Tribunale di Napoli
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Sul valore probatorio dell’accertamento di infrazioni anticoncorrenziali ad opera delle Autorità di Vigilanza: le fideiussioni omnibus
In tema di accertamento dell’esistenza di intese restrittive della concorrenza vietate dall’art. 2 della l. n. 287/90, e con particolare riguardo alle clausole relative a contratti di fideiussione da parte delle banche, il provvedimento della Banca di Italia di accertamento dell’infrazione, adottato prima delle modifiche apportate dall’art. 19, co. 11, della l. n. 262 del 2005, possiede, al pari di quelli emessi dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, un’elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale. Pertanto, l’accertamento effettuato dalla Banca d’Italia con il provvedimento amministrativo n. 55 del 2005 riferibile al periodo temporale ottobre 2022 – maggio 2005 esplica elevata attitudine probatoria in ordine all’esistenza dell’intesa anticoncorrenziale rispetto alle fideiussioni omnibus stipulate nel corso della finestra temporale oggetto dell’accertamento.
Quel che assume rilievo, ai fini della nullità delle clausole del contratto di fideiussione omnibus riproducenti lo schema ABI, è che esse costituiscono lo sbocco dell’intesa vietata e cioè che attraverso dette disposizioni si siano attuati gli effetti di quella condotta illecita nei confronti di tutti gli operatori del mercato; ciò che va accertato, pertanto, è la coincidenza delle condizioni contrattuali col testo di uno schema contrattuale che possa ritenersi espressivo della vietata intesa restrittiva, per cui il giudice deve valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva.
Con riferimento alle fideiussioni omnibus, laddove sia accertato che le clausole del contratto siano il frutto o, meglio, l’estrinsecazione di un’intesa illecita ex art. 2 l. n. 287/1990, può configurarsi, oltre al rimedio del risarcimento del danno, anche quello civilistico della nullità speciale, posta – attraverso le previsioni di cui agli artt. 101 del TFUE e all’art. 2, co. 2, della l. 287/90 – a presidio di un interesse pubblico e, in specie, dell’ordine pubblico economico; dunque, nullità ulteriore a quella che il sistema già conosceva. In tal senso depone la considerazione che siffatta forma di nullità ha una portata più ampia della nullità codicistica (art. 1418 c.c.) e delle altre nullità conosciute dall’ordinamento – come la nullità di protezione nei contratti del consumatore (c.d. secondo contratto), e la nullità nei rapporti tra imprese (c.d. terzo contratto) –, in quanto colpisce anche atti, o combinazione di atti avvinti da un nesso funzionale, non tutti riconducibili alle suindicate fattispecie di natura contrattuale. La ratio di tale speciale regime è tale da ravvisarsi nell’esigenza di salvaguardia dell’ordine pubblico economico, a presidio del quale sono state dettate le norme imperative nazionali ed europee antitrust. Il contratto tra imprenditore e utente finale costituisce il compimento stesso dell’intesa anticompetitiva tra imprenditori, la sua realizzazione finale, il suo senso pregnante, mentre ragionando diversamente si giungerebbe a negare l’intero assetto, comunitario e nazionale, della normativa antitrust, la quale è posta a tutela non solo dell’imprenditore, ma di tutti i partecipanti al mercato.
Le clausole del contratto di fideiussione omnibus conformi a quelle di cui allo schema ABI illecito, devono essere dichiarate nulle in virtù al principio di conservazione degli atti negoziali, costituente la regola nell’ordinamento, a meno che non risulti comprovata agli atti una diversa volontà delle parti, nel senso dell’essenzialità, per l’assetto degli interessi divisato, dalla parte del contratto colpita da nullità. Va, per contro, esclusa la nullità totale del contratto a valle, con specifico riferimento alla fattispecie oggetto del presente giudizio. Ed invero, anche a prescindere dalle critiche mosse a siffatta impostazione – sotto i diversi profili dell’inconfigurabilità di un collegamento negoziale tra intesa e fideiussione, della non ravvisabilità di un vizio della causa o dell’oggetto, ecc.) –, è proprio la finalità perseguita dalla normativa antitrust ad escludere l’adeguatezza del rimedio in questione.
Il provvedimento n. 55 del 2005, quale prova privilegiata relativa alla sussistenza dell’intesa anticoncorrenziale, non si estende né alla prova dell’esistenza del nesso di causalità tra il fatto illecito e il danno patito, né alla prova del danno conseguenza, che resta rimessa all’onere probatorio di parte istante. Se il legislatore avesse voluto estendere l’efficacia della decisione dell’Autorità Garante anche alla prova del nesso di causalità e del danno lo avrebbe fatto espressamente.
Responsabilità dell’amministratore di s.r.l. e dell’amministratore di fatto
Ai sensi dell’art. 2476 c.c., gli amministratori rispondono verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, ovvero per non aver osservato, nell’adempimento di tali doveri, la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.
Nonostante i doveri degli amministratori non trovino una enumerazione precisa e ordinata nella legge, essi possono condensarsi nel più generale obbligo di conservazione dell’integrità del patrimonio, che impone loro sia di astenersi dal compiere qualsiasi operazione che possa rivelarsi svantaggiosa per la società e lesiva degli interessi dei soci e dei creditori, in quanto rivolta a vantaggio di terzi o di qualcuno dei creditori a scapito di altri, in violazione del principio della par condicio creditorum, sia di contrastare qualsiasi attività che si riveli dannosa per la società, così da adeguare la gestione sociale ai canoni della corretta amministrazione.
L’individuazione della figura del c.d. amministratore di fatto presuppone che la persona abbia in concreto svolto attività di gestione (e non meramente esecutive) della società e che tale attività abbia carattere sistematico e non si esaurisca nel compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale. La corretta individuazione della figura richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, che si verifica quando le funzioni gestorie, svolte appunto in via di fatto, non si siano esaurite nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale, essendo la sistematicità sintomatica dell’assunzione di quelle funzioni; l’influenza dell’amministratore di fatto si deve tradurre, per essere rilevante, nell’ingerenza concreta nella gestione sociale che abbia il carattere della sistematicità.
Onere della prova in tema di azione per la dichiarazione di nullità di una delibera assembleare di s.r.l.
La nullità delle delibere assembleari delle s.r.l. per «assenza assoluta di informazione», previsto dall’art. 2479 ter, 3° co., c.c., in analogia all’art. 2379 c.c. per le decisioni dei soci di s.p.a., ha il fine di tutelare il diritto inderogabile di partecipazione di ciascun socio alle decisioni della comune società, e si rivolge sia ai casi in cui i soci non abbiano ricevuto l’avviso di convocazione, sia ai casi nei quali, pur essendo stato ricevuto, non sia idoneo a consentirgli di essere preventivamente avvertiti della convocazione o della data dell’assemblea.
Qualora un soggetto agisca per la dichiarazione di nullità della delibera assembleare ha l’onere – da un lato – di identificare con chiarezza la deliberazione oggetto dell’eventuale pronuncia di invalidità e – dall’altro lato – di produrre, al fine di provare il vizio lamentato, o l’avviso di convocazione, o il verbale di assemblea comprovante la propria assenza o la formulazione di richiesta di rinvio.
Domanda di sequestro giudiziario fondata su rescissione contrattuale
Diversamente dal sequestro conservativo di cui all’art. 671 c.p.c., vòlto a garantire l’operatività della generica garanzia patrimoniale del debitore ex art. 2740, comma primo c.c., l’emissione di un provvedimento di sequestro giudiziario è finalizzata ad assicurare l’utilità pratica di un futuro provvedimento decisorio nonché la sua fruttuosità in sede di esecuzione forzata, mediante la consegna od il rilascio dei beni sui quali, dunque, è posto il vincolo.
I presupposti per la concessione di un sequestro giudiziario sono individuati:
- nell’accertamento di un fumus boni iuris, ossia nell’esistenza di una controversia sulla proprietà o sul possesso del bene, nel cui ambito sussistano elementi sufficienti a provare che la domanda, proposta o che verrà esperita, sia di probabile fondatezza;
- nell’opportunità di provvedere alla custodia o alla gestione temporanea del bene, c.d. periculum in mora.
In relazione al fumus boni iuris, la misura cautelare deve essere riferita, non soltanto ai c.d. iura in re, ossia alle azioni nelle quali ciascuna delle parti si affermi titolare di un diritto reale sul bene, ma, altresì, alle azioni relative ai c.d. iura ad rem, ossia quelle azioni in cui l’attribuzione della proprietà costituisce conseguenza della decisione del giudice su un rapporto di natura obbligatoria. Inoltre, con riferimento al requisito della controversia sul possesso, alle azioni di carattere personale volte alla restituzione della cosa detenuta dal convenuto. Pertanto, devono essere annoverate tra le controversie sulla proprietà o sul possesso anche le vertenze su di un diritto personale, avente ad oggetto la pretesa alla restituzione di cose detenute da altri soggetti, ossia quando debba decidersi in ordine ad un’azione personale che comporti una decisione su detta pretesa.
Con specifico riferimento al periculum in mora, detta condizione non costituisce presupposto indefettibile per la concessione del sequestro giudiziale, atteso che il medesimo art. 670 c.p.c. richiede ai fini della concessione della misura semplicemente ragioni che rendano opportuna la custodia del bene controverso.
Qualora venga dedotto a fondamento della condizione del fumus bonis iuris l’esistenza della verosimiglianza di un diritto ad ottenere la rescissione di un contratto, mediante l’esperimento dell’azione di rescissione per lesione di cui all’art. 1448 c.c. in sede di cognizione ordinaria, devono essere adeguatamente provati i requisiti:
- della sproporzione tra le prestazioni contrattuali delle parti, tale per cui il valore della prestazione, eseguita o promessa dalla parte danneggiata, deve eccedere di oltre la metà il valore della controprestazione. In particolare, la lesione ultra dimidium deve essere accertata in base ad una valutazione economica delle prestazioni compiuta, dunque tenendo conto il valore reale dei beni, in relazione al momento della conclusione del contratto;
- dello stato di bisogno di una delle parti, il quale deve avere inciso sulla libera determinazione del contraente danneggiato secondo un nesso di strumentalità. In mancanza di detta efficienza causale, lo stato di bisogno viene degradato a mera esigenza di realizzare il fine perseguito dal contraente in maniera più conveniente. Peraltro, ove la parte danneggiata sia una società, si deve avere a riguardo allo stato psicologico della persona fisica legittimata ad agire in rappresentanza dell’ente in base al rapporto organico;
- dell’approfittamento della controparte contrattuale, il quale deve risolversi nella mera consapevolezza dell’esistenza dello stato di bisogno in cui versa la controparte danneggiata, purchè essa abbia costituito la spinta psicologica a contrarre.
Detti requisiti, legittimanti l’azione rescissoria per lesione di cui all’art. 1448 c.c., devono sussistere tutti simultaneamente. Di tal che, una volta riscontrata la mancanza o la mancata dimostrazione dell’esistenza di uno dei tre elementi, diviene superflua l’indagine circa la sussistenza degli altri due.
Royalties spettanti all’autore: copie vendute o copie stampate?
La percentuale prevista in favore degli autori, cd. royalties, è determinata sulle copie vendute e mai potrebbe essere stabilita sulle copie stampate che ovviamente, per l’editore, costituiscono una passività fino a quando non sono appunto vendute. Non ha quindi alcun fondamento logico, prima ancora che giuridico, la pretesa del pagamento di una percentuale per i diritti d’autore, semplicemente sul numero di copie che la casa editrice si era impegnata a stampare e che per diversi motivi non ha stampato.
Non coglie nel segno, pertanto, la tesi secondo cui la mancata tiratura iniziale delle copie concordate avrebbe creato un pregiudizio derivante dalla minore circolazione e commerciabilità dell’opera con conseguente danno da stimare in via equitativa con riferimento al parametro dei diritti d’autore che alla stessa sarebbero spettati.
Il provvedimento 55/2005 di Banca d’Italia riguarda solo le fideiussioni omnibus
L’oggetto dell’accertamento – sfociato poi nell’adozione del provvedimento 55/2005 – con cui Banca d’Italia ha accertato l’uniforme applicazione, da parte delle banche aderenti all’associazione ABI, di un modello di contratto standardizzato, da questa associazione predisposto, contenente, fra le altre, tre clausole ritenute violative della concorrenza risulta circoscritto alle condizioni generali delle fideiussioni omnibus, con ciò intendendosi quella particolare garanzia di natura obbligatoria, in uso nei rapporti bancari, che per effetto della c.d. clausola estensiva impone al fideiussore il pagamento di tutti i debiti presenti e futuri che il debitore ha assunto entro un limite massimo predeterminato ai sensi dell’art. 1938 c.c.
Sono nulli i contratti di fideiussioni omnibus a valle solo limitatamente alle clausole riproduttive dello schema illecito a monte, poiché adottato in violazione della normativa – nazionale ed eurounitaria – antitrust, a meno che non risulti comprovata agli atti una diversa volontà delle parti, nel senso dell’essenzialità – per l’assetto di interessi divisato – della parte del contratto colpita da nullità.
Mancata convocazione del socio la cui partecipazione è sottoposta a sequestro preventivo penale
La deliberazione assembleare di aumento del capitale sociale di una società per azioni, che sia stata assunta con violazione del diritto di opzione, non è nulla, ma meramente annullabile, in quanto tale diritto è tutelato dalla legge solo in funzione dell’interesse individuale dei soci ed il contrasto con norme, anche cogenti, rivolte alla tutela di tale interesse determina un’ipotesi di mera annullabilità.
Il sequestro preventivo penale, ex art. 321 c.p.p., di quote o azioni di una società di capitali, in difetto di contraria indicazione contenuta nel provvedimento che lo dispone, priva i soci dei diritti relativi alle quote o azioni sequestrate, sicché il diritto di intervento e di voto nelle assemblee spetta al custode designato in sede penale. L’attribuzione al custode del diritto di voto implica che soltanto a costui sia altresì riservata la legittimazione ad impugnare le deliberazioni assembleari al fine di ottenerne l’annullamento ai sensi dell’art. 2377 c.c., stante la strumentalità del diritto di impugnazione rispetto a quello di voto, quale esplicazione del medesimo inscindibile potere che si esprime nel concorrere alla formazione della volontà assembleare e nel reagire alle eventuali manifestazioni illegittime di detta volontà.
Nullità parziale della fideiussione omnibus conforme allo schema ABI
I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, co. 2, lett. a), della l. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, co. 3, della legge succitata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.
La formulazione di una eccezione riconvenzionale in una materia devolta alla competenza delle sezioni specializzate in materia di imprese non comporta la separazione delle cause e lo spostamento della competenza. Specularmente, essendo la competenza sull’opposizione a decreto ingiuntivo una competenza funzionale inderogabile ed immodificabile, anche per ragioni di connessione, del giudice che ha emesso il decreto, ne deriva che questi, in caso sia proposta domanda riconvenzionale di competenza delle sezioni specializzate delle imprese di altro tribunale, è tenuto a separare le due cause, rimettendo quella relativa a quest’ultima domanda dinanzi al tribunale competente.
Concorrenza sleale e divieto di concorrenza ex art. 2390 c.c.
Ai fini dello svolgimento di attività anticoncorrenziale non rileva la comparazione degli oggetti sociali, ma occorre focalizzare l’attenzione sul tipo di clientela a cui si rivolgono i due concorrenti e quale sia l’attività d’impresa effettivamente realizzata per verificare se via sia stato sviamento della clientela.
Il fatto che una società sia stata posta in liquidazione non esclude che la stessa possa essere vittima di condotte concorrenziali sleali ex art. 2598 c.c.. Infatti, la messa in liquidazione è una condizione reversibile e, in quanto tale, non può pregiudicare la possibilità per la società di rientrare sul mercato senza vedere compromesso il proprio avviamento.
L’art. 2390 c.c. dà rilievo a un conflitto potenziale di interessi, mirando a evitare che l’amministratore durante il suo ufficio, si trovi in situazioni di dannoso antagonismo con la società. Il divieto è, quindi, preordinato a tutelare la società ed è inteso a favorire il perseguimento dell’interesse della società da parte dell’amministratore, costituendo una sorta di tutela avanzata della società, al fine di evitare che l’amministratore sia indotto a danneggiarla, facendole concorrenza.
Contratto di edizione: cumulabilità dell’azione redibitoria e di riduzione del prezzo
Il carattere distintivo che connota il contratto di edizione è il trasferimento del diritto di utilizzazione economica dell’opera dell’autore ai fini della stampa e pubblicazione dell’opera creativa. Non sembra che tale causa del contratto così palesemente compendiata anche nel contratto di edizione possa essere svilita e stravolta fino alla sussunzione in altro tipo contrattuale, solo perché l’autore decide di accollarsi una parte delle spese.
L’incompatibilità dell’azione redibitoria con quella di riduzione del prezzo è conseguenza riconosciuta positivamente soltanto in relazione al contratto di compravendita di cui all’art. 1492 c.c. Al contrario, l’esame della disciplina legislativa del contratto di edizione conduce a ritenere che il cumulo delle due domande sia ammissibile.