Tribunale di Venezia
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Non compromettibilità in arbitri delle controversie sulla violazione dei principi di redazione di bilancio
Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della delibera di approvazione del bilancio di società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione, in quanto le norme dirette a garantire tali principi non solo sono imperative, ma essendo dettate, oltre che a tutela dell’interesse di ciascun socio ad essere informato dell’andamento della gestione al termine di ogni esercizio, anche dell’affidamento di tutti i soggetti con cui la società entra in contatto, trascendono l’interesse del singolo ed attengono a diritti indisponibili, sicché devono essere decise dal giudice.
Nel caso di impugnazione del bilancio ad opera del socio per nullità derivante dalla violazione del precetto di cui all’art. 2423, co. 2, c.c. è sempre necessario che lo stesso indichi quale sia il suo interesse ad agire ovvero quale diritto si assume leso, posto che detta condizione dell’azione non può essere integrata dal generico interesse alla legalità della delibera.
Azione di responsabilità esercitata dal curatore e revoca di trust
Ai sensi dell’art. 2486 c.c., al verificarsi della causa di scioglimento, gli amministratori conservano il potere di gestire la società ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio e, in caso di violazioni, rispondono degli eventuali danni arrecati alla Società e ai creditori sociali per aggravamento del dissesto. L’inadempimento ai suddetti obblighi espone gli amministratori a responsabilità per mala gestio verso la società e i creditori sociali per i danni ad esso conseguenti. Determina, altresì, responsabilità gestoria la condotta degli amministratori che, dopo aver appostato fittiziamente, nelle scritture contabili, una posta debitoria nei confronti dei soci, abbiano permesso ai medesimi di ottenere il rimborso di tali somme, in quanto condotta distrattiva – dissipativa delle risorse sociali.
I presupposti sui quali si fonda l’azione revocatoria sono l’esistenza di un diritto di credito, inteso quale ragione di credito, verso il debitore; l’esistenza di un atto dispositivo del patrimonio posto in essere dal debitore; l’eventus damni; un certo atteggiamento soggettivo che si sostanzia nella consapevolezza da parte del debitore del pregiudizio che l’atto di disposizione comportava alle ragioni del creditore, pregiudicandone la garanzia patrimoniale (scientia fraudis), mentre se l’atto di disposizione è a titolo oneroso la consapevolezza deve essere provata anche in capo al terzo (partecipatio fraudis). Affinchè si realizzi l’eventus damni non è necessaria la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito, incombendo l’onere di provare l’insussistenza di tale rischio, in ragione di ampie disponibilità patrimoniali, sul convenuto che eccepisca, per questo motivo, la mancanza dell’eventus damni.
Il negozio istitutivo di un trust, per considerarsi a titolo oneroso, deve essere posto in adempimento di un obbligo e dietro pagamento di un corrispettivo. Al contrario, se il trust viene posto in essere in virtù di una spontanea determinazione volitiva del disponente e in mancanza di un vantaggio patrimoniale, l’atto costitutivo del trust deve essere considerato a titolo gratuito, come per l’appunto si verifica nel caso di trust familiare.
Valore soggettivo della clausola di prelazione
In linea generale, non può dirsi che la clausola di prelazione abbia di per sé la funzione di evitare ai soci non cedenti di vedere entrare soggetti non graditi nella compagine, potendo questo essere solo un effetto secondario della loro scelta di acquistare. Tuttavia, può accadere che lo statuto sociale valorizzi l’aspetto relativo al soggetto acquirente, precisando che la comunicazione al prelazionario debba contenere il nome dell’acquirente. In tali casi, la menzione del soggetto acquirente “o di società a lui riferibile” è indicazione sufficiente e sulla quale può formarsi un valido assenso del prelazionario, in quanto la limitata incertezza sul soggetto acquirente è subita allo stesso modo dai promittenti venditori.
L’impatto della pandemia sul contratto preliminare di cessione di quote: l’integrazione del contratto, la presupposizione e l’eccessiva onerosità sopravvenuta
La pandemia può ritenersi costituire un evento imprevedibile e ingovernabile che, andando a cadere sulla esecuzione di contratti di durata o a esecuzione differita, anche quando non giunga a rendere in concreto definitivamente impossibile una prestazione ancora da eseguire, può comunque rovesciare il terreno fattuale e l’assetto giuridico-economico su cui si è eretta la pattuizione negoziale. Lo strumento risolutorio di cui all’art. 1467 c.c. risulta inadeguato a dare risposta alle esigenze delle parti e occorre, pertanto, indagare sulla possibilità di intervenire sul contenuto del contratto, che, salvi i casi previsti dalla legge o dalle parti stesse, le vincola irrevocabilmente (art. 1372 c.c.).
Va individuo nel disposto dell’art. 1374 c.c. lo strumento utile a permettere la conservazione del contratto, a condizioni mutate, rispettando il bilanciamento degli interessi delle parti in linea con i loro originari intenti, ma alla luce delle mutate condizioni. In particolare, poiché ex art. 1374 c.c. il contratto obbliga le parti, oltre che a quanto espressamente previsto nel contratto, anche alle prestazioni che sono dovute secondo buona fede, fra queste deve includersi anche il prestarsi, ove l’equilibrio del sinallagma originariamente trasfuso nel contratto sia aggredito e stravolto dalla pandemia o dalle sue conseguenze, ad una rinegoziazione effettiva delle clausole, la quale possa portare ad una congrua modificazione del contratto: sì che la parte che si sottragga ad una tale rinegoziazione deve dirsi inadempiente. Ciò non comporta comunque l’obbligo di perfezionare una modificazione del contratto, ma solo quello di tentare in buona fede di riequilibrarlo in una onesta trattativa. Il giudice, qualora gli venisse richiesto ex art. 2932 c.c., può intervenire a determinare il riequilibrio del contratto, ma solo in limiti ben determinati. Il giudice, infatti, non è mai chiamato ad esercitare una supervisione o correzione della volontà delle parti che hanno stipulato il contratto, ma può giungere alla ridefinizione del sinallagma solo ancorandosi al regolamento negoziale stesso e avendo come fondamento centrale della sua valutazione il contenuto della trattativa che le parti avevano condotto prima che il processo di rinegoziazione si interrompesse.
In materia di contratti, si ha presupposizione quando una determinata situazione di fatto o di diritto – comune ad entrambi i contraenti ed avente carattere certo e obiettivo – sia stata elevata dai contraenti stessi a presupposto condizionante il negozio, in modo tale da assurgere a fondamento, pur in mancanza di un espresso riferimento, dell’esistenza ed efficacia del contratto. La materia della presupposizione attiene dunque in primo luogo alla esistenza ed efficacia del contratto, anche se non è escluso che fatti presupposti comuni e obiettivi possano rilevare nella valutazione ex art. 1374 c.c. e, dunque, nella valutazione di inadempimento, quando il presupposto comune sia tale da chiarire l’ambito delle prestazioni dovute secondo il contratto.
Poiché il bene di cui si tratta è un bene il cui valore si stima non solo nel presente ma anche e soprattutto in prospettiva futura, la pretesa di ottenere la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta di un contratto preliminare di cessione di quote, che poggi sulla allegazione delle difficoltà incontrate dalla società bersaglio, richiede una allegazione che sia specifica e conduca alla prova che la società bersaglio versi, per effetti di fatti sopravvenuti e imprevedibili, non già in una situazione di contingente contrazione di fatturati, o altra difficoltà, ma in una situazione che prevedibilmente inibisca le proiezioni verso il futuro che erano formulabili quando l’accordo di acquisto fu concluso.
Barilla vs Bauli: contraffazione brevettuale relativa a prodotti soffici da forno
L’uso nuovo di una sostanza nota è in linea di principio brevettabile anche quando l’unica caratteristica nuova è il diverso uso della sostanza nota stessa, purché tale uso implichi un nuovo effetto tecnico descritto nel brevetto in esame e non prima riconosciuto. In tal caso la rivendicazione è da considerarsi nuova anche se l’effetto tecnico avrebbe potuto intrinsecamente essere ottenuto quando si fossero seguiti gli insegnamenti già noti.
Efficacia della revoca per giusta causa della procura
Anche in tema di procura, analogamente alle previsioni in materia di mandato, il potere rappresentativo non può essere liberamente revocato se esso è conferito anche nell’interesse del rappresentante ovvero quando esso è definito quale espressamente irrevocabile.
L’irrevocabilità, ove espressamente prevista, non comporta che la procura non possa perdere i suoi effetti ed il procuratore perdere il potere rappresentativo, ove la revoca di esso sia stata posta in essere dal rappresentato, producendosi nel caso un solo eventuale obbligo risarcitorio o indennitario. Di converso, ove la procura sia conferita anche nell’interesse del rappresentante, il difetto di giusta causa determina che la revoca sia improduttiva di effetti.
Non è legittimato ad esperire azione di contraffazione il custode non titolare del marchio
L’azione di contraffazione esula dai poteri attribuiti al Custode il quale è legittimato ad agire o resistere nei soli giudizi concernenti l’amministrazione di tali beni o la loro conservazione in relazione ad atti da lui posti in essere o attinenti a fatti verificatisi in pendenza della custodia.
Revoca in via cautelare dell’amministratore di s.a.s.
[Nel caso di specie, il Tribunale, pur avendo ravvisato, in punto di fumus, la violazione dei diritti informativi del socio accomandante da parte dell’amministratore, ha riformato l’ordinanza cautelare in sede di reclamo per insussistenza del periculum, sul presupposto che la società avesse cessato la propria attività caratteristica, di fatto proseguendo esclusivamente per l’incasso dei crediti residui]
Limiti alla insindacabilità delle scelte gestorie degli amministratori
Il sindacato giudiziale sulla condotta degli amministratori della società, quale fonte di responsabilità, non può avere ad oggetto il merito delle scelte imprenditoriali, non potendosi addebitare gli esiti economici negativi di dette scelte che dipendano dal rischio economico a cui è soggetta l’intrapresa, secondo il principio della business judgment rule. Tuttavia, la regola di insindacabilità in discussione trova precisi limiti che, se travalicati, impongono un giudizio di responsabilità gestoria in capo agli amministratori che la scelta abbiano effettuato, cagionando pregiudizio al patrimonio sociale. Un primo limite è costituito dalla possibilità di discutere la scelta di gestione, valutando ex ante, ovvero al momento della scelta imprenditoriale, il grado di diligenza mostrata dall’amministratore. Si tratta di una verifica sul percorso decisionale dell’amministratore, finalizzata ad accertare se siano state omesse le cautele, le verifiche e le informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo. Un secondo limite è quello che permette di contestare la razionalità della scelta, non essendo sufficiente che l’amministratore abbia assunto le necessarie informazioni ed abbia eseguito tutte le verifiche del caso, essendo pur sempre necessario che le informazioni e le verifiche così assunte abbiano indotto l’amministratore ad una decisione razionalmente inerente ad esse.
Danno arrecato alla società per utili illecitamente distribuiti
In tema di società di capitali non vi è diritto individuale del singolo socio a conseguire gli utili posto che tale diritto sorge soltanto se e nella misura in cui la maggioranza assembleare ne disponga l’erogazione ai soci. Prima di tale momento, gli utili “appartengono” alla società; è ben vero che la deliberazione di distribuzione dell’utile di esercizio oltre che essere presa dall’assemblea dei soci al momento dell’approvazione del bilancio può esser adottata anche in un momento successivo ma necessita pur sempre che questo momento successivo sia anteriore al prelievo poiché è l’adozione della delibera di distribuzione che genera il diritto stesso alla percezione degli utili in capo ai soci. In assenza di una delibera anteriore alla distribuzione, infatti, detti prelievi di pretesi “utili” sono illeciti tout court avvenendo quando i soci non possono vantare nessun diritto alla suddetta distribuzione, né tale illiceità risulta venir meno in forza di una delibera, intervenuta ex post, non potendo essa “sanare” un illecito già consumato ed integrato da prelievi di somme su cui i soci non potevano vantare alcun titolo.