Tribunale di Roma
776 risultati
Cancellazione dal Registro delle Imprese a seguito della dichiarazione di inefficacia del trasferimento di quote posto in essere in violazione della clausola di prelazione statutaria
Alla dichiarazione di inefficacia di un trasferimento di quote posto in essere in violazione della clausola di prelazione statutaria consegue l’ordine di cancellazione dal Registro delle Imprese dell’iscrizione di tale trasferimento.
Dies a quo della prescrizione dell’azione di responsabilità esercitata dalla curatela fallimentare
Laddove una curatela fallimentare eserciti nei confronti degli ex-amministratori l’azione di responsabilità verso i creditori sociali (art. 2394 c.c.), avente natura extracontrattuale, alla controversia è inapplicabile la clausola arbitrale contenuta nello statuto della società, alla cui formazione i terzi creditori sono e restano completamente estranei. [ LEGGI TUTTO ]
Non è affetta da invalidità la delibera assunta sulla base di voto determinante espressa da un socio il cui acquisto della quota sia stato, successivamente alla deliberazione, dichiarato invalido
Il contratto di trasferimento di quote di partecipazione in una società a responsabilità limitata, indipendentemente dall’eventuale esistenza di immobili nel patrimonio di questa, non richiede né ad substantiam né ad probationem la forma scritta, che invero è necessaria non per la validità ed efficacia della cessione tra le parti, ma solo per la sua opponibilità alla società stessa, con la conseguenza che la prova dell’accordo, tra le parti, può essere data attraverso qualunque mezzo istruttorio, anche indiziario. Viceversa, la forma scritta -e, precisamente, l’atto pubblico o la scrittura privata con sottoscrizioni autenticate- è necessaria per potere eseguire il deposito dell’atto di trasferimento presso il Registro delle Imprese (forma integrativa o ad regularitatem); solo dal momento dell’iscrizione dell’atto il trasferimento infatti sarà efficace nei confronti dei terzi e della società, che è e rimane soggetto terzo ed estraneo al trasferimento. [ LEGGI TUTTO ]
Contraffazione del marchio “Moncler”: rischio di confusione in relazione alla componente figurativa e nullità del marchio per difetto di novità
Decadenza per non uso di un marchio internazionale di abbigliamento, operativo prevalentemente sui mercati asiatici
L’istituto della decadenza per non uso, di cui all’art. 24 c.p.i., è strettamente collegato alla funzione distintiva del marchio, che viene meno quando esso non sia sul mercato, ove non sia collegato ad alcun prodotto o servizio nella percezione dei consumatori. Qualsiasi forma di utilizzazione del marchio in funzione distintiva è astrattamente idonea ad evitare la decadenza per non uso, purché da essa possa discendere un effetto economico rilevante sotto il profilo concorrenziale, non essendo sufficiente un uso solo sporadico o simbolico teso soltanto a conservare i diritti conferiti dal marchio che, privando i concorrenti della possibilità di usare tale segno, rischierebbe di ostacolare la concorrenza, limitando la circolazione delle merci e la libera prestazione dei servizi. È necessario, peraltro, ai fini del mantenimento dei diritti conferiti da un marchio per una determinata classe di prodotti o di servizi, che il marchio sia stato usato nel mercato dei prodotti o dei servizi di tale classe, in considerazione del numero dei marchi registrati e dei conflitti che possono tra essi insorgere.
Sull’onere probatorio nell’azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare
Nell’azione di responsabilità ex art. 146 l.fall., esercitata dal curatore nei confronti di amministratori e sindaci di S.p.A. fallita, l’inadempimento si presume colposo: se l’allegazione della violazione degli obblighi (che, nel caso della fattispecie dell’azione sociale riguarda doveri imposti dalla legge, dallo statuto o obblighi generali di vigilanza e intervento, mentre, nel caso dell’azione spettante ai creditori sociali, riguarda comportamenti lesivi dell’integrità patrimoniale) grava sul curatore, la prova della mancanza del nesso di causalità tra tali comportamenti e il fatto dannoso, e quindi la prova positiva dell’osservanza di tali doveri, grava sugli amministratori. In questo contesto, il nesso di causalità non è solo presupposto necessario e sufficiente per affermare la responsabilità risarcitoria, ma anche parametro per l’entità del risarcimento. In particolare, gli obblighi che riguardano la riduzione del capitale per perdite al disotto del minimo legale – prevista come causa di scioglimento, la quale conferisce agli amministratori il potere di gestire la società ai fini della liquidazione – implicano responsabilità non solo per mancanza di accertamento della menzionata causa ma anche per il suo non tempestivo riconoscimento: chi agisce ex art. 2486 c.c. deve dunque fornire evidenza della prosecuzione dell’attività imprenditoriale, dell’avvenuta perdita di capitale e gli atti negoziali posti in essere successivamente – e nonostante – la conoscenza della predetta causa di scioglimento; spetta invece agli amministratori provare che la protrazione dell’attività è dovuta a finalità liquidatorie, connesse all’ordinaria attività di impresa e non comportanti nuovi rischi.
Risarcimento del danno e quantificazione delle royalties a seguito della contraffazione del modello comunitario non registrato
La liquidazione delle somme dovute a titolo di risarcimento dei danni, patrimoniali e non, subiti in violazione dei diritti di modello comunitario non registrato deve avvenire a seguito di una valutazione equitativa, parametrata all’ipotetico prezzo della licenza (c.d. prezzo del consenso ex art. 125, 2° co., c.p.i.), alla luce della obiettiva delimitazione della condotta illecita così come desumibile dagli atti di causa, e pur tenendo conto della diversa statura delle aziende. Circa la determinazione delle royalties, in mancanza di licenze già concesse dal titolare del marchio, è applicabile la tecnica delle “royalties di transazioni comparabili”, la quale fa parte dei metodi legati alle ricerche di mercato e consiste nella stima di valore di un bene immateriale (marchio o brevetto), determinando i flussi attualizzati delle royalties derivanti dalla cessione a terzi del bene oggetto di contraffazione. In Italia le royalties sono in prevalenza determinate con riferimento al fatturato annuo delle aziende, per cui i principali fattori rilevanti ai fini della valutazione della royalty applicabile sono: a) la dimensione del business in cui si colloca il prodotto in licenza; b) la struttura distributiva di cui si avvale il licenziatario, in grado di incidere notevolmente sui proventi del licenziante; c) il grado di novità della licenza (licenze nuove vs. licenze rilanciate), che incide sul livello degli investimenti e dei rischi connessi al lancio e al sostegno dei prodotti sul mercato; d) gli obblighi di marketing e distributivi assunti dal licenziatario; e) la durata dell’accordo, di solito inversamente correlata al tasso di royalty; f) la corresponsione di royalties minime e/o garantite; g) gli altri asset immateriali coinvolti nell’accordo (know how, design, informazioni, customer lists); h) il sostegno all’attività del licenziatario offerto dal licenziante, in termini ad esempio di investimenti, di sviluppo del design del prodotto, di inserimenti nell’ambito di linee già esistenti.
S.r.l. e azione di responsabilità proposta dal socio
L’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di s.r.l. può essere proposta dal singolo socio che agisce come sostituto processuale, in nome proprio ma nell’interesse della società, la quale in questo caso è litisconsorte necessario.
La responsabilità degli amministratori di s.r.l. nei confronti della società ha natura contrattuale, derivante dal rapporto che lega gli amministratori alla società stessa; di conseguenza, il diritto fatto valere dal socio appartiene alla società che è, e rimane, titolare del diritto al risarcimento del danno dalla stessa sofferto a causa della condotta di mala gestio degli amministratori.
Decadenza per non uso del marchio: la prova può essere fornita per presunzioni
In assenza di prova da parte convenuta di fatti impeditivi, chi agisce in giudizio per far valere la decadenza per non uso di un marchio può fornire la prova ai sensi dell’art. 121 C.P.I. mediante presunzioni semplici. La prova del non uso del segno non è una prova di un fatto negativo, ma una prova piena anche per via presuntiva o con “qualunque mezzo” (ex art. 121, 1° comma 1, ultimo periodo) di fatti positivi contrari all’uso ex adverso in ipotesi dedotto, potendosi desumere argomenti di prova ovvero determinate conclusioni dal contegno processuale o dalle prove offerte dal titolare della privativa secondo i principi generali (anche quello di non contestazione che però non vale nel caso, come quello di specie, in cui il convenuto sia rimasto contumace) del codice di procedura civile. Qualora l’attore in decadenza abbia fornito precise e circostanziate allegazioni sul non uso del marchio registrato, spetta al suo titolare dimostrare l’esistenza di fatti impeditivi della decadenza stessa. E’ infatti quest’ultimo, in quanto soggetto agevolato sulla base del principio della vicinitas della prova, a dover contestare la presunzione di non uso introdotta in giudizio dall’attrice.