Tribunale di Venezia
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Sequestro conservativo di quote a seguito del fallimento della società
Nel caso in cui, a seguito della perdita integrale del capitale sociale, l’assemblea non adotti gli opportuni provvedimenti (ossia non deliberi la riduzione con contestuale aumento, lo scioglimento o la trasformazione), è esclusiva responsabilità dell’amministratore procedere ad accertare tempestivamente la sussistenza della causa di scioglimento e provvedere all’iscrizione dello scioglimento al registro. Non può invece configurarsi una responsabilità dei soci che, anziché provvedere agli adempimenti imposti dalla legge, abbiano riportato a nuovo la perdita di esercizio che erodeva completamente il capitale sociale.
Rientra pacificamente tra gli atti conservativi che possono essere compiuti dal creditore particolare del socio anche il sequestro conservativo di cui all’art. 671 c.p.c. sulla quota di liquidazione spettante al socio.
Le sezioni specializzate non sono competenti a conoscere della domanda di revocatoria degli atti di donazione di quote, in quanto l’art. 3, comma 3 del D.lgs. n. 168/2003 (nel prevedere la competenza delle sezioni specializzate anche per le cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione con quelli di cui ai commi 1 e 2) deve esser interpretato in maniera restrittiva e riguarda quindi le sole ipotesi di connessione forte, rimanendo sottratta all’ambito della norma citata tanto la connessione propria debole per titolo od oggetto ex art. 33 c.p.c., quanto la connessione c.d. “impropria” o per mero cumulo oggettivo di domande diverse proposte nei confronti della stessa parte.
Corporazione dei piloti: norme applicabili e responsabilità degli amministratori
La Corporazione dei Piloti, ente marcatamente mutualistico, è qualificabile come cooperativa regolata da norme speciali ed assoggettabile alla disciplina dell’art. 2520 c.c. e dunque delle società per azioni ex art. 2519 c.c. in quanto compatibili. La Corporazione deve infatti agire secondo criteri di economicità e operando scelte che in senso lato devono dirsi imprenditoriali, anche se lo scopo di essa, verso gli associati, non è la distribuzione di utile ma la ripartizione del sopravanzo di gestione del servizio. Ove anche i mezzi siano in tutto o in parte in comproprietà fra i piloti, resta il fatto che la Corporazione, per operare, gestisce necessariamente un patrimonio con criteri di economicità, come mostra lo stesso fatto che essa deve sostenere anche le spese non predeterminate ma “necessarie al buon funzionamento…” il che implica scelte gestorie avvicinabili alla business judgement rule. Lo stesso art. 114 reg. cod. nav. che tratta della “amministrazione della corporazione”, e i successivi che trattano del rendiconto, confermano che la Corporazione dispone di, e gestisce, un proprio patrimonio, da utilizzare per le spese e distributore in forma di quota ai componenti. Sotto la specie della disciplina societaria, dunque, l’azione del socio che lamenta l’illecito gestorio come fonte di danno a sé medesimo si inquadra nella fattispecie di cui all’art. 2395 c.c.: tale ipotesi richiede che dall’illecito lamentato scaturisca un danno diretto all’attore.
Assistenza finanziaria per l’acquisto e la sottoscrizione di azioni proprie
La concessione del finanziamento non funzionalizzato all’acquisto azionario a colui che in passato ha acquistato azioni della società con denaro proprio non integra la fattispecie di cui all’art. 2358 c.c. [nel caso di specie, il finanziamento era stato concesso per sovvenire liquidità].
Traduzione di testi antichi e apparato di note: profili di tutela del diritto di autore
Ai sensi della Legge sul diritto d’autore deve ritenersi che non si sia difronte ad un plagio dell’opera (nella specie, traduzione di testi antichi) laddove la parte preponderante dell’opera non riproduca quello di altro soggetto, ma provenga da un soggetto che ha speso nell’elaborazione dell’opera una propria autonoma professionalità e creatività (nel caso di specie solo tre, o al massimo quattro, note del testo riproducevano quelle di un diverso autore). In questi casi non sussistono gli estremi per concedere strumenti di tutela anticipata del diritto del ricorrente che colpirebbero l’intera opera atteso che il beneficio del ricorrente non sarebbe comparabile rispetto al sacrificio del resistente nel caso di censura dell’intera opera e ciò anche in considerazione del fatto che il danno (morale e patrimoniale) lamentato dal ricorrente, limitato a violazioni del tutto marginali e sporadiche, non presenta problemi di risarcibilità.
Diritto di recesso del socio di s.p.a., (in)applicabilità transtipica dell’art. 2473 c.c. e modifica dell’oggetto sociale
Ove la fusione inversa determini, per i soci della società incorporata, la conseguenza di essere astretti a un oggetto sociale diverso da quello della società cui partecipavano anteriormente alla fusione, si realizza una modifica della clausola dell’oggetto sociale; tale modifica va, dunque, valutata, ai fini del recesso, ai sensi dell’art. 2437, lett. a), c.c. Perché sia integrata la fattispecie ivi prevista, occorre che il mutamento della clausola relativa all’oggetto sociale comporti una modificazione “significativa” dello stesso. Tale deve intendersi una modificazione che incida in modo rilevante sul profilo di rischio dell’investitore, che – e questo è lo scopo della norma che ammette il recesso solo in caso di mutamento “significativo” – non può rimanere astretto a un nuovo oggetto sociale, il quale stravolga i presupposti sui quali egli ha operato le sue valutazioni di investimento. Al riguardo, non occorre che il nuovo oggetto sociale esponga la società e il socio ad un “depauperamento”, essendo sufficiente che alteri significativamente – ampliandolo, riducendolo o modificandolo – il rischio dell’investimento. Rileva, ai fini della norma, la modificazione dell’oggetto come tale, mentre non rileva la circostanza che alla modifica non sia (finora) seguito anche il mutamento in concreto dell’attività, dal momento che la modificazione apre comunque alla possibilità che la società svolga le nuove attività previste.
L’art. 2437, lett. d), c.c. si riferisce unicamente alla revoca da parte dell’assemblea dello stato di liquidazione inteso in senso tecnico giuridico ex art. 2484 c.c., quale accertato dagli amministratori, deliberato dall’assemblea o accertato giudizialmente, e non al mutamento dell’orientamento della maggioranza circa le scelte di proseguire o meno nell’attività sociale; tale orientamento, infatti, non assume rilevanza fino a che non si traduca in una delibera assembleare di scioglimento (2484, n. 6, c.c.) o in altre circostanze previste dallo statuto (art. 2484, n. 7, c.c.).
Le ipotesi di recesso previste dall’art. 2497 quater c.c. sono dettate a tutela del socio della società assoggettata alla direzione e coordinamento e non si prestano a essere applicate al socio della società che esercita direzione e coordinamento.
In via generale, sia per le s.p.a. che per le s.r.l., la delibera di scissione non produce i suoi effetti in termini di modificazioni sociali fino a che non sia eseguita, tanto è che l’art. 2503 c.c., richiamato per le scissioni dall’art. 2506 ter, ultimo comma, c.c., regola i casi in cui la delibera può essere immediatamente – o meno – “attuata” mediante l’atto (notarile). Ove la delibera di scissione dia diritto al recesso – come è per le s.r.l. –, esso comunque diviene inefficace se la delibera viene successivamente revocata. La revoca, dunque, opera non già come fattore di “modificazione” del regolamento sociale, ma come fattore di annullamento di una modificazione ancora tutta “da attuare”. Non può farsi equivalere, agli effetti del recesso, una delibera di revoca di una scissione non attuata a una delibera di scissione. È bensì evidente dall’ultimo comma dell’art. 2473 c.c. (e anche dell’art. 2437 bis, ultimo comma, c.c.) che il legislatore correla il diritto di recesso alla delibera di fusione o scissione e non alla sua esecuzione; ma è anche vero che la revoca della delibera può rendere addirittura inefficace il recesso già operato. Né, una volta che la delibera sia revocata oltre il termine nel quale essa renderebbe inefficace il recesso, essa diviene per ciò solo operativa: lo spazio fra delibera ed esecuzione della scissione (e lo stesso per la fusione) è proprio quello nel quale si esercitano i diritti di opposizione, con effetti anche preclusivi della esecuzione.
Quanto alla casistica determinante il diritto di recesso, il legislatore ha dettato due distinte e ben chiare discipline rispettivamente per le s.p.a. e le s.r.l. La ragione della distinzione delle due discipline risiede in una precisa scelta del legislatore, che con riferimento alle s.r.l. ha voluto, da un lato, semplificare la gestione e l’esercizio dell’impresa e, dall’altro, tutelare i soci di minoranza favorendo l’accessibilità al recesso come contropartita delle ampie facoltà attribuite al controllo da parte dei soci di maggioranza. In relazione, dunque, alla difformità delle fattispecie di recesso previste dagli artt. 2473 e 2437 c.c., non si tratta di riempire un vuoto normativo, né di valutare se una disciplina prevista per un tipo sociale possa applicarsi anche all’altro in ragione del fatto che esprime principi generali. Pertanto, nelle s.p.a. non compete il diritto di recesso ai soci che non hanno consentito alla fusione o scissione della società.
Il recesso del socio da una società è un negozio unilaterale recettizio, destinato a perfezionarsi e a produrre i propri effetti sin dal momento in cui la dichiarazione che lo esprime sia pervenuta nella sfera di conoscenza della società destinataria; ciò, naturalmente, quando ne sussistano i presupposti. Il recesso, essendo immediatamente efficace, non dà alcun diritto al socio a continuare a partecipare alla vita sociale. Con il legittimo recesso, infatti, il socio non è più abilitato all’esercizio dei diritti sociali e conserva il diritto ad ottenere la liquidazione della sua quota o azione.
La determinazione dell’importo della liquidazione della quota cui ha diritto il socio che ha esercitato il diritto di recesso è riservata, per disposizione di legge, al regolamento negoziale: in tal senso è chiaro il disposto dell’art. 2437 ter c.c. nelle sue varie disposizioni, culminanti nella previsione – in caso di disaccordo fra socio e società sul valore della quota azionaria – di uno strumento giudiziale, non contenzioso, volto alla nomina di un esperto, il cui parere è aggredibile con causa contenziosa solo nei limiti dell’art. 1349 c.c. È da ritenere che questo regolamento normativo della materia, da un lato, risenta della oggettiva difficoltà di determinare il “valore di mercato” delle partecipazioni (si nota che lo stesso regime vale per le s.r.l., tipicamente società chiuse) e, dall’altro, miri a ridurre al massimo il contenzioso e i tempi di attesa del socio rispetto alla liquidazione della quota e insieme (e correlativamente) a deformalizzare le operazioni, rendendo accessibile all’esperto la documentazione occorrente senza limitazioni. Rispetto a un tale sistema è pertanto aliena la pretesa di ottenere la liquidazione secondo le regole del processo ordinario, caratterizzato da preclusioni e oneri probatori.
Competenza delle sezioni specializzate per illeciti concorrenziali
Rientrano nella competenza delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale, ai sensi dell’art. 3, co. 1, lett. a), d.lgs. n. 168 del 2003, le domande di repressione di atti di concorrenza sleale o di risarcimento dei danni che si fondano su comportamenti che interferiscono con un diritto di esclusiva (concorrenza sleale c.d. interferente), avendo riguardo alla prospettazione dei fatti da parte dell’attore ed indipendentemente dalla loro fondatezza. Di converso, esulano dalla competenza delle sezioni specializzate le domande fondate su atti di concorrenza sleale c.d. pura, in cui la lesione dei diritti di esclusiva non sia elemento costitutivo dell’illecito concorrenziale [nel caso di specie, la condotta posta in essere dal convenuto ritenuta potenzialmente integrante concorrenza sleale interferente concerne la sottrazione dei dati relativi alla clientela].
Sospensione della delibera di approvazione del bilancio: il bilanciamento degli interessi contrapposti per il periculum in mora
L’abuso di maggioranza si sostanzia nella lesione dei diritti partecipativi dei soci di minoranza. Tale lesione non può essere determinata, di per sé, dalla approvazione di un bilancio che porti perdite superiori al reale, ma solo, eventualmente, dalla successiva delibera di ripianamento con offerta ai soci in opzione, ove questa ponesse a rischio i loro diritti.
Ai fini della valutazione del periculum in mora per l’adozione della sospensiva, anche ove si ravvisasse un rapporto di concatenazione causale necessaria fra perdita di bilancio e onere di ripianamento, si imporrebbe, per questo aspetto, la necessità di bilanciare, ex art. 2378, co. 4, c.c., l’interesse degli attori a non concorrere a un aumento ritenuto indebito con il contrapposto interesse dei terzi a conoscere, e della società a cristallizzare e ufficializzare, le condizioni della società. Con la sospensiva infatti i terzi verrebbero privati radicalmente dell’importante informazione dell’avvenuta perdita del patrimonio netto e la società del principale strumento che rappresenta all’esterno e all’interno la sua condizione patrimoniale, sulla base del quale essa deve assumere iniziative rilevanti ex art. 2447 c.c. In questa alternativa, il bilanciamento non può andare a vantaggio dei soci che domandano la sospensione ove cui abbiano manifestato di non volere continuare il rapporto sociale e non abbiano esercitato neppure parzialmente il diritto di sottoscrivere l’aumento, con l’effetto di perdere, per ciò stesso, la loro qualità di soci.
Esaurimento del marchio in caso di vendita non autorizzata di orologi a marchio “BOSS” nello spazio europeo
La signoria sull’immissione di prodotti a marchio nello spazio europeo rimane al titolare del marchio: l’immissione in commercio che esaurisce il diritto del titolare del marchio è, per i prodotti provenienti dal di fuori dello spazio europeo, solo quella che sia fatta o autorizzata dal titolare stesso. [Nel caso di specie, non risulta provato dalla ricorrente che abbia acquistato gli orologi a marchio “BOSS” in esame da un soggetto di paese terzo che sia
autorizzato dal titolare ad immettere il prodotto a marchio nello spazio europeo.]
L.c.a. delle banche venete: regime di invalidità ex art. 2358 c.c. ed interesse ad agire
La violazione dell’art. 2358 c.c. – applicabile anche alle banche popolari – da sola non delinea una illiceità ex art. 1343 c.c., non contenendo l’art. 2358 c.c. un divieto assoluto ascrivibile alla materia delle norme imperative, ma “solo” una norma inderogabile, la cui violazione genera nullità del contratto e semplicemente la annullabilità, ai sensi dell’art. 1972, co. 2 c.c., della transazione che sia fatta su di esso, a beneficio del solo contraente ignaro della causa di nullità.
Sussiste interesse attoreo e procedibilità della domanda – non essendo l’interesse soddisfacibile in sede fallimentare – quando la parte attrice agisce per ottenere l’accertamento della nullità del finanziamento funzionalmente collegato alle operazioni di commercializzazione di azioni, finalizzata ad ottenere accertamento di non debenza da parte sua dell’adempimento contrattuale, ossia del pagamento delle rate di rimborso.
Inammissibilità di querela di falso di delibera assembleare
Legittimato passivo rispetto alla querela di falso civile è solo il soggetto che intenda valersi del documento in giudizio per fondarvi una domanda o un’eccezione e non già chi, in concreto, non intenda avvalersene o l’autore del falso ovvero chi abbia comunque concorso nella falsità, ai quali ultimi va riconosciuta, al più, la possibilità di intervenire in via adesiva nel giudizio. Rispetto a una querela di falso in relazione al contenuto di una delibera assembleare legittimata passiva è dunque solo la società e non il presidente dell’assemblea il cui verbale è oggetto di contestazione.
E’ inammissibile la querela di falso di un verbale di delibera assembleare non rogato da un notaio, non avendo lo stesso alcuna capacità di fare fede privilegiata della veridicità dei fatti che ivi si afferma essere avvenuti (quale, nella specie, la avvenuta deliberazione della distribuzione degli utili). La querela di falso della scrittura privata è infatti esperibile nel caso di falsità materiale, per spezzare il collegamento , quanto alla provenienza, fra dichiarazione e sottoscrizione , ma non nel caso di falsità ideologica, per impugnare la veridicità di quanto dichiarato, dato che quest’ultimo aspetto può essere smentito mediante i normali mezzi di prova.
Deve ritenersi mancante, e quindi nulla, la delibera assembleare per cui non si sia avuto, in realtà, né svolgimento di dibattito né espressioni di voto da parte di tutti.