Tribunale di Torino
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Onere della prova nel giudizio di opposizione alla deliberazione di esclusione del socio
Ai sensi dell’art. 2533 c.c., contro la deliberazione di esclusione del socio, il socio può proporre opposizione al Tribunale nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione. In sede di opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio di una società cooperativa, incombe sulla società -che, pur se formalmente convenuta, ha sostanziale veste di attore- l’onere di provare i fatti posti a fondamento dell’atto impugnato (Cass. civ. 26.9.2013 n.22097).
Onere probatorio nel giudizio di opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio di società cooperativa
Nel giudizio di opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio di una società cooperativa, incombe sulla società – che, pur se formalmente convenuta, ha sostanziale veste di attore – l’onere di provare i fatti posti a fondamento dell’atto impugnato.
Attività di amministratore unico di società pubblica e assenza di diritto al compenso per il dirigente pubblico
Non ha diritto a percepire un compenso per l’attività prestata come Amministratore Unico di società partecipata dall’Amministrazione di appartenenza il dirigente pubblico che ricopra tale ruolo unitamente alle proprie funzioni dirigenziali quando la tipologia di incarico ad esso affidato rientra fra le attività connesse al rapporto organico tra il dirigente e l’Amministrazione di appartenenza. In tal caso, infatti, trova applicazione l’art. 24 del t.u. sul pubblico impiego (d.lgs. 30.3.2001 n. 165) che regolamenta il trattamento economico dei dirigenti pubblici e che, al comma 3, prevede il regime di onnicomprensività della retribuzione. [ LEGGI TUTTO ]
Regime di responsabilità in caso di azione nei confronti di amministratori e terzi
In caso di azione di responsabilità proposta dal curatore del fallimento ex art. 146 L.F. nei confronti degli amministratori della società e di azione ex artt. 2043 e/o 2049 c.c. nei confronti di terzi che hanno concorso nella causazione del danno alla società ed ai creditori sociali, sussiste – nei rapporti esterni – la responsabilità solidale di tutti i predetti soggetti indipendentemente dalla natura della responsabilità dedotta.
Sulla (non) configurabilità della rinuncia all’esercizio del diritto di recesso ai sensi dell’art. 2437 ter c.c.
La disciplina vigente non esclude espressamente la facoltà del socio di rinunciare agli effetti del recesso, ma contiene elementi sufficienti ad escluderne l’ammissibilità in via sistematica. In primo luogo, le sole cause di sopravvenuta inefficacia del recesso “già esercitato” consistono nella “revoca della delibera che lo legittima” o nella deliberazione dello scioglimento della società, l’una e l’altra “entro novanta giorni” (art. 2437-bis co. 3). […] Secondo, la rinuncia al recesso, invariate le condizioni che lo hanno cagionato, appare incompatibile con la ratio legis dell’attribuzione del diritto, come possibilità di apprezzare un mutamento delle condizioni di rischio, nelle ipotesi legislativamente previste, e di liquidare l’investimento. Il socio può, in altri termini, continuare a sottoporsi al rischio imprenditoriale, partecipando agli utili e alle perdite, oppure estraniarsi dal rischio della società, assumendo la veste di creditore della quota di liquidazione. Non può assumere al contempo l’una e l’altra qualità […].
Su queste premesse, al socio non compete il diritto di rinunciare al recesso già esercitato e la società non può esimersi dalla liquidazione della quota eccependo l’avvenuta rinuncia, a prescindere dalle modalità (espressa o tacita) con cui tale rinuncia si sia manifestata.
Sulla rinuncia per fatti concludenti all’esercizio del diritto di recesso. Il caso Banca Sella
Al socio non compete il diritto di rinunciare al recesso già esercitato (jus poenitendi) e la società non può esimersi dalla liquidazione della quota eccependo l’avvenuta rinuncia, a prescindere dalle modalità (espressa o tacita) con cui tale rinuncia si sia manifestata. La rinuncia al recesso da parte del socio, invariate le condizioni che lo hanno cagionato, appare infatti incompatibile con la ratio legis dell’attribuzione del diritto, come possibilità di apprezzare un mutamento delle condizioni di rischio, nelle ipotesi legislativamente previste, e di liquidare l’investimento. Il socio può, in altri termini, continuare a sottoporsi al rischio imprenditoriale, partecipando agli utili e alle perdite, oppure estraniarsi dal rischio della società, assumendo la veste di creditore della quota di liquidazione. Non può assumere al contempo l’una e l’altra qualità, riservandosi di stare a vedere, per rientrare nella società o uscirne definitivamente, secondo che i rischi abbiano o meno a materializzarsi.
Dato e non concesso che il socio possa rinunciare unilateralmente, prima della liquidazione, agli effetti del recesso già esercitato, la prolungata inerzia del socio all’esercizio del recesso non si qualificherebbe comunque automaticamente come esercizio “abusivo” del diritto per l’affidamento al non esercizio ingenerato, con relativa “decadenza” dallo stesso (Verwirkung), poiché tale istituto richiede un ritardo imputabile al titolare, generatore di un ragionevole e apprezzabile affidamento sulla definitiva scelta di non avvalersi del diritto, che ne renda “sleale” o “abusivo” il successivo esercizio. Né potrebbe essere considerata manifestazione di volontà abdicativa da parte del titolare la mancata esecuzione della sentenza di condanna, provvisoriamente esecutiva ma ancora non passata in giudicato, a determinare il valore delle azioni ed eseguire il procedimento per la loro liquidazione: tale comportamento non implicherebbe alcuna prematura estinzione del diritto – prematura rispetto alla prescrizione decennale della actio judicati – per rinuncia tacita.
Estinzione del processo
L’estinzione del processo deve essere dichiarata con Sentenza del Collegio, ove la dichiarazione di rinuncia ed accettazione ex art. 306 c.p.c. intervenga dopo la rimessione della causa al Collegio per la decisione, come si desume dall’art. 307, ultimo comma, c.p.c.
Annullamento del contratto ai sensi dell’art. 2475-ter c.c. e nozione di “conflitto di interessi” dell’amministratore
Sussiste “conflitto di interessi” quando l’amministratore persegue una finalità contrapposta e inconciliabile con quella della società rappresentata, di guisa che all’utilità conseguita o conseguibile da quest’ultimo, per sé medesimo o per conto del terzo, segua, o possa seguire, il danno della società rappresentata; e l’esistenza di un conflitto di interessi tra la società ed il suo amministratore dev’essere accertata in concreto sulla base di una comprovata relazione antagonistica di incompatibilità di interessi di cui sono portatori rispettivamente, la società ed il suo amministratore, non essendo a tal fine sufficiente neanche la mera coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratore delle contrapposte parti contrattuali.
Ai fini dell’applicazione dell’art. 2475 ter c.c. occorre dunque, innanzitutto, che l’amministratore sia portatore per conto proprio o di terzi di un interesse la cui soddisfazione comporti necessariamente il sacrificio dell’interesse della società.
Onere probatorio ai fini dell’accertamento dell’esistenza del conflitto di interessi e dell’illecito di concorrenza sleale
L’esistenza di un conflitto di interessi tra la società ed il suo amministratore, ai fini dell’annullabilità del contratto, non può essere fatta discendere genericamente dalla mera coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratore di contrapposte parti contrattuali, ma deve essere accertata in concreto, sulla base di una comprovata relazione antagonistica di incompatibilità degli interessi di cui siano portatori, rispettivamente, la società ed il suo amministratore. [ LEGGI TUTTO ]
Vendita di capi di abbigliamento riproducenti l’altrui opera dell’ingegno
La creatività non è costituita dall’idea in sé, ma dalla forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, di modo che la stessa idea può essere alla base di diverse opere che sono o possono essere diverse per la creatività soggettiva che ciascuno degli autori spende, e che in quanto tale rileva per l’ottenimento della protezione. Il concetto giuridico di creatività non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta, riferendosi, per converso, alla personale e individuale espressione di un’oggettività.
L’apposizione di una macchia di colore su una fotografia di una nota attrice integra un sufficiente atto creativo, idoneo a essere tutelato ai sensi della normativa in materia.
La violazione del diritto d’autore costituisce “un danno ingiusto” ex art. 2043 cc, per il cui risarcimento occorre la sussistenza di tutti gli elementi previsti dalla norma, tra cui vi è il compimento di un “fatto doloso o colposo”.