hai cercato articoli in

Tribunale di Genova


177 risultati
9 Giugno 2022

Giusta causa di revoca dell’amministratore di s.r.l.

In difetto di una normativa specifica disciplinante la revoca degli amministratori di s.r.l., è applicabile l’art. 1725 c.c. sulla revoca del mandato oneroso. L’amministratore di una società a responsabilità limitata nominato a tempo indeterminato può, del tutto legittimamente, esser revocato con preavviso, ai sensi dell’art. 1725, co. 2, c.c., senza che a ciò osti il disposto dell’art. 2383, co. 3, c.c. (richiamato, ratione materiae, dal successivo art. 2487 c.c.), riguardando detta norma la diversa ipotesi di nomina dell’amministratore a tempo determinato.

La giusta causa deve essere motivata sulla base di circostanze o fatti idonei a influire negativamente sulla prosecuzione del rapporto e tali da elidere l’affidamento inizialmente riposto sulle attitudini e capacità dell’amministratore, tenendo sempre in considerazione come si profila non già un potere illimitato dell’assemblea ma una facoltà discrezionale e controllata, che è limitata non già in vista del conseguimento degli interessi e degli obiettivi societari, ma solo in considerazione del rispetto della posizione sociale ed economica dell’amministratore di società. Ossia in ragione della dignità e del sacrificio economico imposto alla persona che rivestono la carica amministrativa e che in ragione dell’atto di revoca vedono sacrificata, in una misura più o meno ampia, la loro posizione. La nozione di giusta causa è distinta sia dal mero inadempimento, sia dalle gravi irregolarità di cui all’art. 2409 c.c.; infatti, essa concerne circostanze sopravvenute, anche non integranti inadempimento e non necessariamente cagionate dall’amministratore stesso, che, tuttavia, pregiudichino l’affidamento dei soci nelle sue attitudini e capacità, cioè compromettano il rapporto fiduciario tra le parti.

La giusta causa può essere sia soggettiva che oggettiva e può individuarsi anche in situazioni estranee alla persona dell’amministratore, non riconducibili alla condotta di quest’ultimo, che siano però tali da impedire la prosecuzione del rapporto. Sulla società grava l’onere probatorio riguardo alla sussistenza della stessa, poiché quando l’amministratore revocato agisce in giudizio, contestando la sussistenza della giusta causa e facendo valere il diritto al risarcimento del danno, la posizione sostanziale di attore spetta alla società.

In caso revoca di incarico a tempo indeterminato va riconosciuta, in assenza di giusta causa e di congruo preavviso, una somma da parametrarsi ai compensi che il soggetto revocato dall’incarico avrebbe percepito nel periodo di preavviso.

4 Giugno 2022

Clausola compromissoria per arbitrato rituale ed emissione di decreto ingiuntivo

La clausola di compromesso in arbitrato non osta all’emissione di un decreto ingiuntivo, perché il conseguente difetto di giurisdizione attiene alla cognizione di una controversia (e, quindi, presuppone il contraddittorio assente nel procedimento monitorio) e perché l’eccezione di compromesso è facoltativa e non è rilevabile d’ufficio. In presenza di clausola compromissoria, il giudizio di opposizione – che funzionalmente appartiene alla competenza dell’autorità giudiziaria che ha emesso il decreto ingiuntivo – deve essere definito con pronuncia di revoca del decreto ingiuntivo opposto, per difetto di competenza in ordine alla domanda proposta con il ricorso monitorio, in favore della competenza arbitrale, con assegnazione di termine per la riassunzione della domanda introdotta con la notifica del ricorso, ai sensi dell’art. 819 ter c.p.c., come modificato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 223 del 29/7/2013.

13 Maggio 2022

Improcedibilità dell’azione di condanna nei confronti di società fallita

Nel caso di fallimento di una società, l’azione per l’accertamento e la condanna al pagamento di un credito dev’essere dichiarata d’ufficio (i) inammissibile, se la dichiarazione di fallimento è anteriore alla proposizione della domanda, o (ii) improcedibile, se la dichiarazione di fallimento sopravviene nel corso del giudizio nel corso del giudizio, atteso che l’accertamento di un credito nei confronti di una società fallita è devoluto al procedimento di formazione dello stato passivo di esclusiva competenza del giudice delegato ex artt. 52 e 93 l.f. L’unica eccezione può essere costituita dal caso in cui la prosecuzione del giudizio sia finalizzata alla precostituzione di un titolo destinato a valere unicamente per l’ipotesi di ritorno in bonis della società; tuttavia, per evitare la pronuncia di improcedibilità, è necessario che l’attore in riassunzione, nel convenire la curatela, espliciti con chiarezza tale particolare finalità.

Nel caso in cui si ricorra allo strumento di cui all’ultimo comma dell’art. 2347 ter c.c. per determinare il valore delle azioni, l’eventuale contestazione avverso la stima di valore di liquidazione delle azioni del recedente effettuata dall’esperto nominato dal Tribunale non soggiace ai  termini del reclamo cautelare né dell’appello di merito, essendo pertanto la contestazione soggetta al termine ordinario decennale di prescrizione dei diritti.

30 Aprile 2022

Rinuncia al compenso dell’amministratore per causa esterna e revoca per giusta causa

Il carattere oneroso per la società della funzione di amministratore è stabilito dall’art. 2389 c.c., essendo tuttavia possibile la rinuncia, competendo alla assemblea la relativa deliberazione, con facoltà di liquidazione giudiziaria in difetto. La rinuncia stessa si presenta formalmente quale una remissione del debito (art. 1236 c.c.), ovvero come negozio unilaterale cui la legge, alla condizione della sussistenza effettiva del rapporto obbligatorio, della piena volontarietà della remissione e della inequivoca comunicazione, fa discendere l’estinzione dell’obbligazione rimessa a prescindere da una causa specifica, con ciò derogando, settorialmente, al principio di causalità, come possibile unicamente, in ambito patrimoniale, per i negozi unilaterali tipici (art 1987 c.c.). Il carattere astratto della rimessione non è tuttavia un carattere necessario, ma solo una potenzialità di legge e nulla esclude che, invece, la remissione sia dotata di causa esterna e che si configuri come momento attuativo di un diverso negozio, in primis di un contratto. In tal caso, l’effetto della remissione resta collegato al contesto negoziale in cui la stessa si colloca. In ogni caso, tra le condizioni di una valida remissione vi è anche la piena consapevolezza del quadro di fatto relativo ai rapporti tra le parti nel momento in cui la dichiarazione viene fatta. Inoltre, è espressamente ammessa la rinunzia condizionata al credito, essendo evidente che la causa esterna della rinuncia possa essere riguardata, quantomeno, come condizione implicita della stessa.

In materia di giusta causa di revoca ante tempus degli amministratori di società di capitali, stante la competenza dell’organo assembleare, è stato stabilito un principio di fissità della contestazione, ricavabile per via indiretta. I motivi di revoca sarebbero in teoria liberamente apprezzabili anche a posteriori e, in effetti, la contestazione non esige termini. Tuttavia, posto che il decisone è l’assemblea, i motivi rilevanti restano fissati in quelli che l’assemblea stessa ha effettivamente preso in considerazione. In generale, non è ammessa come giusta causa la mera modifica strutturale dell’organo per ragioni organizzativa. Il tutto evidentemente al fine di non consentire aggiramenti facilissimi di altri limiti, e comunque addossando all’azienda il rischio economico della revisione delle sue deliberazioni in ordine alla composizione del vertice. In ordine alle ragioni soggettive, è ammessa un’ampia libertà da parte della società nella valutazione degli elementi in grado di far cessare il rapporto fiduciario, essendo richiesta la sola condizione di un contenuto oggettivo minimo, il quale consenta una sia pur essenziale valutazione obiettiva di scorrettezza (una valutazione diversa, e anche minore, dell’inadempimento). Il tutto al fine di distinguere l’ipotesi da quella del nutum prevista solo da disposizioni speciali. Infine, la mera contrapposizione di interessi e la reciproca difesa di diritti non è mai considerata giusta causa di revoca, per l’ovvia necessità di non compromettere diritti ammettendo la possibilità di una reazione abnorme alla loro difesa.

30 Aprile 2022

Rinunciabilità della competenza arbitrale e rimborso delle quote di capitale in caso di recesso da società cooperativa

Nel caso in cui lo statuto sociale di una società cooperativa preveda espressamente che il rimborso delle quote di capitale versato al socio recedente sia subordinato alla capienza del capitale sociale al momento della cessazione del rapporto, nulla spetta a titolo di restituzione delle quote sociali al socio uscente [nel caso di specie lo statuto prevedeva la liquidazione delle quote versate “sulla base del bilancio d’esercizio nel quale lo scioglimento del rapporto sociale diventa operativo” e il bilancio evidenziava una consistente perdita].

La parte che, in presenza di clausola compromissoria arbitrale, adisce l’autorità giudiziaria ordinaria, anche per la mera richiesta di emissione di un decreto ingiuntivo la cui causa petendi comprenda, anche solo in parte, la materia devoluta alla cognizione arbitrale, pone in essere una condotta che implica la rinuncia alla giurisdizione arbitrale e, quindi, la conseguente non opponibilità dell’eccezione di incompetenza all’altra parte che abbia adito l’autorità giudiziaria per una controversia derivante dal medesimo rapporto.

22 Aprile 2022

I poteri-doveri degli amministratori non delegati e dei sindaci ed i relativi profili di insorgenza di responsabilità sociale

Con riferimento alla responsabilità degli amministratori esecutivi e del direttore generale di una società per azioni, il richiamo al principio del business judgement rule (ovvero l’insindacabilità del merito delle scelte di gestione quale fonte di danno per la società) trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse da compiersi sia ex ante, sia tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere. Sussiste in altri termini la responsabilità degli amministratori, allorquando le operazioni poste in essere siano state quantomeno avventate e contrarie agli interessi della società; grava sugli amministratori l’onere della prova – con riferimento agli addebiti contestati – della osservanza dei doveri previsti dall’art. 2392 c.c., con la conseguenza che gli amministratori dotati di deleghe (c.d. operativi) – ferma l’applicazione della business judgement rule – rispondono non già con la diligenza del mandatario, come nel caso del vecchio testo dell’art. 2392 c.c. , ma in virtù della diligenza professionale esigibile ex art.1176 comma 2 c.c.

Per quanto riguarda, invece, gli amministratori non esecutivi, con la riforma del 2003 è stato abrogato il generico dovere di vigilanza ed è stato introdotto il dovere di agire informati, cioè di acquisire relativamente alla gestione della società quelle informazioni che sono necessarie per poter prendere decisioni meditate e consapevoli (art. 2381 cc.). E’ stata resa più rigorosa la diligenza esigibile dagli amministratori che è passata dalla generica diligenza del mandatario a quella professionale caratterizzata da una triplice articolazione, ovvero diligenza richiesta: i. dalla natura dell’incarico; ii. dalle competenze; iii. dal dovere degli amministratori di agire informati. Il sistema della responsabilità degli amministratori privi di deleghe posto dagli artt. 2381 e 2392 c.c., conforma l’obbligo di vigilanza dei medesimi non più come avente ad oggetto “il generale andamento della gestione” – quale controllo continuo ed integrale sull’attività dei delegati – ma richiedendo loro, secondo la diligenza esigibile sin dal momento dell’accettazione della carica, di informarsi ed essere informati, anche su propria sollecitazione, degli affari sociali, e di trarne le necessarie conseguenze. Il perdurante dovere di controllo in capo ai medesimi può precisarsi come obbligo di informazione attiva e passiva, nonché di conseguente attivazione, al fine di scongiurare le condotte dei delegati da cui possa derivare danno alla società. In tal senso, permane l’obbligo di attivarsi, qualora a conoscenza di fatti pregiudizievoli, per impedire il compimento o eliminare o attenuare le conseguenze dannose; rispondendo in caso di condotta inerte e di verificarsi del fatto pregiudizievole antidoveroso altrui a titolo di colpa.

Con riferimento ai membri del Collegio sindacale, si osserva che l’art. 2407 c.c. impone ai sindaci l’adempimento dei loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico e ne prevede la responsabilità solidale con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi quando il danno non si sarebbe prodotto se i sindaci avessero vigilato in conformità agli obblighi della loro carica. I doveri di controllo imposti ai sindaci ex artt. 2403 c.c. e ss. si estendono a tutta l’attività sociale, a tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello dei creditori sociali: tali doveri non riguardano soltanto il controllo meramente formale sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori ma si estendono all’acquisizione di informazioni pregnanti sull’andamento generale dell’attività sociale così come su specifiche operazioni.

La responsabilità “concorrente” dei sindaci ha come presupposto di fatto l’inadempimento degli amministratori: ove l’organo gestorio abbia perpetrato un illecito, i componenti del collegio possono essere ritenuti solidalmente responsabili ove, attraverso il loro colpevole inadempimento, abbiano cooperato alla produzione dell’evento dannoso. Si tratta di una forma di responsabilità diretta per fatto proprio ricollegabile ad un comportamento commissivo od omissivo (doloso o colposo) dei sindaci. Per configurare la responsabilità dei membri del collegio sindacale per omessa vigilanza, non è necessaria la prova che gli stessi conoscessero in concreto l’attività illecita svolta dall’organo amministrativo, essendo per contro sufficiente la rappresentabilità ovvero la conoscenza potenziale di tali illeciti. In tal senso, il dovere di sorveglianza – posto a garanzia dei soci e dei creditori ed a tutela di una finalità preventiva (evitare evento o danno) o mitigatoria (ridurre le conseguenze) delle condotte illegittime gestorie – si concretizza nell’obbligo di: i. vigilare, non solo in funzione preventiva rispetto ad ipotetici atti di abuso di gestione da parte degli amministratori, ma anche in funzione del controllo di un corretto operato della società; ii. esercitare, ove necessario, gli ampi poteri di cui dispone il collegio sindacale di fronte alle iniziative anomale da parte dell’organo amministrativo (il cui mancato esercizio determina il concorso dei sindaci nell’illecito civile commesso dagli amministratori).

Il potere di controllo dei sindaci non si esplica soltanto sulla base delle informazioni offerte dagli amministratori, ma anche attraverso i poteri di indagine loro attribuiti, con la conseguenza che l’obbligo di vigilanza che la legge impone ai sindaci si concretizza in un monitoraggio concreto e costante della gestione e, pertanto, i Sindaci: i. in presenza di informazioni insufficienti o lacunose da parte degli amministratori devono attivarsi in proprio per acquisire gli elementi mancanti; ii. devono svolgere autonomamente ispezioni e controlli e chiedere al consiglio di amministrazione precisazioni e chiarimenti in relazione alle operazioni sociali, non limitandosi a ricevere passivamente le informazioni trasmesse ma assumendo con un ruolo attivo di ricerca dei necessari elementi di valutazione ed esercitando in modo tempestivo il potere-dovere ispettivo.

I poteri-doveri di controllo attribuiti ai sindaci non si esauriscono nella mera verifica contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori ma, pur non investendo in forma diretta le scelte imprenditoriali, si estendono al contenuto della gestione sociale, a tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello concorrente dei creditori sociali. Ricorre il nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l’illecito perpetrato dagli amministratori ai fini della responsabilità dei primi – secondo la probabilità e non necessariamente la certezza causale – se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione lo avrebbe ragionevolmente evitato, tenuto conto di tutta la possibile gamma di iniziative che il sindaco può assumere, esercitando i poteri-doveri della carica (quali la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis c.c., la segnalazione all’assemblea delle irregolarità riscontrate, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima, l’impugnazione della deliberazione viziata ex artt. 2377 ss. c.c., la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c., il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite ex art. 2446-2447 c.c., il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c., ed ogni altra attività possibile ed utile). Ove i sindaci abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta illecita gestoria contraria alla corretta gestione dell’impresa, non è sufficiente ad esonerarli da responsabilità la dedotta circostanza di essere stati tenuti all’oscuro dagli amministratori o di avere essi assunto la carica dopo l’effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi, allorché, assunto l’incarico, fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e di porvi rimedio, onde l’attivazione conformemente ai doveri della carica avrebbe potuto permettere di scoprire tali fatti e di reagire ad essi, prevenendo danni ulteriori.

Le dimissioni presentate non esonerano il sindaco da responsabilità, in quanto non integrano adeguata vigilanza sullo svolgimento dell’attività sociale, per la pregnanza degli obblighi assunti proprio nell’ambito della vigilanza sull’operato altrui e perché la diligenza impone, piuttosto, un comportamento alternativo, allora le dimissioni diventando anzi esemplari della condotta colposa tenuta dal sindaco, rimasto indifferente ed inerte nel rilevare una situazione di reiterata illegalità.

21 Marzo 2022

Esecuzione del contratto di licenza avente ad oggetto l’uso di due brevetti in Italia

Obbligo principale del licenziante è quello di garantire al licenziatario per l’intera durata del contratto la persistente validità dei brevetti in tutti i territori convenuti e quindi il pieno e duraturo godimento dei diritti patrimoniali derivanti dallo sfruttamento dei diritti di privativa industriale.

 

15 Marzo 2022

La condanna accertativa di un illecito contiene altresì l’accertamento della responsabilità sociale

La condanna, accertativa di un illecito, e non solo di mera liquidazione dell’indennizzo, non può che ritenersi contenente anche l’accertamento, sia pur implicito, di una responsabilità della cooperativa e, pertanto, essa non è titolo per alcun recupero verso i soci.

10 Marzo 2022

Carenza di legittimazione dell’amministratore dimissionario a comunicare atti al Registro delle Imprese

Sin dal momento della comunicazione delle proprie dimissioni l’amministratore perde la legittimazione a comunicare al Registro delle Imprese qualunque atto della società, incluse quindi le proprie dimissioni; pertanto, l’amministratore dimissionario può fare istanza in via amministrativa al Conservatore del Registro delle Imprese, che è tenuto ad attivare il procedimento di cui all’art. 2190 c.c. se rileva che un’iscrizione obbligatoria non sia stata effettuata.

L’opposizione di cui all’art. 2257 c.c. costituisce esercizio del potere gestorio che l’amministratore può esercitare con l’ampiezza della discrezionalità che gli compete, in tutti i campi in cui le scelte amministrative debbono esplicarsi: conseguentemente, non è dato, in sede giudiziale, sindacarne l’esercizio e lo stesso può ben estendersi alla decisione di partecipare o meno ad un’assemblea della società partecipata.

Sequestro giudiziario di quote di una società inclusa in un Trust

La domanda di nullità/annullamento/inefficacia dell’atto di assegnazione delle quote societarie conferite in Trust dal disponente, nonché l’assegnazione di dette quote ai beneficiari sono relative al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti, materia attribuita alla competenza della sezione imprese secondo il disposto di cui all’art. 3 d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168, come modificato dal d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con l. 24 marzo 2012, n. 27. Ai sensi del comma 3 dello stesso articolo, sono attratte nella competenza del tribunale delle imprese anche le domande connesse, relative alla validità degli atti inerenti il Trust.

Non può essere riconosciuta soggettività giuridica al trust, che non è un soggetto giuridico dotato di una propria personalità; il trustee è l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi, non quale legale rappresentante di un soggetto, ma come soggetto che dispone del diritto.

Il sequestro giudiziario pone sul bene un vincolo di indisponibilità finalizzato a preservare l’attribuzione finale del bene di cui sia controversa in causa la proprietà o il possesso, e quindi ha natura del tutto affine a quella delle alienazioni di cui parla l’art. 2470 c.c. Allo stesso tempo il vincolo di indisponibilità derivante dal sequestro può essere considerato affine a quello preordinato all’espropriazione derivante dal pignoramento di cui tratta l’art. 2914, co. 1, n. 1, c.c.

Il sequestro giudiziario di quote di s.r.l. rientra tra i fatti di cui è prescritta l’iscrizione. La mancanza di una specifica previsione di legge che testualmente sancisca l’obbligo di iscrizione del sequestro nel registro delle imprese, non esclude la possibilità che tale obbligo sia ricavabile mediante interpretazione sistematica delle disposizioni legislative sul registro delle imprese. La tipicità degli atti soggetti a iscrizione deve essere intesa quale tipicità degli effetti che da tali atti discendono, nel senso che la previsione dell’obbligo di iscrizione di determinati eventi, che incidono su situazioni iscritte, determinandone la modifica o la cessazione, appare espressiva di un principio generale, in virtù del quale devono essere iscritti, pur in assenza di apposita previsione, tutti gli eventi modificativi o estintivi di situazioni iscritte. Così, la previsione dell’iscrizione nel registro delle imprese del pignoramento delle quote di s.r.l. (espressamente prevista dall’ art. 2471 c.c.) consente di ritenere la sussistenza di un obbligo di iscrizione, nonostante il silenzio della legge, di qualsiasi atto che determini un vincolo di indisponibilità su quote di s.r.l., quale quello derivante da sequestro giudiziario (espressamente ammesso dall’art. 2471 bis c.c., che tuttavia non ne precisa le modalità di attuazione), la cui funzione cautelare, in presenza di contestazione sulla proprietà o il possesso, serve, fra l’altro, a preservare il bene da rischio di alienazione.