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Tribunale di Torino


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26 Gennaio 2021

Lo storno dei dipendenti tra illecito concorrenziale e libertà costituzionalmente garantite

L’accertamento della fattispecie dello storno dei dipendenti come atto di concorrenza sleale presuppone l’esame di una serie di indici rilevatori alla luce di una valutazione d’insieme. Più in particolare, per aversi illecito concorrenziale, oltre ai dati oggettivi del passaggio del dipendente all’impresa concorrente, dell’insieme delle modalità che qualificano la scorrettezza professionale dell’assunzione degli altrui dipendenti o collaboratori e dell’idoneità della condotta a danneggiare il concorrente, occorre un quid pluris, da individuarsi

(a) nella violazione dei principi e dei canoni della correttezza professionale e

(b) nell’intenzione specifica – se non esclusiva, quanto meno prevalente e determinante, o comunque predominante – di nuocere il concorrente.

E ciò a maggior ragione nel caso di dipendenti qualificati ed utili per la gestione dell’impresa concorrente, in relazione all’impiego delle rispettive conoscenze tecniche usate presso l’altra impresa e non possedute dal concorrente stesso.

Tuttavia, nell’individuazione degli esatti confini e connotati dello storno di dipendenti quale atto di concorrenza sleale illecito ex art. 2598 n. 3 del c.c. deve comunque, necessariamente, tenersi conto della piena cogenza – in materia – dei superiori principi costituzionali della libertà di impresa e di iniziativa economica e della tutela e promozione del lavoro in tutte le sue forme ed espressioni ex artt. 41 e 35 della Costituzione.

L’impresa che assume presso di sé un lavoratore onerato da un patto di non concorrenza con l’impresa di provenienza non è di per sé illecito quando  sussistano motivi di controvertibilità in ordine all’effettiva validità e opponibilità di tale patto di non concorrenza ed in ogni caso l’eventuale violazione del patto non potrebbe essere ritenuta di per sé decisiva ai fini dell’illeceità dello storno, dovendo sempre essere valutata unitamente agli altri parametri individuati dalla giurisprudenza per la sua applicabilità.

26 Gennaio 2021

Il provvedimento con cui il giudice ordina alla società l’esibizione di determinati documenti sociali elencandoli nel dettaglio deve essere interpretato restrittivamente

Il provvedimento con cui il giudice ordina alla società, a seguito di un ricorso ex art. 700 c.p.c. con cui il socio ha fatto valere il suo diritto di informazione ex art. 2476 c.c., l’esibizione di determinati documenti sociali, elencandoli nel dettaglio, deve essere interpretato restrittivamente e non come un elenco aperto [nel caso, il giudice ha respinto il ricorso ex art. 669 duodecies c.p.c. con cui il socio lamentava che la società non avesse rispettato l’ordinanza cautelare, avendo messo a disposizione solo i documenti elencati dal giudice nell’ordinanza medesima, affermando che il dispositivo dell’ordinanza non autorizzava in alcun modo l’opzione interpretativa proposta dal socio ricorrente].

18 Gennaio 2021

Chiarimenti in tema di litisconsorzio necessario, diritti di partecipazione ex art. 2437 c.c., distribuzione degli utili e abuso di maggioranza

Ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario solo allorquando la situazione sostanziale plurisoggettiva dedotta in giudizio debba essere necessariamente decisa in maniera unitaria nei confronti di tutti i soggetti che ne siano partecipi, sicché la decisione richiesta sarebbe altrimenti inidonea a spiegare i propri effetti e, cioè, inutiliter data, il che dev’essere oggetto di verifica in base alle domande giudiziali proposte, cosicché non sussiste un’ipotesi di litisconsorzio necessario quando il convenuto non propone domanda riconvenzionale avente ad oggetto la pretesa situazione plurisoggettiva.

 

In tema di recesso dalla società di capitali, l’espressione “diritti di partecipazione” di cui all’art.2437, 1°c., l. g), c.c., deve rimanere nell’ambito di un’interpretazione restrittiva della norma tesa a non incrementare a dismisura le cause che legittimano l’uscita dalla società, cosicché essa comprende, tra i diritti patrimoniali che derivano dalla partecipazione, quelli afferenti alla percentuale dell’utile da distribuire in base allo Statuto e attinenti alla modifica di una clausola statutaria direttamente riguardante la distribuzione dell’utile di esercizio che influenzi in negativo i diritti patrimoniali dei soci prevedendo l’abbattimento della percentuale ammissibile di distribuzione, in considerazione dello specifico aumento della percentuale da destinare a riserva.

 

La decisione dell’assemblea sulla distribuzione degli utili può riguardare solo l’an ed il quantum, non le modalità di ripartizione e la relativa tipologia che devono essere stabilite ex ante dallo Statuto sociale (o, nel silenzio di questo, secondo proporzionalità), perché altrimenti si lederebbe un diritto individuale del socio.

 

Sussiste abuso di maggioranza, in pratica, di fronte alla consapevole e fraudolenta attività del socio di maggioranza volta al perseguimento dell’unico fine di trarre un vantaggio personale a danno degli altri azionisti che si concreta, quindi, nell’inosservanza del dovere di correttezza e buona fede di cui agli art.1175 e 1375 c.c., rendendo annullabile la delibera adottata. Si tratta, quindi, di deliberazioni formalmente consentite dalla norma, ma invalide per violazione di clausole generali (appunto, i principi di correttezza e buona fede) che, come tali, risultano residuali rispetto a fattispecie tipiche.

13 Gennaio 2021

In tema di simulazione e di decadenza dal beneficio del termine

Deve ritenersi che l’interposizione fittizia di persona rientra tra i casi di simulazione relativa e che la cosiddetta <controdichiarazione> costituisce un atto di riconoscimento o di accertamento scritto che, non avendo carattere negoziale e non facendo parte del procedimento simulatorio come elemento essenziale, può non essere coeva all’atto simulato e può altresì provenire dalla sola parte contro il cui interesse è redatta e che voglia manifestare il riconoscimento della simulazione.

 

In materia di simulazione, i limiti all’ammissibilità della prova per presunzioni semplici stabiliti dall’art. 1417 cod. civ. (e, più in generale, dagli artt. 2721 e 2722 cod. civ.) sono diretti alla tutela esclusiva degli interessi privati e non della legge, derivando dal concreto atteggiarsi dei rapporti tra le parti e dalla loro possibilità di procurarsi la prova della simulazione attraverso le cosiddette controdichiarazioni contenenti l’intesa simulatoria. Conseguentemente, detti limiti sono sottratti al rilievo d’ufficio da parte del giudice.

 

L’art. 1186 cod. civ. faculta il creditore ad esigere immediatamente la prestazione se il debitore: a) è divenuto insolvente, b) ha diminuito per fatto proprio le garanzie che aveva dato; c) non ha dato le garanzie che aveva promesso. Si tratta di una normativa che intende tutelare: il creditore contro il pericolo di perdere le garanzie patrimoniali del proprio debitore, e il debitore, contro una ingiustificata richiesta di anticipazione dell’adempimento, dato che fuori dei casi previsti, il creditore non può invocare la decadenza del termine. Di qui due essenziali considerazioni: a) dato che la finalità perseguita dalla norma di cui all’art. 1186 cod. civ. è quella di tutelare il creditore contro il pericolo di perdere le garanzie patrimoniali del proprio debitore, lo stato di insolvenza cui si fa riferimento non può che essere costituito da una situazione di dissesto economico, sia pure temporaneo, in cui il debitore venga a trovarsi, e la quale rende verosimile l’impossibilità da parte di quest’ultimo di far fronte ai propri impegni. Ciò significa che l’insolvenza ivi prevista non postula necessariamente un collasso economico, ma, solo l’impotenza, reale ed oggettiva, a soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Non deve neppure rivestire i caratteri di gravità e irreversibilità, come previsto in materia di fallimento, ma può conseguire anche ad una situazione di difficoltà economica e patrimoniale reversibile purché idonea ad alterare, in senso peggiorativo, le garanzie patrimoniali offerte dal debitore.

31 Dicembre 2020

Il titolare del credito relativo alla liquidazione di azioni di Popolare di Vicenza, o Veneto Banca, non è legittimato ad agire nei confronti del cessionario dell’azienda

Ai sensi dell’art. 3 del d.l. 25.6.2017, n. 99 (conv. in legge 31.7.2017 n. 121), concernente l’avvio e lo svolgimento della liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A., non possono formare oggetto di cessione, neppure sull’accordo delle parti: “a) le passività indicate all’articolo 52, comma 1, lettera a), punti i), ii), iii) e iv), del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180”, ossia il capitale e gli strumenti finanziari diversi dalle azioni computabili nel capitale, “con conseguente estinzione dei relativi diritti amministrativi e patrimoniali”; “b) i debiti delle Banche nei confronti dei propri azionisti e obbligazionisti subordinati derivanti dalle operazioni di commercializzazione di azioni o obbligazioni subordinate delle Banche o dalle violazioni della normativa sulla prestazione dei servizi di investimento riferite alle medesime azioni o obbligazioni subordinate, ivi compresi i debiti in detti ambiti verso i soggetti destinatari di offerte di transazione presentate dalle banche stesse; c) le controversie relative ad atti o fatti occorsi prima della cessione, sorte successivamente ad essa, e le relative passività” (art. 3 comma 1).

Dei debiti che, per accordo tra le parti o in virtù dell’art. 3 del d.l. 25.6.2017 n. 99, sono esclusi dalla cessione, il cessionario non è tenuto a rispondere, né quale obbligato in via principale, né quale accollatario ex lege del debito, salvo rivalsa nei confronti del cedente, poiché l’art. 3 comma 2 del d.l. 99/2017 prevede testualmente che “il cessionario risponde solo dei debiti ricompresi nel perimetro della cessione ai sensi del comma 1“. Tale norma ribadisce la consolidata eccezione alla regola generale dell’art.2560 c.c., prevista in materia concorsuale, analogamente alle disposizioni di cui all’art. 105 l.fall. ed all’art. 90, comma 2, T.U.B..

La liquidazione della quota azionaria, in conseguenza dello scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio – in specie, per decesso del socio e mancato subentro dei suoi eredi – non soltanto non rientra ad alcun titolo tra le Passività Incluse, ma è anzi espressamente e tassativamente esclusa dal perimetro della cessione in quanto oggetto della pretesa è la liquidazione della quota azionaria, ossia la restituzione del capitale conferito incrementato della quota parte delle riserve. Infatti, ai sensi dell’art. 3 comma 1, lett. a) del d.l. 99/2017 che rinvia all’art. 52 comma 1, lettera a), punto i) del d.lgs. 16.11.2015 n. 180 che, nell’individuare le passività soggette al c.d. bail-in ai fini della risoluzione della crisi bancaria, pone al primo posto “i) le riserve e il capitale rappresentato da azioni, anche non computate nel capitale regolamentare [..] con conseguente estinzione dei relativi diritti amministrativi e patrimoniali”. Questi debiti sono espressamente classificati come “Passività Escluse” dall’art. 3.1.4. lett. b), punto iii) del contratto.

Lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio, dipenda esso da recesso esclusione o morte del socio, comporta pur sempre il diritto del socio uscente (o dei suoi eredi e aventi causa) alla liquidazione della quota capitale (cfr. art. 2535 c.c.). Il mancato subentro degli eredi nella posizione del defunto costituisce quindi condizione (in senso ampio) di maturazione del diritto alla liquidazione, ma non ne snatura il fondamento, che pur sempre consiste nel rimborso del controvalore dell’investimento azionario del defunto.

 

29 Dicembre 2020

Non costituisce contraffazione l’imitazione della trama di altra opera, se accompagnata da una diversa espressione con cui questa viene rappresentata

È ben possibile che opere pittoriche ritraggano lo stesso soggetto, ma le diverse modalità con cui questo viene ritratto rendono ciascuna opera frutto della creatività individuale di ciascun artista per cui ognuna è suscettibile di autonoma protezione. Analogamente, è possibile che un’opera si ispiri alla trama od al contenuto di altra opera, ma la diversa espressione con cui questa viene rappresentata fa escludere la contraffazione della prima. Parimenti è possibile che un’opera riprenda un particolare non significativo, secondario e minore di altra opera per trasformarlo ed inserirlo in un contesto del tutto diverso senza che in tal caso possa ritenersi sussistente alcuna contraffazione proprio perché la diversità con cui l’idea viene espressa attribuisce la titolarità della creazione ad un diverso soggetto [Fattispecie relativa ad un asserito plagio di opere fumettistiche].

29 Dicembre 2020

La limitazione del brevetto

Il diritto di limitazione del brevetto di cui all’art. 79 comma terzo c.p.i. esercitato da una parte in corso di causa esclude la necessità di un esame in concreto della validità del brevetto come originariamente rilasciato, poiché determina di per sé la nullità parziale del brevetto concesso e poiché non sussiste alcun interesse in capo alla controparte ad un accertamento sulla validità del brevetto originariamente concesso. Infatti, “accogliendo l’istanza di limitazione ex art. 79 comma 3 c.p.i. depositata da parte attrice, il Giudice sostituisce all’originario testo del brevetto le rivendicazioni riformulate” (Tribunale Milano, Sez. spec. Impresa, 05/10/2018, n. 9889), con conseguente rinuncia alla formulazione originaria del brevetto. Consegue a quanto precede la seconda conseguenza giuridica, ovvero la necessità di dichiarare la cessazione della materia del contendere in relazione alle domande tutte formulate in relazione al testo originario del brevetto

Nell’ambito del diritto di limitazione del brevetto di cui all’art. 79 comma terzo c.p.i. esercitato dal titolare nel corso di un giudizio volto all’accertamento della validità del brevetto (già) concesso, la riformulazione può avere ad oggetto le sole rivendicazioni e non anche la descrizione e, comunque, non può estendere la protezione conferita dal brevetto e deve rimanere entro i limiti della domanda di brevetto originariamente depositata. E ciò in quanto l’equa protezione del titolare deve sempre coniugarsi con una ragionevole sicurezza giuridica per i terzi, i quali abbiano riposto affidamento sulla validità (o, meglio, sulla non validità) di un titolo per come depositato. Pertanto, nelle rivendicazioni può essere inserita solo “materia” esplicitamente evidente nella domanda come depositata e non materia solo teoricamente compatibile con i disegni di corredo e tantomeno materia non evidente dalla domanda di brevetto originaria.

22 Dicembre 2020

Estensione dell’onere probatorio dell’attore in merito ai presunti atti di concorrenza sleale del socio di s.r.l. che eserciti il proprio diritto/potere di controllo ai sensi dell’art. 2476 c.c.

Le azioni di un socio di s.r.l. consistenti nel richiedere copie della documentazione sociale, tra cui il bilancio, le scritture contabili e i contratti commerciali, o domandare delega operativa sui conti correnti della società, non permettono di configurare il medesimo come amministratore di fatto, rientrando tali richieste nei diritti/poteri attribuitigli ex art. 2476, comma 2 c.c., ai sensi del quale i soci che non partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali  e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione. Secondo l’orientamento della giurisprudenza prevalente, meritevole di essere condiviso, infatti, la corretta individuazione della figura dell’amministratore di fatto richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, che si verifica quando le funzioni gestorie, svolte appunto in via di fatto, non si siano esaurite nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale, essendo la sistematicità sintomatica dell’assunzione di quelle funzioni. Gli elementi di cui tenere conto, in sintesi, sono i seguenti: 1) assenza di una efficace investitura assembleare; 2) attività esercitata (non occasionalmente ma) continuativamente; 3) funzioni riservate alla competenza degli amministratori di diritto; 4) autonomia decisionale (non necessariamente surrogatoria, ma almeno cooperativa non subordinata) rispetto agli amministratori di diritto.

Per provare che il socio che esercita i compiti connessi a tali diritti in realtà acquisisce informazioni strategiche sull’impresa al fine di compiere attività concorrenziale sleale a danno della propria società, l’attore deve assolvere al proprio onere probatorio ai sensi dell’art. 2697 c.c. Tale onere non può considerarsi soddisfatto qualora le circostanze su cui è stata richiesta l’ammissione di prova testimoniale siano valutative, generiche, irrilevanti o da provarsi documentalmente; le prove a fondamento dei fatti costitutivi della propria pretesa siano incomplete o i fatti stessi irrilevanti; non vi sia specifica e tempestiva contestazione di quanto affermato dal convenuto.