Tribunale di Roma
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Quando si può parlare di “Format televisivo”?
In tema di diritto di autore relativo a programmi televisivi, ai fini della configurabilità di un’opera dell’ingegno, pur potendosi prescindere da una assoluta novità e originalità di essa e nell’ambito di un concetto giuridico di creatività comunque soggettivo, è necessario, con riferimento al “format”, cioè all’idea base di programma quale modello da ripetere anche da altre emittenti o in altre occasioni ed in assenza di una definizione normativa, avere riguardo alla nozione risultante dal bollettino ufficiale della SIAE n. 66 del 1994, secondo cui l’opera, ai fini della prescritta tutela, deve presentare, come elementi qualificanti, delle articolazioni sequenziali e tematiche, costituite da un titolo, un canovaccio o struttura narrativa di base, un apparato scenico e personaggi fissi, così realizzando una struttura esplicativa ripetibile del programma. In particolare, ai fini di considerare un format “nuovo” è necessario che i profili innovativi siano tali da delineare lo stesso in modo diverso rispetto alle edizioni precedenti. Qualora, invece, gli elementi costituenti il nocciolo centrale del programma, quale, ad esempio, il nucleo centrale del titolo, la sigla, la struttura narrativa di base, l’apparato scenico quest’ultimo itinerante sul territorio e personaggi rimangano invariati, non potrà essere riconosciuta una portata innovativa tale da consentire di ascrivere l’ideazione di una diversa trasmissione televisiva
Onere della prova in ordine alla notorietà del marchio di fatto a livello non puramente locale
Secondo il più moderno indirizzo dottrinale e giurisprudenziale mentre l’uso del marchio di fatto rappresenta il fatto costitutivo del diritto sul segno, soltanto la notorietà non puramente locale è il presupposto costitutivo della tutela nei confronti di un successivo marchio registrato uguale o simile. Difatti, a seguito della riforma del 1992 della legge marchi, la norma dell’art. 17, oggi trasfusa nell’art. 12 del Codice della proprietà industriale, attribuisce rilievo al dato sostanziale costituito dalla preesistenza, rispetto alla data di deposito della registrazione, di parole, figure o segni già noti ai consumatori come marchi d’impresa. Non è, dunque, sufficiente un qualsiasi uso anteriore: per determinare la nullità della successiva registrazione dell’altrui marchio, il segno distintivo deve godere di una notorietà che non sia riferita in ambito territoriale ristretto. È necessaria, cioè, una notorietà qualificata, la quale è definita in negativo dal concetto di notorietà puramente locale. La migliore dottrina sottolinea al riguardo che l’equiparazione dell’uso del segno alla sua notorietà è del tutto incoerente con la ratio della norma e con l’attuale tendenza a livello mondiale a comprimere la tutela del preutente a favore di un crescente rilievo della registrazione, sicché afferma che uso e notorietà sono due concetti contrapposti e distinti. Infatti, l’uso privo di notorietà è possibile tutte le volte in cui non siano maturate le condizioni per un vero acquisto di distintività del marchio di fatto. La più recente giurisprudenza condivide tale opinione laddove afferma che il preuso di carattere generale necessita di una diffusione sistematica richiedendo la legge un quid pluris rispetto al naturale effetto di conoscenza indotto dall’uso, ovvero che la diffusione del segno sul mercato sia tale da renderlo conosciuto ad un larga parte dei consumatori interessati. [Nel caso in esame, il Collegio, rileva come la commercializzazione del prodotto contrassegnato dal marchio di fatto in diverse regioni oltre quella di produzione e tramite alcune piattaforme online costituisce un indizio della conoscenza effettiva del marchio, ma ove non si fornisca la prova che esso copre una quota apprezzabile di mercato, non è da sola sufficiente a dimostrare la raggiunta notorietà generale del marchio di fatto apposto sul prodotto in questione.]
Violazione del patto di non concorrenza e sfruttamento indebito dei segreti commerciali
Riconoscimento del diritto morale all’esecutore di parti di primo piano all’interno di colonne sonore
Gli AIE (artisti interpreti ed esecutori) che sostengono le “prime parti” nell’opera o nella composizione musicale hanno diritto alla significazione del nome nella comunicazione al pubblico della loro recitazione, esecuzione o rappresentazione e alla stabile apposizione di tale nome sui supporti contenenti la relativa fissazione, quali i fonogrammi, i videogrammi o le pellicole cinematografiche; invece gli AIE che sostengono una parte “di notevole importanza artistica”, anche se di artista esecutore comprimario, hanno diritto ad esercitare una qualsiasi delle tutele riconosciute a favore degli esecutori dalla LDA. La “prima parte” è indipendente dal suo valore artistico ed è tale a causa della dimensione del contenuto e della durata di maggiore consistenza nella stesura della composizione, mentre “l’importanza artistica” della parte va individuata con riferimento alla sola stesura fattuale dell’opera eseguita, senza tenere conto dell’abilità, dell’impegno e della valenza profusi dall’esecutore o della sua fama artistica. In un’interpretazione costituzionalmente garantita deve riconoscersi anche agli AIE il diritto morale di rivendicare erga omnes la paternità della propria esecuzione di “parti di notevole importanza” o di “prime parti” di opere musicali in quanto l’interpretazione artistica, sebbene non si traduca, come per gli autori, nella creazione di opere dell’ingegno dotate di compiutezza espressiva, va comunque considerata una manifestazione dello sviluppo della persona umana (art. 3 Cost.), della libertà di pensiero (art. 21 Cost.), dell’arte (art. 33 Cost.) e della cultura (art. 9 Cost.).
Finzione di avveramento della condizione potestativa mista
La causa avente per oggetto un contratto relativo a diritti disciplinati dalla legge sul diritto d’autore rientra nella competenza della Sezione Specializzata in materia di Impresa.
La condizione potestativa mista, il cui avveramento dipende in parte da un terzo e in parte dalla volontà di uno dei contraenti, è soggetta alla disciplina degli artt. 1358 e 1359 c.c.
Concorrenza sleale: comportamenti parassitari e sviamento di clientela
Ove per comportamento parassitario si intenda l’utilizzo di notizie attinenti all’organizzazione dell’impresa o quelle relative ai rapporti con i clienti di un altro imprenditore acquisite nel corso della attività svolta in collaborazione con lo stesso, la configurabilità della concorrenza sleale, ai sensi dell’articolo 2598, n. 3, c.c., va riconosciuta solo ove si tratti di notizie per loro natura riservate non essendo destinate ad essere divulgate al di fuori dell’azienda, ancorché normalmente accessibili ai dipendenti e collaboratori.
Lo sfruttamento del bagaglio di conoscenze professionali acquisito nel corso di una precedente collaborazione non costituisce di per sé illecito concorrenziale, a condizione che non venga accompagnato da attività confusorie o denigratorie e in assenza di un patto di non sfruttamento delle conoscenze acquisite; il semplice utilizzo delle conoscenze professionali non integra neppure una situazione di parassitismo, consistente nella continua e sistematica imitazione delle iniziative imprenditoriali della concorrente, quale mezzo per lo sfruttamento sistematico del lavoro e della creatività altrui.
In tema di concorrenza sleale per sviamento di clientela, l’illiceità della condotta non dev’essere ricercata episodicamente, ma va desunta dalla qualificazione tendenziale dell’insieme della manovra posta in essere per danneggiare il concorrente, o per approfittare sistematicamente del suo avviamento sul mercato. Pertanto, mentre è contraria alle norme di correttezza imprenditoriale l’acquisizione sistematica, da parte di un ex dipendente che abbia intrapreso un’autonoma attività imprenditoriale, di clienti del precedente datore di lavoro il cui avviamento costituisca, soprattutto nella fase iniziale, il terreno dell’attività elettiva della nuova impresa, più facilmente praticabile proprio in virtù delle conoscenze riservate precedentemente acquisite, deve ritenersi fisiologico il fatto che il nuovo imprenditore, nella sua opera di proposizione e promozione sul mercato della sua nuova attività, acquisisca o tenti di acquisire anche alcuni clienti già in rapporti con l’impresa alle cui dipendenze aveva prestato lavoro.
Accertamento cautelare e rischio di confusione tra segni utilizzati nell’attività politica: l’emblema della fiamma tricolore
Determinazione del danno in caso di prosecuzione dell’attività al verificarsi di una causa di scioglimento
Per la determinazione del danno causato dalla violazione del divieto di prosecuzione dell’attività in seguito al verificarsi di una causa di scioglimento, il criterio a cui fare riferimento è quello della cd. differenza dei netti patrimoniali. Con tale criterio, il danno viene calcolato come differenza tra i patrimoni netti individuati nel momento in cui si verifica la causa di scioglimento e nel momento del passaggio alla fase di liquidazione (ovvero della dichiarazione di fallimento). In questo modo, il metodo adottato rispetta il nesso di causalità tra il comportamento illegittimo e la produzione del danno, in quanto il dato iniziale – costituito dal patrimonio netto alla data del verificarsi della causa di scioglimento – risulta comprensivo anche delle perdite causate dalla gestione precedente al verificarsi della causa di scioglimento che, in tal modo, non vengono poste a carico della gestione dell’amministratore in relazione al quale viene valutato il comportamento. Il danno in termini di perdita incrementale netta, infatti, consente di apprezzare in via sintetica ma plausibile l’effettiva diminuzione subita dal patrimonio della società per effetto della ritardata liquidazione.
La prescrizione del diritto al compenso maturato dal sindaco di S.p.A.
Il compenso del sindaco di S.p.A. deliberato dall’assemblea sociale per l’intera durata dell’ufficio matura, e diviene esigibile, di anno in anno, risultando in distinti diritti di credito. Ciascuno di questi soggiace alla prescrizione estintiva breve di cui all’art. 2949 c.c. pari a 5 anni, decorrente dalla chiusura dell’esercizio sociale.
Nullità della transazione stipulata fra un amministratore ed un sindaco avente ad oggetto il compenso di quest’ultimo
La transazione stipulata da un amministratore – sia pure munito di delega – ed un sindaco avente ad oggetto (o per effetto) il riconoscimento a quest’ultimo di compensi superiori quelli determinati all’atto della sua nomina è nulla, essendo tale determinazione di inderogabile competenza assembleare e trovando pertanto applicazione il disposto del secondo comma dell’art. 1966 c.c. a mente del quale “la transazione è nulla se tali diritti, per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti”.