Tribunale di Napoli
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La delibera di aumento del capitale, la sottoscrizione e il conferimento
L’art. 2704 c.c. non risulta applicabile al negozio di sottoscrizione della quota di aumento di capitale, assoggettato, invece, alla disciplina speciale dettata per le scritture contabili delle imprese soggette a registrazione. Invero, ai libri sociali non è applicabile l’art. 2704 c.c. circa la data della scrittura privata, perché le annotazioni eseguite non sono soggette a sottoscrizione e la tenuta dei libri stessi e la loro efficacia probatoria è regolata da norme particolari.
La vicenda modificativa dell’atto costitutivo derivante dall’aumento del capitale sociale a pagamento, si struttura in tre momenti: la deliberazione, la sottoscrizione e il conferimento.
La deliberazione di aumento di capitale non è self executing, non essendo idonea, di per sé, a produrre automaticamente l’effetto modificativo del contratto sociale, ma necessita, ai fini della sua attuazione, del compimento di ulteriori atti anche unilaterali o atipici e, segnatamente, dei negozi di sottoscrizione, quale forma di dichiarazione della volontà di adesione dei soci o, eventualmente, di terzi all’incremento quantitativo del capitale approvato, che non coincide con la manifestazione di voto espressa dal socio durante l’assemblea.
Il negozio di sottoscrizione ha natura consensuale e si perfeziona con lo scambio del consenso fra il socio sottoscrittore, o il terzo, e la società, per il tramite dell’organo amministrativo; quindi, la deliberazione di aumento di capitale ben può configurarsi come una proposta e la sottoscrizione del socio, o del terzo, come una accettazione, secondo lo schema dell’art. 1326 c.c. Del resto, la necessaria contestualità del versamento, prevista dall’art. 2481 bis, co. 4, c.c. non inficia le suesposte considerazioni, dovendosi ritenere che tale contestualità sia stata dettata proprio al fine di assicurare la serietà della manifestazione di volontà del socio, o del terzo (se consentito), e che, comunque, si riferisca alla fase esecutiva del contratto. Mentre in sede di costituzione della società a responsabilità limitata il versamento del venticinque per cento del capitale all’organo amministrativo assurge ad un requisito di perfezionamento del contratto di sottoscrizione delle quote di partecipazione, esso, invece, in sede di aumento di capitale, costituisce una mera esecuzione di tale contratto perfezionatosi con il semplice consenso.
Il conferimento della quota di aumento del capitale sottoscritta rileva quale momento esecutivo del contratto, il cui inadempimento può essere eccepito, al fine di un eventuale giudizio di responsabilità scaturente dalla violazione della regola di comportamento, in ossequio al principio di relatività degli effetti del contratto statuito dall’art. 1372 c.c. soltanto dalle parti contrattuali e non, di certo, dal terzo rispetto alle vicende negoziali.
Fotografie artistiche e fotografie semplici: la tutela autorale
Le opere fotografiche si distinguono in fotografie artistiche e fotografie semplici, che hanno diversa tutela. La distinzione tra le opere fotografiche e le fotografie semplici si fonda sull’apporto creativo personale dell’autore nel primo caso, e sulla mera riproduzione priva di originalità nel secondo caso.
Le fotografie artistiche godono della tutela del diritto d’autore di cui agli artt. 12 ss., 20 ss. e 171 ss.; le fotografie semplici, vale a dire le “immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale o sociale”, prive del carattere creativo, sono tutelate, più limitatamente, ai sensi degli artt. 87 ss. L.A., come tipici diritti connessi.
Le fotografie d’autore godono della tutela piena del diritto d’autore; le fotografie semplici, invece, attribuiscono all’autore il diritto esclusivo di riproduzione e diffusione della fotografia solo se rientrano nella categoria delle fotografie “protette”, cioè dotate di tutti i requisiti previsti dall’art. 90 L. 633/1941, quali il nome del fotografo, la data di produzione della fotografia, il nome dell’autore dell’opera d’arte fotografata.
(nel caso di specie il Tribunale ha negato la tutela degli artt. 87 ss., non essendo rinvenibili sulla fotografia, ma solo su una scheda a lato, i dati identificativi richiesti dall’art. 90 l.d.a.)
Responsabilità del liquidatore
La responsabilità del liquidatore ex artt. 2476, 2489, 2491 e 2495 c.c. per l’attività di liquidazione del patrimonio sociale ha natura extracontrattuale, con la conseguenza che grava sui creditori agenti in giudizio l’onere di dimostrare tutti i presupposti di tale responsabilità e precisamente l’esistenza del credito (o la sua conoscibilità secondo la diligenza richiesta), l’inadempimento da parte della società, la natura dolosa o colposa della condotta del liquidatore ed il nesso di causalità tra questa e il danno, dato dal mancato soddisfacimento del credito. In particolare, il creditore sociale rimasto insoddisfatto ha l’onere di provare l’esistenza nel bilancio finale di liquidazione di una massa attiva che sarebbe stata sufficiente a soddisfare il suo credito e che, invece, sia stata distribuita ai soci o ai creditori (in violazione della par condicio creditorum), oppure la sussistenza di una condotta dolosa o colposa del liquidatore cui sia imputabile la mancanza di attivo.
I vizi redazionali attinenti al bilancio di liquidazione non sono sufficienti, in quanto tali, a fondare la responsabilità dell’organo liquidatorio; è ulteriormente necessario dimostrare che tali comportamenti hanno impedito la corretta ripartizione di attività sociali tra i creditori. Quanto alla condotta colposa, i liquidatori sono tenuti ad adempiere i propri doveri “con la professionalità e la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico”. La sussistenza di una condotta colposa è astrattamente ravvisabile anche in caso di mancato pagamento dei crediti conosciuti o conoscibili utilizzando la normale diligenza; tuttavia, l’individuazione di una condotta colposa non è sufficiente a determinare la responsabilità del liquidatore nei confronti dei creditori rimasti insoddisfatti: a tal fine, è infatti necessario che il mancato soddisfacimento del credito sia eziologicamente riconducibile al liquidatore, il che si verifica qualora il creditore dimostri l’esistenza, nel bilancio finale di liquidazione, di una massa attiva che sarebbe stata sufficiente a soddisfare il suo credito ed è stata, invece, distribuita ai soci o agli altri creditori di grado almeno pari al proprio, oppure, in mancanza di qualsiasi attivo, l’imputabilità di tale circostanza alla condotta colposa o dolosa del liquidatore.
Non è di competenza delle sezioni specializzate la controversia sull’inadempimento di un contratto stipulato tra socio e società
Per dar luogo alla competenza per materia della sezione specializzata in materia di impresa, ai sensi dell’art. 3, co. 2, lett. a, d.lgs. 168/2003, è necessario che la controversia inerisca al rapporto tra la società cooperativa e il socio, ovvero all’assetto societario interno, come accade, a titolo meramente esemplificativo, nelle ipotesi di estinzione del rapporto societario per effetto della delibera di esclusione. Pertanto, non rientrano nella competenza in favore della sezione specializzata in materia di impresa le controversie concernenti l’inadempimento contrattuale tra parti legate da rapporti societari. [Nel caso di specie, il giudizio era stato instaurato per far valere il diritto di credito derivante dal contratto di fornitura di merci e servizi stipulato tra socio e società cooperativa].
Argomentare diversamente e ritenere che qualsiasi inadempimento contrattuale tra parti legate da rapporti societari comporti lo spostamento della competenza in favore della sezione specializzata in materia di impresa porterebbe a tradire del tutto la ratio sottesa all’istituzione del tribunale delle imprese, concepito dal legislatore come un giudice specializzato, cui è demandata la cognizione di determinate materie che, per la peculiarità degli interessi coinvolti, devono essere, altresì, decise celermente.
Le questioni di competenza devono essere delibate e decise sulla base della domanda, ovverosia della prospettazione in fatto e in diritto formulata dalla parte attrice, al di là della fondatezza di essa.
Revoca dell’amministratore di s.r.l. nominato a tempo indeterminato e diritto all’indennizzo
Per le società a responsabilità limitata il legislatore non ha inteso imporre un termine di durata per la carica di amministratore, che quindi può essere nominato anche per un periodo superiore al triennio o a tempo indeterminato: rispetto all’atto di nomina degli amministratori l’art. 2475, co. 2 c.c. non prevede l’applicazione del secondo comma dell’art. 2383 c.c., in guisa da rendere palese la voluntas legis di potenziale indeterminatezza temporale del mandato di amministrazione per le s.r.l.
Dai rapporti contrattuali a tempo indeterminato le parti possono sciogliersi in vario modo, perché non può imporsi un vincolo perpetuo, tanto più nel contesto societario, tenuto conto del rapporto di fiducia che lega i componenti dell’organo gestorio alla società. L’affidamento dell’incarico di amministratore a tempo indefinito, dunque, non esautora il potere dell’assemblea, la quale ben può procedere a revocarlo, finanche in assenza di giusta causa e/o di preavviso, senza che, per ciò solo, la delibera di revoca possa considerarsi viziata.
La facoltà di revoca dell’assemblea dev’essere contemperata con la legittima aspettativa dell’amministratore di proseguire nell’incarico: al rapporto tra la società e l’amministratore nominato a tempo indeterminato trova applicazione l’art. 1725, co. 2 c.c., che attribuisce al soggetto revocato il diritto al risarcimento del danno se la revoca non è stata comunicata con congruo preavviso, salvo che ricorra una giusta causa.
La congruità del preavviso dev’essere valutata sulla base del tempo ragionevolmente necessario a consentire al revocato di trovare un incarico equivalente.
In ordine alla sussistenza della giusta causa di revoca – che è onere della società provare – assumono rilievo tutte le circostanze sopravvenute, che non si risolvano in un mero dissenso verso l’operato dell’amministratore ma siano idonee a influire negativamente sul rapporto fiduciario alla base della nomina, facendo venir meno l’affidamento inizialmente riposto sulle attitudini e sulle capacità del soggetto revocato.
Le ragioni che integrano la giusta causa di revoca devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare, senza che sia possibile una successiva deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori.
La revoca in assenza di congruo preavviso e di giusta causa comporta l’obbligo per la società di corrispondere all’amministratore revocato l’indennità di mancato preavviso – quale conseguenza di un atto lecito dannoso – che dev’essere parametrata ai compensi che il soggetto revocato dall’incarico avrebbe percepito nel periodo di preavviso.
Responsabilità dell’amministratore di fatto per condotte distrattive e responsabilità solidale dell’amministratore di diritto
L’individuazione della figura del c.d. amministratore di fatto presuppone che la persona abbia in concreto svolto attività di gestione, e non anche meramente esecutive, della società e che tale attività abbia carattere sistematico e non si esaurisca nel compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale. La corretta individuazione della figura richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, che si verifica quando le funzioni gestorie, svolte appunto in via di fatto, non si siano esaurite nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale, essendo la sistematicità sintomatica dell’assunzione di quelle funzioni.
Il soggetto che accetti di ricoprire la carica di amministratore di una società di capitali e poi consenta, con pieno assenso e consapevolezza, che a gestire l’impresa sociale sia di fatto un terzo, è sotto il profilo causale necessario compartecipe e sotto quello giuridico corresponsabile di ogni singolo atto di gestione che abbia lasciato compiere all’amministratore di fatto. Ove quest’ultimo arrechi un vulnus all’integrità del patrimonio sociale, la responsabilità in relazione a tale evento dannoso è pertanto ascrivibile, in via solidale, anche all’amministratore di diritto.
L’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell’amministratore dalla carica mentre l’azione di responsabilità dei creditori sociali verso gli amministratori si prescrive sempre in cinque anni, ex art. 2949, co. 2, c.c., ma il termine decorre dal momento in cui si è verificata l’insufficienza del patrimonio sociale o, più precisamente, dal momento in cui questa insufficienza patrimoniale diviene oggettivamente conoscibile da tutti i creditori. Quanto all’azione dei creditori sociali, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa.
Vincolatività della delibera di approvazione del bilancio
La delibera di approvazione del bilancio di una società di capitali assunta con le prescritte maggioranze ha efficacia vincolante nei confronti di tutti i soci, anche con riguardo ai crediti della società verso i medesimi che risultino indicati con chiarezza in detto bilancio. Pertanto, l’appostazione a bilancio di qualsiasi voce costituisce piena prova dell’esistenza di detta voce nei confronti di tutti i soci che non abbiano impugnato detta delibera.
Responsabilità dell’amministratore e rinuncia all’eredità dei chiamati
Imitazione servile e giudizio di confondibilità
Il giudizio di confondibilità per imitazione servile tra i segni distintivi in comparazione va condotto non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica. Tale accertamento va operato tenendo conto dell’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una valutazione di impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e che va condotta in riferimento alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori di quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere eseguito tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo dell’altro.