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Il diritto degli eredi alla liquidazione della quota e i criteri di determinazione del valore
Gli eredi sono legittimati a richiedere la liquidazione della quota sociale a carico della società secondo le regole del tipo sociale. La liquidazione della quota consiste nella corresponsione alle eredi del valore della quota del de cuius alla data del decesso da corrispondersi in moneta. Tale valore deve essere debitamente provato dalla parte che ne chiede la liquidazione.
La stima della quota, dipendente anche dal valore di mercato dei beni immobili che la società detenga nel proprio patrimonio, deve tenere conto del carico fiscale che si determinerà, certamente nell’an ma in modo del tutto incerto nel quantum, al momento del realizzo dei beni immobili. Tale fiscalità costituisce elemento negativo nella stima del valore di mercato. Diversamente, la società potrebbe prendere decisioni di rivalutazione del bene, se del caso profittando di normative di favore, per non incorrere in tassazione della plusvalenza; ma anche quest’ultima fiscalità deve considerarsi componente negativa del valore del bene ai fini della determinazione del valore di quota. Tassazione della plusvalenza o tassazione della rivalutazione hanno però valori che non possono essere determinati se non al momento in cui se ne realizzano i presupposti, cioè cessione o rivalutazione, e sempre che tali presupposti si verifichino. Tale valore non è dunque determinabile e pertanto il valore della quota deve essere stabilito al lordo.
Restituzione di compensi illegittimamente percepiti dall’amministratore
Nullità della delibera assembleare di s.r.l. per omessa convocazione del socio
L’omessa convocazione del socio costituisce causa di nullità della delibera assembleare in quanto assunta in totale carenza di informazione del socio pretermesso. Infatti, il disposto dell’art. 2479 ter, co. 3, c.c., nella parte in cui considera le decisioni prese in assoluta assenza di informazioni non si riferisce soltanto alla mancanza di informazioni sugli argomenti da trattare, ma anche alla mancanza di informazioni sull’avvio del procedimento deliberativo.
Ove il socio agisca in giudizio per far valere l’invalidità di una delibera assembleare, incombe sulla società convenuta l’onere di provare che tutti i soci siano stati tempestivamente avvisati della convocazione intesa quale presupposto per la regolare costituzione dell’assemblea, mentre resta a carico dell’istante la dimostrazione degli eventuali vizi inerenti alla formazione della volontà della medesima. In particolare, non può essere addossata al socio che deduca l’invalidità dell’assemblea, la prova negativa dell’inosservanza dell’obbligo di convocazione, anche se la prova gravante sulla società può essere fornita altresì mediante presunzioni. L’onere di provare l’avvenuto recapito all’indirizzo del destinatario è a carico del mittente, salva la prova da parte del destinatario medesimo dell’impossibilità di conoscere l’atto per fatti a lui non imputabili.
Nullità della notifica eseguita a soggetti diversi da quelli dovuti
La notificazione del decreto ingiuntivo può anche essere eseguita, a norma degli artt. 138, 139 e 141 c.p.c., alla persona fisica che rappresenta l’ente qualora nell’atto da notificare ne sia indicata la qualità e risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale. In tema di notifica, la qualità di rappresentante della persona giuridica e la sua residenza, domicilio e dimora, devono essere inseriti nell’atto da notificare e non nel plico. La notifica può, pertanto, essere seguita nelle mani della persona fisica che rappresenta la società, ma solo qualora sia indicata nell’atto da notificare e non altrove.
La notifica eseguita in luogo a soggetti diversi da quelli dovuti comporta l’inesistenza della notifica stessa solo in difetto di alcuna attinenza, o riferimento, o collegamento di quel luogo o soggetto con il destinatario, altrimenti essendo la notifica affetta da semplice nullità.
ll rigetto della domanda di brevetto rende nullo il contratto di licenza per mancanza di oggetto
Il D.Lgs. n. 168 del 2003, nell’attribuire alle Sezioni specializzate in materia d’impresa la cognizione delle controversie previste dall’art. 3, prevede una competenza per materia avente carattere funzionale e quindi inderogabile. Deve essere dichiarata pertanto inefficace la clausola del contratto di licenza in cui le parti concordano un diverso foro competente.
Il contratto di licenza è nullo, mancando l’oggetto del relativo contratto, ove il titolo di proprietà industriale vantato oggetto di licenza (nella specie, un brevetto) venga rifiutato dall’UIBM per carenza dei requisiti di tutela.
Il fatto che una parti dichiari risolto di diritto il contratto non rende inammissibile l’accertamento successivo della nullità originaria del contratto essendo pacifico che l’adempimento e la risoluzione presuppongono l’esistenza di un atto morfologicamente valido, sicché la nullità può essere sempre oggetto di dichiarazione/accertamento da parte del giudice.
Nel caso in cui il differimento della prima udienza di comparizione da parte del giudice istruttore, ai sensi dell’art. 168-bis, comma 5, c.p.c. intervenga dopo che sia già scaduto il termine di cui all’art. 166 c.p.c. per la costituzione del convenuto, il differimento stesso non determina la rimessione in termini del convenuto ai fini della sua tempestiva costituzione e, di conseguenza, restano ferme le decadenze già maturate a suo carico ai sensi dell’art. 167 c.p.c.
Reclamo avverso l’ordinanza cautelare di sequestro conservativo ante causam
Elementi identificativi della figura dell’amministratore di fatto e responsabilità risarcitoria
L’amministratore di fatto è il soggetto che, pur formalmente privo della qualifica di amministratore, non essendo stato nominato dall’assemblea, ne esercita sostanzialmente le funzioni decisorie, impartendo istruzioni agli amministratori di diritto e condizionando le scelte aziendali. L’amministratore di fatto viene positivamente individuato quando si realizza la compresenza dei seguenti elementi: (i) mancanza di un’efficace investitura assembleare; (ii) attività di gestione svolta in maniera continuativa, non episodica od occasionale; (iii) autonomia decisionale interna ed esterna, con funzioni operative e di rappresentanza.
La prova della posizione di amministratore di fatto implica l’accertamento della sussistenza di una serie di indici sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria.
Allo svolgimento di fatto di funzioni gestorie corrisponde il principio di responsabilità per danni eventualmente cagionati; all’amministratore di fatto si applica la medesima disciplina ex artt. 2392-2395, e 2476, c.c. in punto di responsabilità dell’amministratore di diritto per i danni arrecati nell’esercizio delle sue funzioni alla società, ai soci o ai terzi.
Esclusione del socio di s.r.l.
L’art. 2473 bis c.c. introduce nella disciplina delle s.r.l. la possibilità di sancire ipotesi di estromissione dei singoli soci per giusta causa purché vi sia una previsione statutaria che consenta lo scioglimento del vincolo sociale. Tale autonomia statutaria deve esplicarsi nel rispetto dei requisiti minimi fissati dalla legge, che devono essere individuati nella specificità delle ipotesi di esclusione e nella giusta causa. Ne deriva la necessità di clausole tassative che confluiscono nello statuto a garanzia, nell’ottica della conoscibilità a priori delle fattispecie legittimanti l’esclusione, non solo dei soci, ma anche dei terzi e dei creditori sociali che hanno rapporti con la società. Lo strumento dell’esclusione è previsto in funzione di autotutela della continuità dell’attività sociale, in tutti quei casi in cui determinate condotte del socio o vicende che lo possono riguardare incidono direttamente e in modo irreversibile sulla prosecuzione dell’attività sociale. Ne consegue, quindi, il carattere strettamente organizzativo che assume l’esclusione per la rilevanza che involge sotto il profilo della stessa struttura organizzativa, oltre che per le ricadute sotto il profilo patrimoniale.
Il sindacato giurisdizionale nell’ambito del giudizio di opposizione alla delibera di esclusione è limitato ai profili di sola legittimità, dovendosi limitare il giudice a verificare la reale sussistenza delle ipotesi previste dalla legge o dall’atto costitutivo, non potendo estendersi tale sindacato all’opportunità del provvedimento espulsivo. Invero, il sindacato giudiziale, che non deve mai incorrere in un’indagine sull’opportunità della sanzione, deve materializzarsi in alcuni casi nella valutazione della riconducibilità in concreto dei comportamenti del socio escluso alla previsione statutaria che giustifica il provvedimento di esclusione, tenendo conto a tal fine, ogni qualvolta si imbatta in previsioni statutarie che si riferiscano a comportamenti solo genericamente o sinteticamente indicati come contrari all’interesse sociale, della rilevanza della lesione eventualmente inferta dal socio all’interesse della società, atteso che la regola negoziale contenuta nello statuto sottende un criterio di proporzionalità tra gli effetti del comportamento attribuito al socio e la risoluzione del rapporto sociale a lui facente capo.
Nell’ipotesi in cui il giudizio di opposizione si concluda con un provvedimento favorevole al socio, l’annullamento della delibera di esclusione avrà effetto retroattivo, comportando la piena reintegrazione del socio nelle posizioni giuridiche vantate prima della illegittima deliberazione, fatta salva in ogni caso la possibilità di esperire l’azione di risarcimento per il ristoro dei danni subiti.
Esclusione degli obblighi informativi precontrattuali in caso di cessione di quote al socio-amministratore della target
L’azione di responsabilità precontrattuale proposta da chi, ai sensi dell’art. 1337 c.c., lamenta la violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase delle trattative che hanno preceduto la conclusione del contratto di cessione di quote sociali, per mancata informazione di circostanze rilevanti ai fini della valutazione della convenienza dell’affare, è priva di fondamento qualora l’acquirente non sia un soggetto terzo estraneo alla società target, ma il socio di maggioranza, nonché componente dell’organo gestorio, di quest’ultima. In una simile ipotesi, la situazione di compartecipazione di entrambe le parti nella gestione dell’attività sociale della società target esclude la stessa configurabilità a carico di uno dei contraenti di obblighi informativi nei confronti dell’altro.
Impugnativa di bilancio: la valutazione delle partecipazioni immobilizzate
In tema di redazione del bilancio di esercizio, l’art. 2426, co. 1, n. 1, c.c. impone che le immobilizzazioni siano iscritte al costo di acquisto e l’art. 2423 bis, co. 1, n. 6, c.c. prescrive che i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro (c.d. principio di continuità dei bilanci). Pertanto, l’appostazione di una partecipazione detenuta in altra società al costo di acquisto e per un valore coerente con quanto rappresentato nel bilancio precedente risulta ossequiosa di detti principi, rispetto ai quali la mera diversa valorizzazione in un atto di donazione tra privati non riveste alcuna efficacia euristica.