Tribunale di Torino
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Esclusione del socio di cooperativa edilizia
Il termine per il socio di cooperativa per opporsi all’esclusione di cui all’art. 2533 c.c. è perentorio e la mancata opposizione gli preclude di contestare, anche solo in via di eccezione in altro giudizio, il fondamento e la regolarità del procedimento di esclusione.
Nel contratto di locazione e nei contatti affini, come l’assegnazione in godimento di un alloggio di una cooperativa edilizia a proprietà indivisa, i vizi della cosa che pregiudicano la qualità del godimento dell’immobile da parte del conduttore non implicano la nullità del contratto per impossibilità dell’oggetto, ma attengono esclusivamente all’adempimento (inesatto) delle obbligazioni reciprocamente assunte dai contraenti. Soltanto quando i vizi della cosa locata comportino una causa di inagibilità e si riferiscano a requisiti imposti da norme inderogabili (sicurezza degli edifici, prevenzione incendi ecc.), il contratto deve ritenersi nullo per impossibilità dell’oggetto, senza che assuma rilevanza, in senso contrario, l’eventuale conoscenza e accettazione dei vizi da parte del conduttore, non potendo le parti derogare con i loro accordi alle norme imperative.
Revoca dell’amministratore di società a totale partecipazione pubblica
Quando a un ente pubblico è attribuito un potere di nomina o revoca di amministratori in una società, l’ente, nell’avvalersi di tale diritto, non esercita un potere a titolo proprio, ma esercita l’ordinario potere dell’assemblea, ad essa surrogandosi, quale organo della società, per autorizzazione della legge o dello statuto. Ciò comporta, per un verso, che gli atti in questione competono all’ente pubblico uti socius, e dunque iure privatorum e non iure imperii, con la conseguenza che in relazione a essi sussiste la giurisdizione del giudice ordinario. Per altro verso, che il rapporto controverso resta nella titolarità della società, unico soggetto tenuto a rispondere dell’eventuale obbligazione risarcitoria derivante dall’illegittimità del provvedimento medesimo, corollario da cui discende la necessaria partecipazione della società al giudizio di impugnazione della revoca.
La delibera di revoca dell’amministratore produce in ogni caso i suoi effetti in funzione della continuità della vita sociale, che esige certezza e stabilità degli atti, e al fine di presidiare la volontà assembleare che, come è libera di scegliere i gestori, così deve poterli revocare in ogni tempo, qualunque sia il motivo di quella scelta. Tale disciplina, dettata per le s.p.a., è applicabile in via analogica agli amministratori di s.r.l., essendo valide e applicabili anche in tale ambito le ragioni che la sorreggono. La delibera di revoca dell’amministratore deve enunciare in maniera esplicita le ragioni della revoca, che devono presentare caratteri di effettività ed essere riportate in modo adeguatamente specifico, mentre la deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori non è ammessa, restando esse ormai quelle indicate nella deliberazione, con la conseguenza che alla società compete la posizione di attore sostanziale in giudizio.
La previsione di cui all’art. 50, co. 8 e 9, TUEL identifica ex se una giusta causa oggettiva di revoca degli amministratori nel solo caso in cui la revoca intervenga nel termine di quarantacinque giorni dall’insediamento del nuovo sindaco, come previsto dall’art. 50, co. 9, TUEL. Di contro, la revoca dell’amministratore di una società partecipata da un Comune, disposta dal relativo sindaco oltre il termine di quarantacinque giorni dall’insediamento, è da ritenersi soggetta, quanto al ricorrere della giusta causa, alle regole ordinarie.
Il rapporto fra società ed ente pubblico è di assoluta autonomia, non essendo consentito all’ente di incidere unilateralmente sul suo svolgimento e sull’attività della società mediante l’esercizio di poteri autorizzativi o discrezionali. L’amministratore di designazione pubblica non è soggetto agli ordini dell’ente nominante e, anzi, per testuale previsione del codice civile (art. 2449 c.c.), ha i medesimi diritti e i medesimi obblighi dell’amministratore di nomina assembleare.
L’accertamento del venir meno del rapporto fiduciario, quale presupposto della delibera di revoca, è rilevante ai fini di integrare una giusta causa di revoca del mandato solo quando i fatti che abbiano determinato il venir meno dell’affidamento siano oggettivamente valutabili come fatti idonei a mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali dell’amministratore. In caso contrario, lo scioglimento del rapporto fiduciario deriva da una valutazione soggettiva della maggioranza dell’assemblea che legittima, da un lato, il recesso ad nutum e, dall’altro, che l’amministratore revocato senza giusta causa richieda il risarcimento del danno derivatogli dalla revoca del mandato.
Le spese per la determinazione del valore della quota del socio receduto
L’art. 2437 ter c.c. prevede che il tribunale debba provvedere anche sulle spese dell’esperto nominato per la determinazione del valore della quota del socio receduto. Infatti, il provvedimento sulle spese previsto dalla norma citata consiste non soltanto nella liquidazione del perito, ma anche nell’indicazione della parte tenuta a sopportare il carico, in ragione del fatto che: (i) l’esperto non assume la veste di ausiliario del giudice e non svolge attività interna a un procedimento già incardinato; (ii) una causa di cognizione ordinaria, avente a oggetto l’accertamento del diritto di recesso e/o il pagamento della quota è meramente eventuale; (iii) deve pur sempre esistere un luogo processuale, in cui il carico delle spese di perizia è ripartito, secondo un criterio di causalità, ponendo le stesse a carico della società (se la determinazione fatta dall’organo amministrativo è stata fondatamente contestata) o del socio receduto (nel caso contrario).
CTU e ricorso delle parti ex art. 92 disp. att. c.p.c.
Il diritto riconosciuto alle parti del giudizio di far valere, con ricorso ex art. 92, comma 1, disp.att. c.p.c., questioni afferenti ai poteri ed al perimetro dell’incarico conferiti al consulente tecnico può essere azionato solo nel corso delle operazioni peritali, rappresentando una fase interlocutoria tra il CTU, le parti e il giudice. Si deve, dunque, considerare tardivo il ricorso promosso dopo la chiusura delle operazioni peritali e in occasione dell’udienza di disamina.
L’oggetto della vendita di partecipazioni
Nella vendita di partecipazioni la disciplina giuridica della vendita si applica all’oggetto immediato e cioè alla partecipazione oggetto del contratto, mentre non si estende alla consistenza od al valore dei beni costituenti il patrimonio, a meno che l’acquirente, per conseguire tale risultato, non abbia fatto ricorso ad un’espressa clausola di garanzia, frutto dell’autonomia contrattuale, che consente alle parti di rafforzare convenzionalmente la garanzia, in modo da ricollegare esplicitamente il valore della partecipazione alle qualità del patrimonio sociale.
La cessione delle azioni di una società di capitali o di persone fisiche ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale – e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione – possono giustificare l’annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell’art. 1497 c.c., la risoluzione per difetto di qualità della cosa venduta (necessariamente attinente ai diritti e obblighi che, in concreto, la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire e non al suo valore economico), solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l’inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza.
Beni sociali di una s.n.c. e pretese degli eredi dei soci defunti
Istanza di sospensione di delibera assembleare sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto
Non è accoglibile l’istanza cautelare di sospensione della delibera assembleare sostituita, ex art. 2377, co. 8, c.c. e art. 2479 ter, co. 4, c.c., da un’altra decisione dei soci coincidente nell’oggetto con quella impugnata e risultante, sulla scorta di una pur sommaria delibazione, conforme alla legge e allo statuto.