gli imprenditori autori della collusione, l’azione di accertamento della nullità dell’intesa e di risarcimento del danno, di cui all’art. 33 della l. 287/1990.

La nullità per violazione della disciplina antitrust è espressamente prevista per le intese illecite tra imprenditori, non anche per i contratti stipulati a valle, rispetto ai quali, qualora costituiscano lo sbocco delle intese illecite e ne rappresentino l’esecuzione, l’ordinamento giuridico riconosce soltanto la tutela risarcitoria a favore del contraente danneggiato.

La nullità dell’intesa a monte non si comunica al contratto collegato a valle. Infatti, per affermare la nullità derivata di un contratto a valle rispetto a quella dichiarata del contratto a monte tra soggetti diversi, salva la prova della illiceità e contrarietà a norma imperativa della convenzione, è necessario dimostrare un nesso di dipendenza delle fideiussioni con la deliberazione dell’ABI ovvero un collegamento negoziale nel suo significato tecnico. Tuttavia, la circostanza che l’impresa collusa uniformi al programma anticoncorrenziale le manifestazioni della propria autonomia privata non appare sufficiente a privare il successivo contratto a valle di una autonoma ragione pratica. Inoltre, i contratti conclusi in aderenza alla prassi di seguire gli schemi ABI neppure possono qualificarsi come illeciti ex se, atteso che sebbene l’art. 2 della legge 287/1990 vieti le suddette intese sancendone la nullità ad ogni effetto, nulla dispone circa le sorti dei rapporti commerciali tra le imprese parti dell’intesa anticoncorrenziale e altri contraenti. Non è sufficiente la semplice violazione della norma imperativa dell’art. 2 della legge 287/1990, ma occorre che per effetto di tale violazione si determini una situazione di oggettiva incompatibilità tra il precetto posto dalla disposizione antimonopolistica e la regola negoziale contenuta nei contratti a valle dell’intesa. È dunque necessario che la proibizione contenuta nella norma, che fa divieto alle imprese di conformare la propria condotta e le proprie scelte strategiche secondo standard comportamentali illeciti, investa anche il precetto che le parti si sono date e in base al quale intendono disciplinare i propri rapporti a valle.

29 Settembre 2020

Pubblicazione online di fotografie semplici e consenso necessario dell’autore

La disciplina del diritto d’autore concernente le opere fotografiche contempla tre diverse ipotesi di tutela: i) le opere d’ingegno che ricadono sotto la previsione dell’art. 2 n. 7 l.d.a. e che godono della tutela d’autore ai sensi degli artt. 12 e ss., 20 e ss. e 171 e ss.; ii) le fotografie semplici, vale a dire le immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale o sociale, prive del carattere creativo, pur essendo caratterizzate da una qualche attività personale del fotografo, quanto meno nella ricerca del soggetto da fotografare, e tutelate, più limitatamente, ai sensi degli artt. 87 e ss. l.d.a., come tipici diritti connessi; iii) le fotografie di scritti, documenti, carte di affari, oggetti materiali, disegni tecnici e prodotti simili, prive di tutela ex art. 87, comma 2, l.d.a. [nel caso di specie il Tribunale, dopo aver accertato che le immagini in questione sono fotografie semplici tutelabili ex art.87 e seguenti l.d.a., ha rigettato la domanda risarcitoria avanzata dalla parte attrice poiché ha desunto, dagli elementi di fatto, che tra le parti sussisteva l’accordo circa la possibilità di utilizzo e pubblicazione delle stesse.]

15 Settembre 2020

Concorrenza sleale (confusoria) ‘interferente’: la competenza della Sezione Specializzata in Materia di Impresa

Si ha competenza funzionale della Sezione Specializzata in Materia di Impresa, ai sensi del combinato disposto degli articoli 3 del D. Lgs. 168/2003 e 134, comma 1, lettera a) del C.p.i., laddove, sulla base della domanda cautelare proposta, la concorrenza sleale interferisca con l’esercizio di diritti di proprietà industriale.