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Tribunale di Genova


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22 Aprile 2022

I poteri-doveri degli amministratori non delegati e dei sindaci ed i relativi profili di insorgenza di responsabilità sociale

Con riferimento alla responsabilità degli amministratori esecutivi e del direttore generale di una società per azioni, il richiamo al principio del business judgement rule (ovvero l’insindacabilità del merito delle scelte di gestione quale fonte di danno per la società) trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse da compiersi sia ex ante, sia tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere. Sussiste in altri termini la responsabilità degli amministratori, allorquando le operazioni poste in essere siano state quantomeno avventate e contrarie agli interessi della società; grava sugli amministratori l’onere della prova – con riferimento agli addebiti contestati – della osservanza dei doveri previsti dall’art. 2392 c.c., con la conseguenza che gli amministratori dotati di deleghe (c.d. operativi) – ferma l’applicazione della business judgement rule – rispondono non già con la diligenza del mandatario, come nel caso del vecchio testo dell’art. 2392 c.c. , ma in virtù della diligenza professionale esigibile ex art.1176 comma 2 c.c.

Per quanto riguarda, invece, gli amministratori non esecutivi, con la riforma del 2003 è stato abrogato il generico dovere di vigilanza ed è stato introdotto il dovere di agire informati, cioè di acquisire relativamente alla gestione della società quelle informazioni che sono necessarie per poter prendere decisioni meditate e consapevoli (art. 2381 cc.). E’ stata resa più rigorosa la diligenza esigibile dagli amministratori che è passata dalla generica diligenza del mandatario a quella professionale caratterizzata da una triplice articolazione, ovvero diligenza richiesta: i. dalla natura dell’incarico; ii. dalle competenze; iii. dal dovere degli amministratori di agire informati. Il sistema della responsabilità degli amministratori privi di deleghe posto dagli artt. 2381 e 2392 c.c., conforma l’obbligo di vigilanza dei medesimi non più come avente ad oggetto “il generale andamento della gestione” – quale controllo continuo ed integrale sull’attività dei delegati – ma richiedendo loro, secondo la diligenza esigibile sin dal momento dell’accettazione della carica, di informarsi ed essere informati, anche su propria sollecitazione, degli affari sociali, e di trarne le necessarie conseguenze. Il perdurante dovere di controllo in capo ai medesimi può precisarsi come obbligo di informazione attiva e passiva, nonché di conseguente attivazione, al fine di scongiurare le condotte dei delegati da cui possa derivare danno alla società. In tal senso, permane l’obbligo di attivarsi, qualora a conoscenza di fatti pregiudizievoli, per impedire il compimento o eliminare o attenuare le conseguenze dannose; rispondendo in caso di condotta inerte e di verificarsi del fatto pregiudizievole antidoveroso altrui a titolo di colpa.

Con riferimento ai membri del Collegio sindacale, si osserva che l’art. 2407 c.c. impone ai sindaci l’adempimento dei loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico e ne prevede la responsabilità solidale con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi quando il danno non si sarebbe prodotto se i sindaci avessero vigilato in conformità agli obblighi della loro carica. I doveri di controllo imposti ai sindaci ex artt. 2403 c.c. e ss. si estendono a tutta l’attività sociale, a tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello dei creditori sociali: tali doveri non riguardano soltanto il controllo meramente formale sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori ma si estendono all’acquisizione di informazioni pregnanti sull’andamento generale dell’attività sociale così come su specifiche operazioni.

La responsabilità “concorrente” dei sindaci ha come presupposto di fatto l’inadempimento degli amministratori: ove l’organo gestorio abbia perpetrato un illecito, i componenti del collegio possono essere ritenuti solidalmente responsabili ove, attraverso il loro colpevole inadempimento, abbiano cooperato alla produzione dell’evento dannoso. Si tratta di una forma di responsabilità diretta per fatto proprio ricollegabile ad un comportamento commissivo od omissivo (doloso o colposo) dei sindaci. Per configurare la responsabilità dei membri del collegio sindacale per omessa vigilanza, non è necessaria la prova che gli stessi conoscessero in concreto l’attività illecita svolta dall’organo amministrativo, essendo per contro sufficiente la rappresentabilità ovvero la conoscenza potenziale di tali illeciti. In tal senso, il dovere di sorveglianza – posto a garanzia dei soci e dei creditori ed a tutela di una finalità preventiva (evitare evento o danno) o mitigatoria (ridurre le conseguenze) delle condotte illegittime gestorie – si concretizza nell’obbligo di: i. vigilare, non solo in funzione preventiva rispetto ad ipotetici atti di abuso di gestione da parte degli amministratori, ma anche in funzione del controllo di un corretto operato della società; ii. esercitare, ove necessario, gli ampi poteri di cui dispone il collegio sindacale di fronte alle iniziative anomale da parte dell’organo amministrativo (il cui mancato esercizio determina il concorso dei sindaci nell’illecito civile commesso dagli amministratori).

Il potere di controllo dei sindaci non si esplica soltanto sulla base delle informazioni offerte dagli amministratori, ma anche attraverso i poteri di indagine loro attribuiti, con la conseguenza che l’obbligo di vigilanza che la legge impone ai sindaci si concretizza in un monitoraggio concreto e costante della gestione e, pertanto, i Sindaci: i. in presenza di informazioni insufficienti o lacunose da parte degli amministratori devono attivarsi in proprio per acquisire gli elementi mancanti; ii. devono svolgere autonomamente ispezioni e controlli e chiedere al consiglio di amministrazione precisazioni e chiarimenti in relazione alle operazioni sociali, non limitandosi a ricevere passivamente le informazioni trasmesse ma assumendo con un ruolo attivo di ricerca dei necessari elementi di valutazione ed esercitando in modo tempestivo il potere-dovere ispettivo.

I poteri-doveri di controllo attribuiti ai sindaci non si esauriscono nella mera verifica contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori ma, pur non investendo in forma diretta le scelte imprenditoriali, si estendono al contenuto della gestione sociale, a tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello concorrente dei creditori sociali. Ricorre il nesso causale tra la condotta inerte antidoverosa dei sindaci di società e l’illecito perpetrato dagli amministratori ai fini della responsabilità dei primi – secondo la probabilità e non necessariamente la certezza causale – se, con ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione lo avrebbe ragionevolmente evitato, tenuto conto di tutta la possibile gamma di iniziative che il sindaco può assumere, esercitando i poteri-doveri della carica (quali la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis c.c., la segnalazione all’assemblea delle irregolarità riscontrate, i solleciti alla revoca della deliberazione illegittima, l’impugnazione della deliberazione viziata ex artt. 2377 ss. c.c., la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c., il ricorso al tribunale per la riduzione del capitale per perdite ex art. 2446-2447 c.c., il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c., ed ogni altra attività possibile ed utile). Ove i sindaci abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta illecita gestoria contraria alla corretta gestione dell’impresa, non è sufficiente ad esonerarli da responsabilità la dedotta circostanza di essere stati tenuti all’oscuro dagli amministratori o di avere essi assunto la carica dopo l’effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi, allorché, assunto l’incarico, fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e di porvi rimedio, onde l’attivazione conformemente ai doveri della carica avrebbe potuto permettere di scoprire tali fatti e di reagire ad essi, prevenendo danni ulteriori.

Le dimissioni presentate non esonerano il sindaco da responsabilità, in quanto non integrano adeguata vigilanza sullo svolgimento dell’attività sociale, per la pregnanza degli obblighi assunti proprio nell’ambito della vigilanza sull’operato altrui e perché la diligenza impone, piuttosto, un comportamento alternativo, allora le dimissioni diventando anzi esemplari della condotta colposa tenuta dal sindaco, rimasto indifferente ed inerte nel rilevare una situazione di reiterata illegalità.

21 Marzo 2022

Esecuzione del contratto di licenza avente ad oggetto l’uso di due brevetti in Italia

Obbligo principale del licenziante è quello di garantire al licenziatario per l’intera durata del contratto la persistente validità dei brevetti in tutti i territori convenuti e quindi il pieno e duraturo godimento dei diritti patrimoniali derivanti dallo sfruttamento dei diritti di privativa industriale.

 

15 Marzo 2022

La condanna accertativa di un illecito contiene altresì l’accertamento della responsabilità sociale

La condanna, accertativa di un illecito, e non solo di mera liquidazione dell’indennizzo, non può che ritenersi contenente anche l’accertamento, sia pur implicito, di una responsabilità della cooperativa e, pertanto, essa non è titolo per alcun recupero verso i soci.

10 Marzo 2022

Carenza di legittimazione dell’amministratore dimissionario a comunicare atti al Registro delle Imprese

Sin dal momento della comunicazione delle proprie dimissioni l’amministratore perde la legittimazione a comunicare al Registro delle Imprese qualunque atto della società, incluse quindi le proprie dimissioni; pertanto, l’amministratore dimissionario può fare istanza in via amministrativa al Conservatore del Registro delle Imprese, che è tenuto ad attivare il procedimento di cui all’art. 2190 c.c. se rileva che un’iscrizione obbligatoria non sia stata effettuata.

L’opposizione di cui all’art. 2257 c.c. costituisce esercizio del potere gestorio che l’amministratore può esercitare con l’ampiezza della discrezionalità che gli compete, in tutti i campi in cui le scelte amministrative debbono esplicarsi: conseguentemente, non è dato, in sede giudiziale, sindacarne l’esercizio e lo stesso può ben estendersi alla decisione di partecipare o meno ad un’assemblea della società partecipata.

Sequestro giudiziario di quote di una società inclusa in un Trust

La domanda di nullità/annullamento/inefficacia dell’atto di assegnazione delle quote societarie conferite in Trust dal disponente, nonché l’assegnazione di dette quote ai beneficiari sono relative al trasferimento delle partecipazioni sociali o ad ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali o i diritti inerenti, materia attribuita alla competenza della sezione imprese secondo il disposto di cui all’art. 3 d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168, come modificato dal d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con l. 24 marzo 2012, n. 27. Ai sensi del comma 3 dello stesso articolo, sono attratte nella competenza del tribunale delle imprese anche le domande connesse, relative alla validità degli atti inerenti il Trust.

Non può essere riconosciuta soggettività giuridica al trust, che non è un soggetto giuridico dotato di una propria personalità; il trustee è l’unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi, non quale legale rappresentante di un soggetto, ma come soggetto che dispone del diritto.

Il sequestro giudiziario pone sul bene un vincolo di indisponibilità finalizzato a preservare l’attribuzione finale del bene di cui sia controversa in causa la proprietà o il possesso, e quindi ha natura del tutto affine a quella delle alienazioni di cui parla l’art. 2470 c.c. Allo stesso tempo il vincolo di indisponibilità derivante dal sequestro può essere considerato affine a quello preordinato all’espropriazione derivante dal pignoramento di cui tratta l’art. 2914, co. 1, n. 1, c.c.

Il sequestro giudiziario di quote di s.r.l. rientra tra i fatti di cui è prescritta l’iscrizione. La mancanza di una specifica previsione di legge che testualmente sancisca l’obbligo di iscrizione del sequestro nel registro delle imprese, non esclude la possibilità che tale obbligo sia ricavabile mediante interpretazione sistematica delle disposizioni legislative sul registro delle imprese. La tipicità degli atti soggetti a iscrizione deve essere intesa quale tipicità degli effetti che da tali atti discendono, nel senso che la previsione dell’obbligo di iscrizione di determinati eventi, che incidono su situazioni iscritte, determinandone la modifica o la cessazione, appare espressiva di un principio generale, in virtù del quale devono essere iscritti, pur in assenza di apposita previsione, tutti gli eventi modificativi o estintivi di situazioni iscritte. Così, la previsione dell’iscrizione nel registro delle imprese del pignoramento delle quote di s.r.l. (espressamente prevista dall’ art. 2471 c.c.) consente di ritenere la sussistenza di un obbligo di iscrizione, nonostante il silenzio della legge, di qualsiasi atto che determini un vincolo di indisponibilità su quote di s.r.l., quale quello derivante da sequestro giudiziario (espressamente ammesso dall’art. 2471 bis c.c., che tuttavia non ne precisa le modalità di attuazione), la cui funzione cautelare, in presenza di contestazione sulla proprietà o il possesso, serve, fra l’altro, a preservare il bene da rischio di alienazione.

18 Febbraio 2022

Conferimento di licenza d’uso del marchio: definizione del thema decidendum e litispendenza

In tema di contratto di licenza di marchio di impresa e della sua risoluzione, in presenza di un giudizio pendente volto all’accertamento dell’inadempimento contrattuale, dell’illegittima risoluzione dello stesso contratto, con contestuale condanna al risarcimento dei danni da tali condotte derivanti nonché da violazione dei doveri di buona fede in fase precontrattuale e rottura delle trattative, il successivo giudizio instaurato volto all’accertamento dell’inadempimento contrattuale e dell’illegittimità della risoluzione con conseguente risarcimento dei danni da perdita di valore subita dalla compromissione della propria reputazione commerciale a causa dell’inadempimento contrattuale e dell’illegittima risoluzione, deve essere sospeso ai sensi dell’art. 295 c.p.c. in attesa della definizione con sentenza passata in giudicato del primo giudizio in quanto integrante un’ipotesi di litispendenza ai sensi dell’art. 39 comma 1, c.p.c..[Secondo il Collegio giudicante, infatti, in entrambi i giudizi l’azione avanzata da parte attrice è da qualificarsi come azione di adempimento contrattuale con la conseguenza che il thema decidendum di entrambi i giudizi, così come l’identità delle parti, sia coincidente, e sia pertanto cristallizzata la sussistenza dei requisiti per la declaratoria di litispendenza della prima domanda instaurata da parte attrice.]

10 Febbraio 2022

Conflitto tra segni distintivi: eccezioni in senso stretto e rilevabili d’ufficio

Il comma III dell’art. 138 RMUE, sancendo che il titolare del marchio UE non può opporsi all’esercizio di un diritto anteriore di portata locale, definisce un limite intrinseco ai diritti derivanti dalla registrazione del marchio UE: non riserva al titolare di un diritto anteriore di portata locale il rilievo di tale situazione né prevede che la manifestazione di volontà di tale soggetto sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva, situazioni in cui deve escludersi la rilevabilità d’ufficio.

 

8 Febbraio 2022

Responsabilità di amministratori e sindaci per aggravamento del dissesto

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali.

In ragione della onerosità della prova gravante sulla procedura che agisce, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sugli amministratori convenuti la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza.

Pur in assenza di un’espressa previsione normativa, esigenze di coerenza sistematica inducono a ritenere che anche agli amministratori di s.r.l. sia richiesta una diligenza di carattere professionale, determinata in funzione della natura dell’incarico e delle loro specifiche competenze, così come previsto per le s.p.a. all’art. 2392 c.c. La responsabilità degli amministratori verso la società si configura quale responsabilità risarcitoria, di natura contrattuale, che grava in solido su tutti gli amministratori. Spetta agli amministratori, dunque, provare con riferimento agli addebiti contestati l’osservanza dei doveri previsti dall’art. 2392 c.c., con la conseguenza che gli amministratori dotati di deleghe (cc.dd. operativi) – ferma l’applicazione della business judgment rule – rispondono non già con la diligenza del mandatario, ma in virtù della diligenza professionale esigibile ex art. 1176, co. 2, c.c. Quanto all’azione dei creditori sociali, per la quale il curatore è legittimato straordinario ai sensi dell’art. 2394 bis c.c., essa si fonda sulla violazione da parte degli amministratori del dovere di conservare l’integrità del patrimonio sociale, quale garanzia generica dell’adempimento delle obbligazioni verso i terzi (art. 2740 c.c.). Essa ha natura extracontrattuale e presuppone l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale.

In tema di criterio applicabile alla quantificazione del danno nel casi di azione di responsabilità esercitata dal curatore nei confronti dell’amministratore, l’inadempimento di specifici obblighi (quali la distrazione di alcuni beni sociali, la mancata redazione di due bilanci di esercizio e delle relative dichiarazioni fiscali e l’omessa tenuta delle scritture contabili) non giustifica di per sé la determinazione del danno risarcibile nella misura della differenza tra il passivo e l’attivo, che può integrare un parametro per la liquidazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. La mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili addebitabile all’amministratore della società, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato solo quale parametro per una liquidazione equitativa ove ne sussistano le condizione, sempreché il ricorso ad esse, in ragione delle circostanze del caso concreto, sia logicamente plausibile e sia stato, comunque, allegato un inadempimento dell’amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentando, con specifica indicazione delle ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.

Il criterio c.d. della differenza dei netti patrimoniali consiste nella comparazione dei patrimoni netti, determinati secondo criteri di liquidazione previa, se del caso, rettifica delle voci di bilancio scorrette, registrati alla data della (doverosa) percezione del verificarsi della causa di scioglimento da parte degli organi sociali e alla data di messa in liquidazione della società (o di fallimento della stessa). Il danno in termini di “perdita incrementale netta” consente di apprezzare in via sintetica, ma plausibile, l’effettiva diminuzione subita dal patrimonio della società (dunque, il danno per la società e per i creditori) per effetto della ritardata liquidazione.

8 Febbraio 2022

Invalidità delle decisioni dei soci di s.r.l.

L’illegittima formazione delle maggioranze ai fini delle decisioni dei soci nella s.r.l. non costituisce in ogni caso vizio di nullità, ma di mera annullabilità della delibera. La nullità è, infatti, prevista soltanto per il caso di decisioni aventi oggetto illecito o impossibile oppure prese in assenza assoluta di informazioni (art. 2479 ter, co. 3, c.c.) oppure che dispongono modifiche dell’oggetto sociale prevedendo attività impossibili o illecite. Per tutte le decisioni che non sono state prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo è, invece, dettato (art. 2479 ter, co. 1, c.c.) il regime della annullabilità.