Tribunale di Torino
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Non sono compromettibili in arbitri le controversie aventi ad oggetto diritti indisponibili
Il criterio distintivo tra diritti disponibili e indisponibili al fine dell’accertamento della possibilità di devolvere una controversia ad arbitri si fonda sull’incidenza o meno della stessa controversi non solo sui diritti dei soci, ma anche su di quelli di terzi, dovendosi in tal ultimo caso parlare di diritti indisponibili mentre nel primo caso di diritti disponibili. In caso di diritti disponibili l’interesse coinvolto è, pertanto, meramente privatistico, ovvero riferito ai componenti la sola compagine sociale, mentre nel caso di diritti indisponibili l’interesse coinvolto è di tipo pubblico, ovvero coinvolgente anche l’interesse dei terzi estranei alla compagine sociale, anche in ragione di violazione di norme imperative.
Le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio sono inderogabili in quanto la loro violazione determina una reazione dell’ordinamento a prescindere dalla condotta delle parti e rende illecita, e quindi nulla, la delibera di approvazione. Ne consegue che non è compromettibile in arbitri la controversia relativa alla validità della delibera di approvazione del bilancio.
Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società, le quali sono nulle in relazione all’oggetto (illecito o impossibile) per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione, venendo in rilievo norme non solo imperative, ma dettate a tutela, oltre che dell’interesse dei singoli soci, dell’interesse collettivo dei soci e di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere l’effettiva situazione patrimoniale e finanziaria dell’ente, e quindi riguardanti diritti indisponibili.
Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della deliberazione di riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale di cui all’art. 2447 c.c., per violazione delle norme sulla redazione della situazione patrimoniale ex art. 2446 c.c., vertendo tale controversia, al pari dell’impugnativa della delibera di approvazione del bilancio per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione, su diritti indisponibili, essendo le regole dettate dagli artt. 2446 e 2447 c.c. strumentali alla tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche dei terzi.
Legittimazione attiva e interesse ad agire, in quanto condizioni dell’azione, devono essere posseduti da chi agisce in giudizio tanto al momento della proposizione della domanda quanto al momento della decisione. Il potere-dovere del giudice di decidere il merito della controversia dipende infatti, oltre che dalla legittimazione, dalla sussistenza di un interesse concreto e attuale in capo all’attore, in difetto del quale la domanda deve essere dichiarata inammissibile. Il difetto della qualità di socio in capo all’attore al momento della proposizione della domanda, o a quello della decisione della controversia, esclude di regola la sussistenza in lui dell’interesse ad agire per evitare la lesione attuale di un proprio diritto e per conseguire con il giudizio un risultato pratico giuridicamente apprezzabile. Tuttavia, all’ex socio devono essere riconosciuti legittimazione ed interesse ad impugnare la delibera in conseguenza della quale egli ha perso tale qualità. Infatti, la legittimazione viene riconosciuta eccezionalmente all’ex socio nel caso in cui il venir meno della qualità di socio sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità egli contesta: poiché in tal caso anche la stessa legittimazione dell’attore ad ulteriormente interferire con l’attività sociale sta o cade a seconda che la deliberazione impugnata risulti o meno legittima, sarebbe allora logicamente incongruo, e si porrebbe insanabilmente in contrasto con i principi enunciati dall’art. 24, co. 1, Cost. l’addurre come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l’attore assume essere contra legem e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti.
Il socio ha dritto a una chiara, corretta e veritiera rappresentazione di bilancio anche in caso di perdita del capitale sociale e di azzeramento del valore economico della singola partecipazione.
Sospensione degli effetti della delibera di esclusione del socio di società cooperativa
Il socio tiranno. Simulazione relativa nella cessione di partecipazioni
La figura del socio tiranno costituisce una tipizzazione giurisprudenziale e dottrinale che si inserisce nella più generale categoria dell’abuso del diritto. Il socio tiranno utilizza, infatti, la personalità giuridica della (o delle) società da lui controllate come un mero schermo allo scopo di beneficiare impropriamente della responsabilità limitata, a fini diversi da quelli per cui è prevista dall’ordinamento e in danno dei creditori. A sua volta, la tutela accordata ai creditori della società danneggiati dall’abuso si ispira al modello della exceptio doli, negando al socio tiranno il beneficio della limitazione della responsabilità e disconoscendo l’esistenza dello schermo societario abusato. Il socio tiranno è tale quando si serva della struttura sociale come schermo al fine di gestire i propri affari con responsabilità patrimoniale limitata e allorché alla forma societaria corrisponda una gestione in tutto e per tutto individuale. Più nel dettaglio, la figura del socio tiranno è riferita alla fattispecie in cui un socio non titolare dell’intero pacchetto di quote o di azioni, spesso occulto, gestisce o fa gestire la società di capitali come un proprio strumento, perseguendo finalità egoistiche e personali, abusando della distinta soggettività giuridica della società stessa, con conseguente disprezzo delle norme fondamentali del diritto societario e con confusione del patrimonio personale con il patrimonio della società tiranneggiata, dimostrando che la società è stata costituita o proseguita al solo scopo di frapporre tra sé e i terzi lo schermo di un soggetto di diritto per sottrarsi alle pretese dei creditori e per fruire indebitamente del beneficio della responsabilità limitata.
In tema di simulazione, la cosiddetta controdichiarazione costituisce un atto di riconoscimento o di accertamento scritto che, non avendo carattere negoziale e non facendo parte del procedimento simulatorio come elemento essenziale, può non essere coeva all’atto simulato e può altresì provenire dalla sola parte contro il cui interesse è redatta e che voglia manifestare il riconoscimento della simulazione. Il contratto di cessione di quote di s.r.l. non soggiace tra le parti a particolari requisiti di forma, con la conseguenza che la prova della controdichiarazione non incontra, in via generale, limiti diversi e ulteriori da quelli inerenti alla prova testimoniale e per presunzioni ai sensi degli artt. 1417 e 2722 c.c. Peraltro, allorché la simulazione relativa riguardi un contratto a forma libera, non opera la limitazione di cui all’art. 2725 c.c., sicché, nel rapporto tra le parti, si potrà invocare la prova per testimoni o per presunzioni, sia quando la prova venga richiesta per dimostrare l’illiceità del contratto dissimulato ex art. 1417 c.c., sia quando ricorra una delle condizioni prescritte dall’art. 2724 c.c. (principio di prova per iscritto, impossibilità morale o materiale di procurarsi il documento e perdita incolpevole del documento), che costituiscono eccezioni al divieto di prova testimoniale del patto aggiunto o contrario al contenuto del documento simulato, per il quale si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contestuale ex art. 2722 c.c.
Denunzia al tribunale: il provvedimento di revoca dell’amministratore è limitato ai casi più gravi
Il provvedimento di revoca dell’amministratore di cui all’art. 2409, co. 4, c.c., è da riservarsi ai “casi più gravi”, cioè alle irregolarità gravissime. Il richiamo espresso solo ai “casi più gravi”, segna la latitudine oggettiva massima della fattispecie e, conseguentemente, consente, per i casi di irregolarità gravi ma non gravissime, una modulazione del provvedimento da adattare alla molteplicità e varietà delle situazioni che possono presentarsi.
Gli opportuni provvedimenti provvisori di cui all’art. 2409, co. 4, c.c. hanno per lo più natura inibitoria e quindi una portata non adeguata alle situazioni in cui non si tratta di inibire, ma di promuovere comportamenti corretti.
Il mutamento dell’organo amministrativo della società non comporta di per sé l’improcedibilità del ricorso ex art. 2409 c.c., atteso che l’attività di controllo giudiziario deve essere proseguita fino a quando non siano definitivamente dissipati i sospetti di gravi irregolarità.
Sequestro conservativo contro gli amministratori di s.r.l.
Impugnazione della delibera assembleare e nomina del curatore speciale
Nei giudizi di impugnazione delle deliberazioni assembleari di società non sussiste una ipotesi di conflitto immanente d’interessi, tale da condurre in ogni caso alla nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c., tenuto conto che, in tali giudizi, il legislatore prevede la legittimazione passiva esclusivamente in capo alla società in persona di chi ne ha la rappresentanza legale, né è fondata una valutazione del menzionato conflitto in capo all’amministratore che rappresenti in giudizio detta società solo in ragione del fatto che la deliberazione impugnata ha ad oggetto profili di pertinenza di quest’ultimo (come avviene per l’approvazione del bilancio, redatto dall’organo gestorio, o per la determinazione del compenso spettante ex art. 2389 c.c. o per l’autorizzazione al compimento di un atto gestorio ex art. 2364, comma 1, n. 5, c.c.), poiché ravvisare in tali ipotesi una situazione di conflitto di interessi indurrebbe alla nomina di un curatore speciale in tutte, o quasi, le cause di impugnazione delle deliberazioni assembleari o consiliari, con l’effetto distorsivo, non voluto dal legislatore processuale, per cui il socio impugnante tenterebbe sempre di ottenere, mediante il surrettizio ricorso al procedimento di nomina di un curatore speciale, l’esautoramento dell’organo amministrativo dalla decisione delle strategie di tutela a nome della stessa.
L’impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di esercizio e della conseguente delibera di ricostituzione del capitale sociale non sono comprese tra le controversie societarie tipicamente caratterizzate da un antagonismo di posizioni tra società e amministratori (quale invece si verifica per esempio nell’azione sociale di responsabilità esercitata dal socio) per le quali è necessaria la nomina di un curatore speciale.
Onere della prova nell’azione di risoluzione del contratto di cessione di quote sociali
Secondo gli ordinari criteri di riparto della prova, è onere del debitore convenuto fornire la prova del fatto estintivo del diritto azionato, ovvero dell’avvenuto adempimento, potendo il creditore, sia che agisca per l’adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento del danno, dare la sola prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi ad allegare l’inadempimento di controparte.
Attività di direzione e coordinamento derivante da vincolo contrattuale e principio di effettività
In ordine al concetto di attività di direzione e coordinamento, la normativa di riferimento dà rilievo all’esercizio effettivo e attuale del potere gestorio da parte della società che esercita in modo continuativo la direzione nei confronti della controllata. Conseguentemente, in base a tale principio di effettività, ciò che assume rilievo è la situazione di fatto esistente al momento dell’inizio, dello svolgimento e della cessazione dell’attività del gruppo. Tale principio di effettività governa, a maggior ragione, la fattispecie del controllo contrattuale di cui all’art. 2359, co. 1, n. 3, c.c., in quanto la posizione di controllo nasce da vincoli negoziali particolari sia per il contenuto giuridico, sia per la determinata situazione di fatto in cui si inseriscono, quale ad esempio la dipendenza economica.
Responsabilità degli amministratori e sindacabilità di merito delle scelte gestorie
In tema di responsabilità degli amministratori di società, sussiste un generale principio di insindacabilità del merito delle scelte di gestione che trova un limite nella ragionevolezza delle stesse, da valutarsi in una prospettiva ex ante, secondo i parametri della diligenza del mandatario.
Finanziamento soci e lettera di patronage
Ai fini della qualificazione dei versamenti effettuati dal socio a favore della società occorre avere riguardo all’esame della volontà negoziale delle parti e la relativa prova, di cui è onerato il socio attore in restituzione, deve trarsi dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere diretto e dagli interessi che vi sono sottesi.
In mancanza di una chiara manifestazione di volontà, occorre avere riguardo alla qualificazione che i versamenti hanno ricevuto nel bilancio, da reputarsi determinante per stabilire se si tratti di finanziamento o di conferimento, in considerazione della soggezione del bilancio all’approvazione dei soci.
La scrittura privata contenente l’impegno diretto e immediato del socio a erogare somme a titolo di finanziamento soci a favore della società dal medesimo partecipata costituisce una promessa di pagamento ai sensi dell’art. 1988 c.c., di cui la società può giovarsi. Detta scrittura non può essere qualificata alla stregua di una mera lettera di patronage “forte”, differenziandosi per la circostanza giusta la quale quest’ultima contiene normalmente l’assunzione di una garanzia atipica nei confronti di una banca al fine di ottenere un finanziamento, per esempio attraverso l’impegno a mantenere la propria partecipazione della società debitrice. Nemmeno può essere qualificata quale lettera di patronage l’ipotesi in cui il patrocinante assuma un’espressa obbligazione di finanziare la società della somma corrispondente a quanto la società medesima deve restituire alla banca in quel momento storico.