Tribunale di Torino
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Sulla individuazione della natura degli apporti spontanei dei soci quali finanziamenti o conferimenti
Per comprendere la reale natura e portata degli apporti spontanei eseguiti dai soci in favore della società (ovvero se le risorse siano state versate nelle casse sociali a titolo di finanziamento e, quindi, di mutuo; oppure, a titolo di apporto in favore del patrimonio sociale di risorse a fondo perduto) occorre indagare la reale ed effettiva volontà delle parti; volontà che può essere desunta e riscontrata anche da elementi indiziari e documentali, quali:
i. l’effettiva indicazione utilizzata nelle causali dei bonifici (ad esempio “prestito soci”/”finanziamento soci”);
ii. l’eventuale rimborso anche parziale degli stessi operato nel tempo dalla società;
iii. la registrazione effettuata dalla società di tali movimenti nelle scritture contabili e nel bilancio contabile e/o di esercizio.
In tal senso, l’indicazione attribuita dalla società nel bilancio di esercizio (ove risulti un debito verso il socio) costituisce elemento probatorio forte e sufficiente ad attribuire all’apporto la natura di finanziamento soci, atteso anche che le qualificazioni che i versamenti hanno ricevuto nel bilancio diventano determinanti per stabilire se si tratta di finanziamento o di conferimento.
La delibera assembleare con cui si chiede ai soci di versare nelle casse sociali risorse a titolo gratuito ed a fondo perduto non può obbligare i soci ad apportare risorse a tale titolo, ben potendo il socio non effettuare versamenti o decidere di farlo a titolo di finanziamenti. In ogni caso, l’esistenza della delibera non è di per sé sufficiente ad attribuire agli apporti eseguiti in forma spontanea dai soci natura di conferimenti e/o di versamenti a fondo perduto, dovendosi necessariamente interpretare e valutare l’effettiva volontà del socio.
Il socio che agisce per la restituzione dei finanziamenti soci erogati deve, dunque, dimostrare l’avvenuto versamento (ad esempio mediante la produzione delle contabili), la natura degli apporti e la loro entità.
Il socio che ha effettuato finanziamenti alla società ha diritto a chiederne la restituzione anche in via monitoria e/o ad azionare la tutela cautelare conservativa sul patrimonio sociale, qualora sussistano i presupposti del fumus e del periculum in mora (da intendersi quale pericolo: i. soggettivo, ovvero riconnesso alla condotta e/o ad atti compiuti dalla società e/o dagli amministratori e finalizzati a ridurre la garanzia creditizia, quali la promessa e/o la cessione di cespiti sociali e/o lo scioglimento della società, e/o; ii. oggettivo e ricollegato alla entità ed alla sufficienza del patrimonio sociale rispetto alla pretesa creditizia).
Prodotti che richiamano prodotti di successo: contraffazione di marchi complessi, look-alike e risarcimento del danno
Il marchio complesso, che consiste nella combinazione di più elementi, ciascuno dotato di capacità caratterizzante e suscettibile di essere autonomamente tutelabile, non necessariamente è un marchio forte, ma lo è solo se lo sono i singoli segni che lo compongono, o quanto meno uno di essi, ovvero se la loro combinazione rivesta un particolare carattere distintivo in ragione dell’originalità e della fantasia nel relativo accostamento. Quando, invece, i singoli segni siano dotati di capacità distintiva, ma quest’ultima (ovvero la loro combinazione) sia priva di una particolare forza individualizzante, il marchio deve essere qualificato debole, tale seconda fattispecie differenziandosi, peraltro, dal marchio di insieme in ragione del fatto che i segni costitutivi di quest’ultimo sono privi di un’autonoma capacità distintiva, essendolo solo la loro combinazione.
Per valutare la similitudine confusoria tra due marchi complessi occorre utilizzare un criterio globale che si giovi della percezione visiva, uditiva e concettuale degli stessi con riferimento al consumatore medio di una determinata categoria di prodotti, considerando anche che costui non ha possibilità di un raffronto diretto, che si basa invece sulla percezione mnemonica dei marchi a confronto.
Costituisce atto di concorrenza sleale l’imitazione pedissequa degli elementi essenziali della confezione dell’altrui prodotto, allorchè il pubblico dei consumatori possa essere indotto ad attribuire, alla confezione dell’imitatore, le qualità di cui è portatore l’altrui prodotto (c.d. “look alike”), ciò in forza del rischio di associazione tra le due confezioni, e senza che occorra errore o confusione quanto alle fonti di produzione.
L’art. 125 c.p.i., comma 2, consente che il giudice liquidi il danno in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne derivano. Il criterio del giusto prezzo del consenso o della giusta royalty, vale a dire del compenso che il contraffattore avrebbe pagato al titolare se avesse chiesto ed ottenuto una licenza per utilizzare l’altrui privativa industriale, opera come ulteriore elemento di valutazione equitativa “semplificata” del lucro cessante e come fissazione di un limite minimo o residuale di ammontare del risarcimento, voluto dal legislatore a garanzia della effettività della compensazione. Il criterio della “giusta royalty” o “royalty virtuale” segna solo il limite inferiore del risarcimento del danno liquidato in via equitativa e non può essere utilizzato laddove il danneggiato abbia offerto validi e ragionevoli criteri per procedere alla liquidazione del lucro cessante o ad una valutazione comunque equitativa più consistente.
La retroversione degli utili ha una causa petendi diversa, autonoma e alternativa rispetto alle fattispecie risarcitorie di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 125. Ci si trova di fronte non ad una mera e tradizionale funzione esclusivamente riparatoria o compensativa del risarcimento del danno, nei limiti del pregiudizio subito dal soggetto danneggiato, ma ad una funzione, se non propriamente sanzionatoria, diretta, quantomeno, ad impedire che il contraffattore possa arricchirsi mediante l’illecito consistito nell’indebito sfruttamento del diritto di proprietà intellettuale altrui.
Richiesta risarcitoria per provvedimento di descrizione dichiarato inefficace
Deve rilevarsi la competenza a decidere sulla controversia del Tribunale delle Imprese avendo la domanda ad oggetto l’allegata illegittimità del provvedimento di descrizione e ricadendo, pertanto, nell’ambito di applicazione dell’art. 3 Dlgs 168/2003. [ LEGGI TUTTO ]
Interruzione del contratto di fornitura di servizi relativi a contenuti sportivi e tutela cautelare. Il caso Vodafone vs Dazn
Nel diritto inglese una clausola che attribuisce la giurisdizione esclusiva su un certo contratto ad un certo Giudice (o ad un arbitro) deve essere interpretata, specie in materia commerciale, nel senso che qualsivoglia controversia scaturente dal contratto deve essere attribuita al Giudice scelto dalle parti, fatto salvo il caso che le parti abbiano espressamente formulato eccezioni alla regola generale attributiva della giurisdizione. Il richiamo all’esecuzione in Italia del provvedimento cautelare di cui all’art. 10 della l. 218/1995 deve essere interpretato in senso tecnico, ovvero nel senso che la misura cautelare possa essere eseguita coattivamente dallo Stato italiano in caso di mancata spontanea ottemperanza da parte dell’intimato, cosicché tale norma è inapplicabile quando il provvedimento cautelare richiesto attiene ad un facere infungibile (ovvero incoercibile), che come tale non può per definizione “essere eseguito in Italia”. [nel caso di specie il Tribunale, ritenuto applicabile al caso in esame il diritto inglese in ragione della scelta fatta dalle parti all’interno del contratto azionato in giudizio, interpretava la clausola di scelta del Foro ritenendo anche il giudizio cautelare compreso nella giurisdizione del Giudice designato dalle parti].
Quando la fotografia può essere considerata opera dell’ingegno?
Ai sensi degli artt. 1 e 2 n. 7 LA, le fotografie, per poter essere qualificate come opere dell’ingegno, devono avere carattere creativo. Ciò significa, che devono costituire manifestazione della personalità dell’autore e questa deve trasparire da vari concorrenti elementi, come la scelta e la disposizione degli oggetti da riprodurre, la selezione delle fonti delle luci, il dosaggio dei toni, ecc. La fotografia deve lasciare trasparire l’apporto personale dell’autore, il quale non si limita a riprodurre e documentare situazioni reali, ma, tramite il suo apporto creativo e la valorizzazione degli effetti e, per esempio, la scelta del soggetto e della sua espressione, riesce a creare suggestioni, purché emerga una prevalenza del profilo artistico sull’aspetto meramente tecnico.
Contratto di subfornitura e risoluzione dello stesso in assenza di ipotesi tipiche: clausola risolutiva espressa, diffida ad adempiere, termine essenziale
Quando i contraenti richiedano reciprocamente la risoluzione del contratto, ciascuno attribuendo all’altro la condotta inadempiente, il giudice deve comunque dichiarare la risoluzione dello stesso, atteso che le due contrapposte manifestazioni di volontà, pur estranee ad un mutuo consenso negoziale risolutorio, sono tuttavia, in considerazione delle premesse contrastanti, dirette all’identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale. [Nella fattispecie entrambe le parti danno per scontata l’avvenuta risoluzione del contratto, ragion per cui l’organo giudicante da atto dell’intervenuta risoluzione del contratto di subfornitura.]
Principi in tema di OPA
Nel caso di subentro di un nuovo azionista nel controllo della società, il principio della parità di trattamento tra azionisti ex art. 92 TUF si esprime, assicurando parità di trattamento economico tra il socio di controllo uscente e gli azionisti di minoranza, nei termini previsti dalle disposizioni sulle offerte pubbliche di acquisto e scambio e in particolare sull’OPA obbligatoria prevista agli artt. 105 ss. TUF.
Il meccanismo legale dell’OPA obbligatoria, oltre che ad assicurare un buon funzionamento del mercato finanziario, è destinato a realizzare il soddisfacimento di un interesse in capo ai soci di minoranza della società, i quali possono scegliere se conservare la titolarità delle loro azioni, confidando in un futuro aumento del valore e della redditività delle stesse, o se monetizzarle per beneficiare anch’essi del premio di maggioranza.
La “collusione” tra l’offerente o le persone che agiscono di concerto con il medesimo e uno o più venditori (art. 106 TUF), circostanza che giustifica un provvedimento di rettifica del prezzo da parte della Consob, può consistere in qualsiasi operazione collegata idonea a recepire, e quindi occultare, parte del valore della cessione.
Nella disciplina dell’OPA, non è configurabile un abuso nella dialettica tra maggioranza e minoranza, in quanto la maggioranza non ha il potere di obbligare gli altri soci, ancorché dissenzienti. Infatti, all’obbligo dell’acquirente di una partecipazione rilevante di promuovere un’offerta pubblica d’acquisto ex art. 106 TUF corrisponde la piena facoltà di scelta di ciascun azionista destinatario dell’offerta se vendere le sue azioni al prezzo fissato oppure conservarle. Dunque, si deve escludere che la negoziazione del pacchetto di controllo, a cui segua un’OPA obbligatoria, possa qualificarsi come condotta abusiva, stante il fatto che tale vendita, pur potendo orientare i corsi di Borsa, non vincola a loro volta gli azionisti di minoranza a vendere, né a vendere al medesimo prezzo.
Il criterio della “ragionevole prevedibilità” di verificazione di una serie di circostanze, finalizzata all’individuazione del perimetro delle “informazioni privilegiate” (la cui definizione al tempo si trovava nell’art. 181 TUF, oggi all’interno dell’art. 7 Regolamento UE n. 596/2014), serve a distinguere le circostanze o gli eventi futuri di cui appare, sulla base di una valutazione globale degli elementi già disponibili, che vi sia una concreta prospettiva che essi verranno ad esistere o che si verificheranno rispetto a notizie generiche, situazioni ancora fluide o dai contenuti indefiniti.
L’obbligo di nuovi versamenti nelle società cooperative deve essere previsto da una clausola statutaria
Non può di regola essere demandato né all’assemblea né tantomeno agli organi della cooperativa il potere di imporre al socio versamenti in denaro ulteriori rispetto all’iniziale conferimento, salvo che tale potere non sia stabilito da una clausola statutaria per i fini dell’espletamento dell’attività della cooperativa e per il perseguimento dello scopo sociale.
La deliberazione dell’assemblea di una società cooperativa, con cui la maggioranza imponga ai soci nuove prestazioni accessorie, ovvero modifichi quelle previste dall’atto costitutivo non è di per sé nulla per l’impossibilità dell’oggetto, né inesistente per provenienza da un organo sfornito di potere, ma è soltanto impugnabile, se contraria alla legge o all’atto costitutivo, nei modi e nei termini previsti dall’articolo 2377 c.c.
Tutela autoriale delle banche dati e illecita sottrazione di informazioni riservate
La verifica della competenza va attuata alla stregua delle allegazioni contenute nella domanda e non anche delle contestazioni mosse alla pretesa dalla parte convenuta, tenendo altresì conto che, qualora uno stesso fatto possa essere qualificato in relazione a diversi titoli giuridici, spetta alla scelta discrezionale della parte attrice la individuazione dell’azione da esperire in giudizio, essendo consentito al giudice di riqualificare la domanda stessa soltanto nel caso in cui questa presenti elementi di ambiguità non altrimenti risolvibili.
L’utilizzabilità da parte dell’ex lavoratore delle conoscenze acquisite nel corso della propria esperienza lavorativa non può estendersi fino al punto di ricomprendere un complesso organizzato e strutturato di dati cognitivi, anche se non segretati o pretetti, che superino la capacità mnemonica e l’esperienza del singolo normale individuo e che configurino così una banca dati che, arricchendo la conoscenza del concorrente, sia capace di fornirgli un vantaggio competitivo che trascenda la capacità e le esperienze del lavoratore acquisito (in tal senso Cass. 12.7.2019 n. 18772).
Rientrano nella definizione di banche dati, secondo gli art. 2 n. 9 e 64-quinuies e sexies L. 633/41, le raccolte di opere, dati, e altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o in altro modo. Affinchè una banca dati possa rientrare nell’ambito di tutela della disciplina delle opere dell’ingegno è necessario che sia dotata del requisito della creatività, ovvero della capacità dell’opera di costituire espressione del suo autore.
La liquidazione equitativa del danno secondo quanto previsto dall’art. 158 L. 633/1941 in materia di violazione del diritto d’autore e dall’2600 c.c. in materia di concorrenza sleale presuppone in ogni caso la prova circa l’effettiva esistenza del danno. L’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa; esso, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che per la parte interessata risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, provare il danno nel suo ammontare, e dall’altro non ricomprende l’accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l’onere della parte di dimostrare la sussistenza e l’entità materiale del danno (Cass. 22.2.2018 n. 4310, Cass. 30.7.2020 n. 16344).
Il mantenimento in funzione per un lungo periodo di tempo dell’account aziendale personale di un dipendente dopo l’interruzione del rapporto di lavoro si pone in contrasto con il diritto alla riservatezza dello stesso.
Il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 196 del 2003 (codice della privacy), pur determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli artt. 2 e 21 Cost. e dall’art. 8 della CEDU, non si sottrae alla verifica della “gravità della lesione” e della “serietà del danno”, in quanto anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost., di cui quello di tolleranza della lesione minima è intrinseco precipitato, sicché determina una lesione ingiustificabile del diritto non la mera violazione delle prescrizioni poste dall’art. 11 del codice della privacy, ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva, restando comunque il relativo accertamento di fatto rimesso al giudice di merito (Cass. 20.8.2020 n. 17383). Il danno alla privacy, come ogni danno non patrimoniale, non sussiste in “re ipsa”, non identificandosi il danno risarcibile con la mera lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento, ma con le conseguenze di tale lesione, seppur può essere provato anche attraverso presunzioni (Cass. 10.6.2021 n. 16402).