Tribunale di Palermo
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Presupposti della postergazione del finanziamento dei soci ex art. 2647 c.c.
Qualora i finanziamenti da parte dei soci a favore della società non siano stati eseguiti in condizioni di patrimonializzazione insufficiente ma in un periodo nel quale i bilanci evidenziavano la produzione di utili di esercizio, ancorchè le restituzioni siano state effettuate nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, non sussistono i presupposti della violazione dell’art. 2467 c.c. ma semmai gli estremi di un pagamento preferenziale, in relazione al quale l’ammontare del danno non può essere individuato nell’intero importo oggetto di restituzione, bensì nell’entità della falcidia fallimentare.
Insindacabilità del merito gestorio e presupposti per la responsabilità degli amministratori
Alla luce del principio di insindacabilità del merito gestorio non ogni atto dannoso per il patrimonio sociale è idoneo a fondare la responsabilità dell’amministratore che lo abbia compiuto e, d’altra parte, non tutte le violazioni di obblighi derivanti dalla carica comportano necessariamente una lesione del patrimonio sociale. Di conseguenza, danno luogo a responsabilità risarcitoria solo i comportamenti illeciti che abbiano causato un danno al patrimonio sociale rendendolo incapiente, purché tale danno sia legato da un nesso eziologico ai suddetti illeciti.
L’onere probatorio nell’azione sociale di responsabilità
Grava sull’attore che esercita l’azione di responsabilità sociale l’onere di allegare le condotte inadempienti dell’amministratore, di provare in modo specifico i danni che ciascuna di tali condotte ha prodotto alla società e il nesso di causalità fra tali condotte e i danni conseguenti.
Diritto al risarcimento del danno dell’amministratore revocato senza giusta causa
Spetta all’amministratore, a seguito della sentenza di rigetto dell’impugnazione della delibera di nomina dello stesso, la cui efficacia era stata sospesa nelle more del giudizio, un ristoro mediante l’applicazione analogica dell’art. 2383 c.c., norma che disciplina la revoca dell’amministratore in assenza di giusta causa e prevede il diritto dell’amministratore ingiustamente revocato o sospeso al risarcimento del danno subito. Il danno va commisurato al compenso non percepito nel periodo in cui l’amministratore avrebbe conservato il suo ufficio se non fosse sopraggiunta la sospensione dall’incarico.
Diritto al risarcimento del danno dell’amministratore revocato senza giusta causa
Spetta all’amministratore, a seguito della sentenza di rigetto dell’impugnazione della delibera di nomina dello stesso, la cui efficacia era stata sospesa nelle more del giudizio, un ristoro mediante l’applicazione analogica dell’art. 2383 c.c., norma che disciplina la revoca dell’amministratore in assenza di giusta causa e prevede il diritto dell’amministratore ingiustamente revocato o sospeso al risarcimento del danno subito. Il danno va commisurato al compenso non percepito nel periodo in cui l’amministratore avrebbe conservato il suo ufficio se non fosse sopraggiunta la sospensione dall’incarico.
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore
L’azione di responsabilità esercitata dal curatore del fallimento ai sensi dell’art. 146 l. fall. compendia in sé le azioni previste a tutela della società stessa e dei creditori sociali, come espressamente previsto ex art. 2394 bis c.c. per le s.p.a.; eguale previsione si ricava agevolmente, per le s.r.l., dal combinato disposto degli artt. 2476, co. 1 e 6, c.c. e 146 l. fall. L’azione esperita dal curatore del fallimento, prevista dall’art. 146 l. fall., ha una duplice natura: ha natura contrattuale l’azione di responsabilità nei confronti di amministratori, liquidatori, sindaci e revisori esercitata a tutela della società, e natura extracontrattuale l’azione a tutela dei creditori sociali, con tutte le conseguenze che ne derivano in tema di onere della prova.
Non è consentito sindacare il c.d. merito gestorio, poiché l’obbligazione contratta dall’amministratore è di natura professionale, trattandosi di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, con la conseguenza che non sono addebitabili agli amministratori gli esiti infausti di una scelta gestionale, purché questa sia stata posta in essere secondo criteri di ragionevolezza, previa assunzione di ogni elemento conoscitivo utile alla stessa, da valutarsi ex ante, ossia sulla base delle circostanze note al momento delle condotte in esame.
Sequestro conservativo sui beni degli amministratori
Mala gestio per pagamenti per cassa non quietanzati
Nel contesto dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore, il pagamento di debiti verso fornitori ‘per cassa’ senza il rilascio di quietanze rappresenta comportamento dannoso dell’amministratore, non trattandosi soltanto di una pratica censurabile dal punto di vista fiscale, ma concretamente dannosa per la società.
Nullità della delibera assembleare emessa in violazione di lodo arbitrale passato in giudicato
Attiene a diritti indisponibili, come tali non compromettibili in arbitri ex art. 806 c.p.c., la natura pubblicistica della cosa giudicata sostanziale, in quanto prevista da norme imperative di ordine pubblico, che la sottraggono a ogni derogabilità pattizia, precludendo qualsiasi possibilità di adottare una determinazione contraria al giudicato formatosi in favore di una delle parti.
Il giudicato formatosi su una pronuncia di annullamento (o nullità) di una delibera sociale ha effetto rispetto a tutti i soggetti coinvolti dall’azione sociale; infatti, poiché la deliberazione dell’assemblea è un atto riconducibile a un contratto associativo, come nel momento fisiologico ha effetto per tutta la struttura societaria (e quindi per tutta la compagine sociale, anche per l’eventuale minoranza che avesse votato contro quella specifica delibera), allo stesso modo, nel momento patologico, l’accertamento della sua eventuale invalidità produce effetti nei confronti di tutta la società e a tali effetti non può derogarsi se non sulla base di un accordo tra tutte le parti direttamente o indirettamente coinvolte. È quindi nulla la delibera che si proponga di rimuovere gli effetti del giudicato adottata in danno di una parte della compagine sociale, essendo il giudicato posto a tutela non soltanto del o dei singoli soci coinvolti nel contenzioso, ma di tutta la società e anche dei terzi.
Il giudice non può entrare nel merito di scelte che competono solo agli organi sociali, in quanto le concrete modalità di esecuzione del giudicato sono rimesse alla discrezionalità dell’organo amministrativo e all’assemblea dei soci; tuttavia, la parte vittoriosa del giudizio ha diritto a che si provveda in modo legittimo e conforme alle regole che presiedono all’azione dell’organizzazione (nel caso di specie, il Tribunale, in accoglimento della domanda attorea, ha condannato la società convenuta a iscrivere correttamente il dispositivo del lodo passato in giudicato presso il registro delle imprese).
Attuazione di provvedimento cautelare in relazione a nuovo marchio diverso da quello oggetto di inibitoria
In tema di concorrenza sleale, la funzione dell’azione inibitoria di cui all’art. 2599 C.C. inerisce ad una pronuncia che può costituire oggetto di giudicato, consentendo di acquisire ad un eventuale secondo giudizio di cognizione l’accertamento – compiuto nel primo giudizio – dell’illiceità dell’atto ex art. 2598 c.c. I limiti oggettivi di tale giudicato sono rispettati se fra i due comportamenti (quello considerato della prima inibitoria e quello realizzato successivamente) sussista un’indentità di genere e specie, all’interno della quale le eventuali variazioni meramente estrinseche e non caratterizzanti non possono far escludere l’operatività della pronuncia medesima.
La tutela d’urgenza apprestata in relazione a un marchio non può automaticamente estendersi a un nuovo marchio, registrato dopo l’ordinanza cautelare; tuttavia è compito del Giudice procedere all’accertamento della lamentata lesività della nuova condotta ai fini della configurabilità dell’illecito confusorio, qualora venga denunciata la presenza nel nuovo marchio di elementi di analogia con quello oggetto della precedente inibitoria (specialmente laddove il prodotto contrassegnato dal marchio sia di largo consumo, destinato al grande pubblico ed ampiamente pubblicizzato).