Tribunale di Roma
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Nullità di marchio registrato per carenza del requisito di novità in presenza di un marchio di fatto anteriore
Anche i nomi geografici possono formare oggetto di marchio registrato dal momento che il toponimo può assumere un significato originale e di fantasia mediante trasposizione dal piano del riferimento dei luoghi a quello della funzione individualizzante il prodotto e ciò soprattutto quando si tratta di piccole località ignote come tali alla generalità dei consumatori.
In relazione al marchio non registrato, cd. marchio di fatto, l’utilizzazione rappresenta un elemento costitutivo della fattispecie e la sua assenza determina di per sé l’impossibilità di realizzare una delle condizioni indispensabili per la sua tutela, qualora a seguito dell’interruzione del suo uso e della conseguente perdita di notorietà, sia trascorso un lasso di tempo idoneo a far ritenere che il mercato abbia perso il ricordo del segno e della sua specifica provenienza imprenditoriale, incombendo a chi se ne afferma titolare l’onere di fornire la prova dell’uso, della sua estensione territoriale e della sua persistente notorietà, siccome elementi che attengono tutti alla fattispecie costitutiva del diritto.
La notorietà qualificata del marchio di fatto va riferita all’attualità ed alla sua capacità di svolgere concretamente la funzione distintiva che gli è propria; sicché essa non si può considerare esistente solo in virtù della notorietà e del pregio conseguite dal segno in passato se manca la prova della prosecuzione e dell’attualità della produzione.
Denuncia al Tribunale ex art. 2409 cod. civ. da parte dei componenti del collegio sindacale
Ai sensi dell’art. 2409 cod. civ. non assume rilievo qualsiasi violazione dei doveri gravanti sull’organo amministrativo ma soltanto la violazione di quei doveri idonei a compromettere il corretto esercizio dell’attività di gestione dell’impresa e a determinare pericolo di danno per la società amministrata o per le società controllate, con esclusione di qualsiasi rilevanza, invece, dei doveri gravanti sugli amministratori per finalità organizzative, amministrative, di corretto esercizio della vita della compagine sociale e di esercizio dei diritti dei soci e dei terzi estranei. Le gravi irregolarità, inoltre, devono essere attuali e devono assumere un carattere dannoso nel senso che deve trattarsi di violazione di norme civili, penali, tributarie o amministrative, capaci di provocare un danno al patrimonio sociale e, di conseguenza, agli interessi dei soci e dei creditori sociali ovvero un grave turbamento dell’attività sociale. Come nel caso di specie, deve pertanto essere accolta la domanda dei componenti del collegio sindacale di una S.p.A. di ordinarsi l’ispezione della società ex art. 2409 cod. civ., denunciando (i) l’omesso accertamento, da parte degli amministratori, della perdita della continuità aziendale, non avendo considerato, in particolare, i segnali derivanti dal fatto che le entrate generate dall’attività produttiva non erano nemmeno sufficienti a coprire i costi della produzione né tantomeno a far fronte all’ingente indebitamento della società, nonché (ii) il compimento, da parte degli amministratori, di atti pregiudizievoli per il patrimonio sociale e rischio di ulteriore depauperamento, tra cui, inter alia, la realizzazione di un’operazione di conferimento del ramo di azienda che rappresentava l’unico asset della società che generasse delle entrate.
Eccesso dei limiti convenzionali ai poteri rappresentatitivi di amministratore di S.r.l.: conseguenze e legittimazione
La regola posta dall’art. 2475-bis, primo comma, c.c. costituisce una norma di default destinata ad assumere rilevanza nel silenzio dello statuto o dell’atto di nomina. Anche nelle società a responsabilità limitata, infatti, è possibile attribuire il potere di rappresentanza soltanto ad alcuni amministratori ovvero ricollegarla alla titolarità di alcune cariche (come la carica di amministratore delegato o di presidente del consiglio di amministrazione); ciò lo si può desumere dal fatto che tra le indicazioni che l’atto costitutivo deve necessariamente contenere rientrano quelle concernenti la rappresentanza della società (art. 2463 comma 2, n. 7 c.c.) e che l’art. 2383 comma 4 (richiamato dall’art. 2475 comma 2 c.c.) prevede che entro trenta giorni dalla notizia della nomina, gli amministratori devono chiederne l’iscrizione nel registro delle imprese indicando a quali tra essi è attribuita la rappresentanza della società, nonché – in ultimo – da quanto indicato all’art. 2475-ter c.c. dove nel menzionare gli «amministratori che hanno la rappresentanza della società» lascia desumere che possono esservi amministratori che non hanno detto potere in conseguenza di limitazioni poste dall’atto costitutivo o dall’atto di nomina.
Le limitazioni statutarie – a differenza delle limitazioni legali – dei poteri rappresentativi degli amministratori non si riverberano in maniera automatica sul contratto sottoscritto dagli amministratori con i terzi, non essendo, se non nel concorso degli altri presupposti indicati dall’art. 2475-bis c.c., ad essi opponibili. Il fatto che un amministratore abbia sottoscritto un contratto eccedendo la propria limitazione del potere rappresentativo, può presentare conseguenze sul piano dei rapporti interni alla società, giustificando la revoca dell’amministratore dall’incarico gestorio ovvero la proposizione di una azione di responsabilità nei suoi confronti ovvero ancora, qualora nella società sia presente il collegio sindacale, la denunzia ex art. 2408 c.c.
Nel caso di violazione dei limiti convenzionali al potere rappresentativo degli amministratori nell’ipotesi descritta dall’ultima parte dell’art. 2475-bis secondo comma c.c. (ossia nel caso in cui il terzo contraente abbia intenzionalmente agito in danno della società) solo la società (e non, quindi, anche il singolo socio) è legittimata ad opporre ai terzi tali limitazioni. Ciò alla luce del fatto che nelle società di capitali, l’interesse del socio al potenziamento ed alla conservazione della consistenza economica dell’ente è tutelabile esclusivamente con strumenti interni alla società (rappresentati dalla partecipazione alla vita sociale e dalla possibilità di insorgere contro le deliberazioni o di far valere la responsabilità degli organi sociali) e non implica la legittimazione a denunciare in giudizio atti esterni ed, in particolare, ad impugnare i negozi giuridici stipulati dalla società, la cui validità, anche nelle ipotesi di nullità per illiceità dell’oggetto, della causa o dei motivi, resta contestabile solo dalla società stessa, senza che in contrario il socio possa invocare la norma dell’art. 1421 c.c
L’eventuale inefficacia del contratto concluso dal falsus procurator di una società può essere fatta valere dal falso rappresentato, ma non dai soci di quest’ultimo qualora costituito in forma di società di capitali.
Presupposti del plagio di opera musicale e lesione dei diritti morali e patrimoniali dell’autore
Lesione del diritto di esclusiva del marchio registrato “I Cugini di Campagna”, rischio di confusione e tutela del marchio forte
Il rischio di confusione si fonda sulla valutazione di due elementi: il cd. giudizio di confondibilità dei segni identici o simili e la valutazione di identità/affinità dei prodotti o servizi a cui i segni si riferiscono. Inoltre, poiché l’intensità della tutela del marchio varia in funzione del maggiore o minore grado di capacità distintiva di cui esso è dotato, risulta di fondamentale importanza, ai fini della valutazione della somiglianza, stabilire se il marchio in questione abbia le caratteristiche di un marchio “debole” o di un marchio “forte”. In estrema sintesi, si definiscono “deboli” quei marchi che, pure essendo validi, sono espressivi, ovvero descrittivi del prodotto o del sevizio contraddistinto, delle sue qualità o delle sue funzioni; si definiscono, invece, “forti” quei marchi privi di qualsiasi nesso significativo con i prodotti o i servizi contraddistinti, in cui è maggiore la capacità distintiva o che abbiano comunque acquistato tale forza distintiva attraverso l’uso prolungato e continuato, l’ampia diffusione tra il pubblico e l’intensa pubblicizzazione. [ Nel caso di specie non è possibile affermare che le espressioni “già”, “ex voce di”, “ex”, riportate sui manifesti pubblicitari prodotti in giudizio siano confondibili con il marchio registrato e dunque idonee ad ingenerare confusione nel pubblico dei possibili fruitori degli spettacoli musicali, ai quali, osservando i predetti manifesti, risulta ben chiaro di trovarsi di fronte ad una performance del solo convenuto e non (anche) del gruppo musicale “I Cugini di Campagna”.]
In caso di scissione al socio dissenziente spetta il diritto di recesso che non può essere surrogato da forme di attribuzioni patrimoniali diverse
Ai sensi dell’art. 2473 c.c., il socio, ove non consenta alla deliberazione di scissione, ha «in ogni caso» diritto di recedere dalla società. Trattasi di una ipotesi di recesso che non può essere eliminata né dallo statuto né dalla deliberazione di scissione e ciò anche nel caso in cui la delibera di scissione preveda, in luogo del recesso, l’attribuzione al socio dissenziente di quote proporzionali nelle società di nuova costituzione.
Inammissibilità del ricorso per mancata indicazione della causa di merito
Il requisito della necessaria indicazione della causa di merito in un giudizio cautelare non può interpretarsi in termini strettamente formalistici, imponendo al ricorrente in sede cautelare di indicare in maniera espressa gli estremi della futura domanda di merito, precisandone finanche le relative conclusioni. Ciò che rileva, piuttosto, è che sia possibile dedurre chiaramente, dal tenore complessivo del ricorso, il contenuto del possibile giudizio di cognizione, senza necessità di un’indicazione testuale ed analitica delle richieste da proporsi successivamente in detta sede.
Diritto del nudo proprietario di consultare la documentazione sociale di s.r.l.
Il diritto di informazione previsto dall’art. 2476 co. 2 c.c. costituisce, come noto, espressione di un generale potere di controllo spettante al socio di s.r.l. sull’attività gestoria, non solo a tutela di propri interessi individuali, ma anche al fine di tutelare il generale interesse sociale a una corretta gestione a cura degli amministratori. Così concepito, risulta evidente che il diritto del socio alla informazione e consultazione della documentazione societaria, quale strumento essenziale con cui si realizza il controllo sulla gestione dell’impresa, non può ritenersi soggetto ad alcun limite temporale, potendo essere esercitato in ogni momento, per tutto il periodo in cui perdura il rapporto associativo e non può dunque essere limitato temporalmente, opponendo il termine prescrizionale quinquennale.
L’attribuzione, in via esclusiva, di tutti i diritti amministrativi correlati alla propria partecipazione sociale in favore dell’usufruttuario non preclude al nudo proprietario l’esercizio del diritto di controllo previsto dall’art. 2476, co. 2, c.c. A ciò non osta il rinvio operato dall’art. 2471 bis c.c. alla disciplina in materia di società per azioni, il quale non può prescindere dalla considerazione della diversità del tipo sociale delle società a responsabilità limitata, dovendosi necessariamente operare, come osservato da attenta dottrina, una verifica di compatibilità del precetto contenuto con l’art. 2352 c.c. con le peculiarità proprie delle società a responsabilità limitata. Un siffatto rilievo si impone, senz’altro con riferimento al diritto di vigilanza previsto in capo al socio di s.r.l. dall’art. 2476 co. 2 c.c., costituendo lo stesso una prerogativa del tutto estranea alla disciplina legislativa delle s.p.a. Non deve pertanto ritenersi consentito alle parti, in virtù dei richiamati artt. 2471 bis e 2352, ult. co., c.c., attribuire in via esclusiva al solo usufruttuario l’esercizio del potere di vigilanza sulla gestione sociale previsto dall’art. 2476 co. 2 c.c.
Provvedimenti cautelari di natura anticipatoria e omessa instaurazione del procedimento di merito
In conformità alla formulazione dell’art. 132, comma 4, c.p.i. la mancata instaurazione del giudizio di merito non determina la caducazione dei provvedimenti cautelari di natura anticipatoria che assumono dunque carattere di stabilità.
In forza del combinato disposto dell’art. 187, comma 1, c.p.c. e dell’art. 80-bis disp. att. c.p.c., in sede di udienza fissata per la prima comparizione delle parti e la trattazione della causa ex art. 183 c.p.c., la richiesta della parte di concessione di termine ai sensi del comma 6 di detto articolo non preclude al giudice di esercitare il potere di invitare le parti a precisare le conclusioni ed assegnare la causa in decisione, atteso che, ogni diversa interpretazione delle norme suddette, comportando il rischio di richieste puramente strumentali, si porrebbe in contrasto con il principio costituzionale della durata ragionevole del processo, oltre che con il “favor” legislativo per una decisione immediata della causa desumibile dall’art. 189 c.p.c.
Rapporto di inerenza tra la domanda di merito volta ad accertare la contraffazione del marchio debole e la successiva domanda cautelare
Ove nel giudizio di merito venga invocata la tutela del marchio non solo nei confronti di segni e/o marchi allegati e specificamente individuati, ma anche di qualsiasi altro segno distintivo simile a quello azionato, l’ampliamento dell’azione di contraffazione a nuovi marchi che presentano gli stessi profili di illiceità non travalica le barriere preclusive previste dal codice di rito (nel senso di emendare il petitum ben oltre i relativi termini ex art. 183 c.p.c.) a presidio della definitiva formazione del thema decidendum e del thema probandum della causa di merito. Infatti, anche i nuovi segni aventi determinate caratteristiche devono ritenersi compresi nel perimetro oggettivo dell’originaria azione di merito. Ne consegue allora che qualsivoglia nuovo marchio o segno distintivo, che comunque utilizzi una delle due componenti caratteristiche del marchio oggetto della domanda di contraffazione, va considerato compreso nel thema decidendum e potrà essere preso in considerazione anche dalla sentenza resa all’esito del giudizio di merito.
[Nel caso in esame, l’organo giudicante specifica che l’eventuale statuizione di accoglimento della domanda di contraffazione non potrà limitarsi ad inibire genericamente l’uso di qualsiasi altro segno distintivo identico o simile al marchio/i dell’attore, ma dovrà indicare con precisione quale/i caratteristiche specifiche del/i marchio/i dell’attore non potranno essere usate nei nuovi o futuri segni distintivi utilizzati dalla convenuta.]