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Pandoro-gate: Balocco perde ancora in appello a Torino
Il reclamo incidentale è inammissibile ove proposto nel termine assegnato per il deposito della comparsa di costituzione, quando era già scaduto il termine per proporre autonomo reclamo, di 10 giorni (ex art. 739 comma 2 c.p.c.) dalla notifica del decreto del Tribunale, notifica che fa decorrere il termine sia per il destinatario della stessa sia per il notificante.
Per espressa previsione normativa, la natura del procedimento ex art. 840 sexiesdecies c.p.c. (introdotto con L. 31/2019) è quella di un procedimento in camera di consiglio ai sensi degli artt. 737 e ss. c.p.c.; il provvedimento conclusivo è pertanto un decreto, che non ha natura sostanziale di sentenza e idoneità al giudicato, ma è modificabile e revocabile ai sensi dell’art. 742 c.p.c.. A tale conclusione si giunge valorizzando la specifica scelta del legislatore di prevedere che il procedimento dell’azione inibitoria collettiva si svolga con le forme del procedimento in camera di consiglio, a differenza dell’azione di classe (contestualmente disciplinata con la medesima L. 31/2019) per cui è previsto il rito sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c. e la pronuncia di sentenza (art. 840 ter c.p.c.). Il provvedimento conclusivo dell’azione inibitoria collettiva è dunque un decreto che non ha carattere decisorio in ordine a contrapposte posizioni di diritto soggettivo e idoneità al giudicato; pronuncia su atti e comportamenti in pregiudizio di una pluralità di individui o enti a seguito di domanda di chiunque vi abbia interesse o di associazioni i cui obiettivi comprendano la tutela degli interessi pregiudicati; è modificabile o revocabile ai sensi dell’art. 742 c.p.c.; non è soggetto alla disciplina delle impugnazioni incidentali tardive delle sentenze di cui agli artt. 334 e 343 c.p.c..
L’art. 840 sexiesdecies c.p.c. non esclude il potere del giudice di accertare e dichiarare (anche senza emettere ordini o impartire divieti) la responsabilità del soggetto resistente per aver posto in essere la condotta ivi specificata, ovvero atti e comportamenti in pregiudizio di una pluralità di individui o enti. Il procedimento delineato dal legislatore non è preclusivo di una pronuncia dichiarativa; non ha natura cautelare ma di procedimento in camera di consiglio, non risultando pertanto applicabili le deduzioni riguardanti i procedimenti cautelari per inibitoria e sequestro per contraffazione di un prodotto.
Costituisce pratica commerciale scorretta la pratica contraria alla diligenza professionale e idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge (art. 20 comma 1 Cod. consumo); ingannevole (art. 20 comma 4 in relazione agli artt. 21 e 22) ove contenga informazioni non rispondenti al vero o che induca o sia idonea ad indurre in errore il consumatore medio e lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso, con riferimento a la portata degli impegni del professionista, i motivi della pratica commerciale e il prezzo o il modo in cui questo è calcolato; anche quale omissione ingannevole (art. 22) in quanto nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, occulti o presenti in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno per prendere una decisione consapevole di natura commerciale, e induca o sia idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
L’art. 840 sexiesdecies c.p.c. prevede espressamente e inequivocabilmente la giurisdizione del giudice ordinario, disponendo che la domanda si propone con le forme del procedimento camerale ex artt. 737 e ss. c.p.c. dinanzi alla sezione specializzata in materia di impresa del tribunale. La pronuncia Cass. S.U. 7036/2006 – secondo cui l’AGCM non è un giudice ma un’amministrazione dello Stato ad ordinamento autonomo, il riconoscimento alle associazioni dei consumatori della possibilità di chiedere la tutela inibitoria all’AGCM o al giudice non è in contrasto con le norme comunitarie in materia di pubblicità ingannevole, agli Stati membri era data la possibilità di prevedere forme di tutela affidate sia in via esclusiva all’autorità amministrativa, sia in via esclusiva all’autorità giudiziaria, sia all’una e all’altra – conferma la sussistenza del sistema del c.d. doppio binario di tutela, amministrativa e di ordine giudiziario, in tema di pratiche commerciali scorrette.
La sospensione necessaria del giudizio civile in pendenza di un giudizio amministrativo deve ritenersi ammissibile qualora sia imposta dall’esigenza di evitare un conflitto di giudicati, ipotesi che però non ricorre se il possibile contrasto riguardi soltanto gli effetti pratici dell’una o dell’altra pronuncia, e se, in particolare, tra i giudizi sussista diversità di parti, ostandovi in questo caso il rispetto del principio del contraddittorio.
I presupposti dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore promossa dai creditori sociali
Ai fini dell’azione ex art. 2476, co. 6, c.c. non è sufficiente per il creditore sociale che agisce provare il solo mancato pagamento del credito, ma questi deve dare la dimostrazione dell’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti sociali, ossia della eccedenza delle passività sulle attività, che si verifica quando l’attivo sociale, raffrontato ai debiti della società, è insufficiente al loro soddisfacimento. Tale condizione non coincide necessariamente né con il determinarsi dello stato di insolvenza, potendo una società trovarsi nell’impossibilità di far fronte ai propri debiti ancorché il patrimonio sia integro, né con la situazione di perdita integrale del capitale sociale, potendosi in tal caso verificare un pareggio tra attivo e passivo, con soddisfo di tutti i creditori nella fase di liquidazione che segue allo scioglimento della società in caso di mancata ricostituzione del capitale.
Cancellazione dal registro delle imprese e presunzione di estinzione della società
La cancellazione di una società di persone dal registro delle imprese porta a presumere che l’ente sia estinto. Tale presunzione è vincibile dando prova che la società ha continuato ad operare mentre la persistenza di rapporti giuridici attivi e/o passivi non è idonea a superare la presunzione di estinzione dell’ente, tanto più che l’effetto estintivo dell’ente comporta il trasferimento in capo ai soci dei rapporti ancora esistenti.
Il potere di controllo di regolarità formale e qualificatorio dell’atto è esercitato correttamente dal Conservatore del registro delle imprese che abbia iscritto la cancellazione della società in nome collettivo senza liquidazione sulla base della dichiarazione sostitutiva di atto notorio del socio superstite con la quale certificava la mancanza di un residuo attivo e passivo che non lasciava spazio per una fase di liquidazione (nel caso di specie il Giudice del Registro ha respinto il ricorso contro la cancellazione della cancellazione di una società di persone richiesto sulla base di un preteso errore materiale per la mancata liquidazione dell’attivo della società).
I presupposti del sequestro giudiziale sulla quota
Osta alla concessione del sequestro giudiziale della quota di una società a responsabilità limitata la mancata prova dell’attivazione della clausola risolutiva espressa contenuta nel relativo contratto preliminare di compravendita di partecipazioni sociali, in quanto tale omissione determina il mancato sorgere dell’obbligo dell’acquirente di restituire la quota compravenduta e, più in generale, sottende l’assenza di alcuna controversia circa la proprietà della suddetta quota.
Ai fini del sequestro giudiziale della quota, sussiste il requisito del periculum qualora (i) la quota corra il rischio di alterazione, distruzione, deterioramento; (ii) vi sia una cattiva gestione del bene da parte del possessore e/o detentore; (iii) si prospetti un pregiudizio tale da compromettere l’esercizio del diritto che sarà accertato al termine della controversia. Contribuisce a escludere il pregiudizio di cui al romanino (iii) la circostanza per cui la quota potenzialmente soggetta a sequestro rappresenti una partecipazione di minoranza che, come tale, non ostacola l’adozione delle delibere assembleari funzionali allo svolgimento delle attività sociali.
Il marchio come firma di un’opera e lo stato soggettivo per l’inibitoria
Il marchio è un segno distintivo di un prodotto, che rende riconoscibile il suo produttore. Non costituisce contraffazione di marchio l’utilizzo della componente figurativa di un marchio, anche se registrato, ove esso sia utilizzato non in funzione di marchio, ma abbia finalità meramente illustrative (ferma restando l’illecito utilizzo di opere altrui).
Riprodurre l’opera altrui, utilizzandola a fini commerciali senza alcuna autorizzazione dell’autore, costituisce un plagio, ossia un atto illecito; e tanto più integra l’illecito riprodurre la stessa opera dopo aver cancellato la firma dell’autore.
Cancellare il marchio, fosse esso nominativo o figurativo e che in relazione all’opera rappresenta la firma dell’autore, integra violazione non solo del diritto di sfruttamento economico dell’opera ma anche del diritto morale, poiché significa occultarne volontariamente la paternità.
È da presumere che un distributore titolare di un marchio si informi della provenienza dei prodotti da distribuire anche con il proprio segno distintivo.
La tutela del diritto d’autore e dei segni distintivi prescinde dallo stato soggettivo di chi ha partecipato alle contraffazioni, talché è possibile inibire la reiterazione di condotte di concorso anche a chi le abbia poste in essere incolpevolmente ignorando la sussistenza di una contraffazione; ma questo vale in un giudizio di merito, al quale il concorrente inizialmente di buona fede abbia dato causa alimentando in qualche modo la controversia tra le parti (mentre potrebbe non ravvisarsi alcun interesse apprezzabile a ottenere una inibitoria nei confronti di chi abbia subito riconosciuto il diritto altrui e si sia immediatamente e definitivamente astenuto da altre condotte lesive).
Uno stato soggettivo di assoluta buona fede, da parte di chi non aveva alcun motivo per sospettare una contraffazione, o era addirittura nell’impossibilità materiale di riconoscerla, non consente di ravvisare rischi di reiterazione di condotte lesive dei diritti d’autore del ricorrente; e ciò porta a escludere, quanto meno, l’urgenza di un provvedimento cautelare che inibisca la loro commercializzazione.
Non ha ragion d’essere un ordine di pubblicazione del dispositivo sul sito web e sulle pagine social del ricorrente, che può liberamente procedervi nel rispetto della riservatezza delle parti diverse dai diretti concorrenti al plagio.
La responsabilità degli amministratori e dei sindaci di s.p.a.
Il mancato pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali può essere fatto valere sia come condotta tenuta dagli amministratori nell’ambito dell’illegittima prosecuzione dell’attività sociale successivamente alla mancata rilevazione di una causa di scioglimento, sia come autonomo addebito agli stessi. Nel primo caso, il danno dovrà ritenersi compreso nell’ambito del danno liquidato secondo il c.d. criterio della differenza tra i netti patrimoniali e, comunque, sarà pari all’incremento dei debiti tributari che non si sarebbe verificato laddove la causa di scioglimento fosse stata tempestivamente rilevata; nel secondo caso, invece, il danno non potrà mai essere pari all’importo complessivo del debito maturato nei confronti degli enti previdenziali, ma sarà dato esclusivamente dagli interessi e dalle sanzioni che la società o la procedura concorsuale è chiamata a corrispondere.
Laddove la transazione stipulata tra il creditore e uno dei condebitori solidali abbia ad oggetto non già l’intero debito ma solo ed esclusivamente la quota del condebitore che l’ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato dal condebitore che ha transatto soltanto se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito; se, invece, il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l’accordo transattivo, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto.
Il rapporto di collaborazione e scambio fra socio e società cooperativa
La società cooperativa, per sua natura, è espressione di una duplicità contrattuale: il contratto sociale, caratterizzato dalla comunione di scopo, e quello mutualistico, di natura sinallagmatica, che, al pari dei contratti di scambio, fa sì che il socio che conferisce i prodotti abbia diritto al pagamento del corrispettivo, stabilito secondo modalità che trovano una compiuta regolamentazione nell’ambito di un regolamento. Salvo che nello statuto o nel regolamento interno non si rinvengano disposizioni che tendano ad allineare il prezzo dei conferimenti al valore del patrimonio della società.
Il rapporto attinente al conseguimento dei servizi o dei beni prodotti dalla società ed aventi ad oggetto prestazioni di collaborazione o di scambio tra socio e società, è ulteriore rispetto a quello relativo alla partecipazione all’organizzazione della vita sociale ed è caratterizzato non dalla comunione di scopo, ma dalla contrapposizione tra quelle prestazioni e la retribuzione o il prezzo corrispettivo. Di conseguenza, la remunerazione da parte di una cooperativa agricola dei conferimenti di prodotti da parte del socio non può essere considerata equivalente alla distribuzione delle riserve indivisibili e quindi potrebbe essere eventualmente disposta anche in presenza di perdita di esercizio.
Responsabilità dell’amministratore per l’inadempimento della società. L’amministratore di fatto
L’inadempimento contrattuale di una società di capitali non può, di per sé, implicare responsabilità degli amministratori per danni diretti nei confronti dell’altro contraente, atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, postula fatti illeciti direttamente imputabili a comportamento colposo o doloso degli amministratori medesimi; laddove ne ricorrano tutti gli estremi può, peraltro, configurarsi un concorso tra l’inadempimento della società e l’illecito dell’amministratore.
La persona che, benché priva della corrispondente investitura formale, si accerti essersi inserita nella gestione della società stessa, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, va considerata amministratore di fatto ove tale ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza. È quindi necessario dimostrare che l’amministratore di fatto svolge, in via sistematica e continua, le attività tipiche dell’amministratore, quali ad esempio la gestione di rapporti continui con i clienti e fornitori, la direzione del personale, l’assunzione di un potere decisionale tale da condizionare le scelte operative e organizzative della società, la gestione dei rapporti con il ceto bancario o la facoltà di operare sul conto corrente.
Eccezione di arbitrato e finanziamenti soci
Ai sensi dell’art. 808 quater cpc, nel dubbio, la convenzione d’arbitrato si interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce [nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto devoluta ad arbitrato irrituale una controversia relativa all’adempimento di scritture private aventi ad oggetto la regolazione tra i soci di finanziamenti erogati dagli stessi alla società (una s.r.l.)]
La natura contrattuale dell’arbitrato irrituale rende l’eccezione di compromesso una questione di proponibilità della domanda attinente al merito della controversia e non pone invece un tema di competenza.
Esclusione del socio di s.a.s. e tutela cautelare ex art. 2287 c.c.
La ratio sottesa alla clausola dei patti sociali che disponga l’esclusione nei confronti del socio la cui quota di partecipazione sia stata pignorata va ravvisata nella volontà dei soci di tenere la società immune dal rischio che il creditore personale del socio possa aggredire la singola quota, il che nelle società di persone comporterebbe l’inserimento nella compagine sociale di un nuovo soggetto prescindendo dalla volontà degli altri soci, rischio che si verificherebbe anche nell’ipotesi di pignoramento parziale della quota di partecipazione.
Nell’ambito di un giudizio cautelare di opposizione all’esclusione del socio di cui all’art. 2287 c.c., l’ordinanza di rigetto dell’istanza cautelare non preclude la riproposizione dell’istanza se si verificano, anche alternativamente, mutamenti delle circostanze o vengano dedotte nuove ragioni di fatto o diritto. Non risulta infatti inammissibile per violazione dell’art. 669 septies c.p.c. la nuova istanza che si fondi su mutamenti dei profili strettamente fattuali o giuridici.