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5 Aprile 2024

Elementi identificativi della figura dell’amministratore di fatto e responsabilità risarcitoria

L’amministratore di fatto è il soggetto che, pur formalmente privo della qualifica di amministratore, non essendo stato nominato dall’assemblea, ne esercita sostanzialmente le funzioni decisorie, impartendo istruzioni agli amministratori di diritto e condizionando le scelte aziendali. L’amministratore di fatto viene positivamente individuato quando si realizza la compresenza dei seguenti elementi: (i) mancanza di un’efficace investitura assembleare; (ii) attività di gestione svolta in maniera continuativa, non episodica od occasionale; (iii) autonomia decisionale interna ed esterna, con funzioni operative e di rappresentanza.

La prova della posizione di amministratore di fatto implica l’accertamento della sussistenza di una serie di indici sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali sono i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria.

Allo svolgimento di fatto di funzioni gestorie corrisponde il principio di responsabilità per danni eventualmente cagionati; all’amministratore di fatto si applica la medesima disciplina ex artt. 2392-2395, e 2476, c.c. in punto di responsabilità dell’amministratore di diritto per i danni arrecati nell’esercizio delle sue funzioni alla società, ai soci o ai terzi.

4 Aprile 2024

Esclusione del socio di s.r.l.

L’art. 2473 bis c.c. introduce nella disciplina delle s.r.l. la possibilità di sancire ipotesi di estromissione dei singoli soci per giusta causa purché vi sia una previsione statutaria che consenta lo scioglimento del vincolo sociale. Tale autonomia statutaria deve esplicarsi nel rispetto dei requisiti minimi fissati dalla legge, che devono essere individuati nella specificità delle ipotesi di esclusione e nella giusta causa. Ne deriva la necessità di clausole tassative che confluiscono nello statuto a garanzia, nell’ottica della conoscibilità a priori delle fattispecie legittimanti l’esclusione, non solo dei soci, ma anche dei terzi e dei creditori sociali che hanno rapporti con la società. Lo strumento dell’esclusione è previsto in funzione di autotutela della continuità dell’attività sociale, in tutti quei casi in cui determinate condotte del socio o vicende che lo possono riguardare incidono direttamente e in modo irreversibile sulla prosecuzione dell’attività sociale. Ne consegue, quindi, il carattere strettamente organizzativo che assume l’esclusione per la rilevanza che involge sotto il profilo della stessa struttura organizzativa, oltre che per le ricadute sotto il profilo patrimoniale.

Il sindacato giurisdizionale nell’ambito del giudizio di opposizione alla delibera di esclusione è limitato ai profili di sola legittimità, dovendosi limitare il giudice a verificare la reale sussistenza delle ipotesi previste dalla legge o dall’atto costitutivo, non potendo estendersi tale sindacato all’opportunità del provvedimento espulsivo. Invero, il sindacato giudiziale, che non deve mai incorrere in un’indagine sull’opportunità della sanzione, deve materializzarsi in alcuni casi nella valutazione della riconducibilità in concreto dei comportamenti del socio escluso alla previsione statutaria che giustifica il provvedimento di esclusione, tenendo conto a tal fine, ogni qualvolta si imbatta in previsioni statutarie che si riferiscano a comportamenti solo genericamente o sinteticamente indicati come contrari all’interesse sociale, della rilevanza della lesione eventualmente inferta dal socio all’interesse della società, atteso che la regola negoziale contenuta nello statuto sottende un criterio di proporzionalità tra gli effetti del comportamento attribuito al socio e la risoluzione del rapporto sociale a lui facente capo.

Nell’ipotesi in cui il giudizio di opposizione si concluda con un provvedimento favorevole al socio, l’annullamento della delibera di esclusione avrà effetto retroattivo, comportando la piena reintegrazione del socio nelle posizioni giuridiche vantate prima della illegittima deliberazione, fatta salva in ogni caso la possibilità di esperire l’azione di risarcimento per il ristoro dei danni subiti.

4 Aprile 2024

Esclusione degli obblighi informativi precontrattuali in caso di cessione di quote al socio-amministratore della target

L’azione di responsabilità precontrattuale proposta da chi, ai sensi dell’art. 1337 c.c., lamenta la violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase delle trattative che hanno preceduto la conclusione del contratto di cessione di quote sociali, per mancata informazione di circostanze rilevanti ai fini della valutazione della convenienza dell’affare, è priva di fondamento qualora l’acquirente non sia un soggetto terzo estraneo alla società target, ma il socio di maggioranza, nonché componente dell’organo gestorio, di quest’ultima. In una simile ipotesi, la situazione di compartecipazione di entrambe le parti nella gestione dell’attività sociale della società target esclude la stessa configurabilità a carico di uno dei contraenti di obblighi informativi nei confronti dell’altro.

4 Aprile 2024

Impugnativa di bilancio: la valutazione delle partecipazioni immobilizzate

In tema di redazione del bilancio di esercizio, l’art. 2426, co. 1, n. 1, c.c. impone che le immobilizzazioni siano iscritte al costo di acquisto e l’art. 2423 bis, co. 1, n. 6, c.c. prescrive che i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro (c.d. principio di continuità dei bilanci). Pertanto, l’appostazione di una partecipazione detenuta in altra società al costo di acquisto e per un valore coerente con quanto rappresentato nel bilancio precedente risulta ossequiosa di detti principi, rispetto ai quali la mera diversa valorizzazione in un atto di donazione tra privati non riveste alcuna efficacia euristica.

Dies a quo di decorrenza della prescrizione dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146, co. 2, l.fall. cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma, quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali, implicandone una modifica della legittimazione attiva, ma non dei presupposti. Sicché, dipendendo da rapporti che si trovano già nel patrimonio dell’impresa al momento dell’apertura della procedura concorsuale a suo carico, e che si pongono con questa in relazione di mera occasionalità, non riguarda la formazione dello stato passivo e non è attratta alla competenza funzionale del tribunale fallimentare ex art. 24 l.fall., restando soggetta a quella del tribunale delle imprese, ex art. 3, co. 2, del d.lgs. n. 168 del 2003, propria di tutte le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori, da chiunque promosse.

Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori e sindaci di una società di capitali previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c., anche se esercitate cumulativamente ai sensi dell’art. 146 l.fall., debbono considerarsi distinte, perché basate su presupposti differenti e soggette a diverso regime giuridico, con particolare riferimento al calcolo dei termini per la prescrizione. Infatti, le due azioni di responsabilità si prescrivono nel termine di cinque anni ex art. 2949 c.c.; tuttavia, la decorrenza del termine varia a seconda del profilo di responsabilità azionato dal curatore. Se il curatore agisce per far valere la responsabilità dei componenti degli organi sociali nei confronti della società ai sensi dell’art. 2393 c.c., il termine decorre da quando è cessata la carica prima del fallimento o da quando il fallimento è stato dichiarato, se il soggetto passivo dell’azione di responsabilità sia in carica in quel momento, in forza della causa di sospensione di cui all’art. 2941, n. 7, c.c. Se il curatore esercita invece l’azione di responsabilità dei creditori sociali ex art. 2394 c.c., il termine di prescrizione decorra dalla conoscibilità esteriore dell’incapienza patrimoniale e quindi dell’insufficienza dell’attivo sociale a soddisfare i debiti, in forza del dato normativo letterale secondo cui l’insufficienza patrimoniale deve comunque “risultare”, il che può avvenire prima, dopo o al momento del fallimento.

In considerazione dell’onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando pertanto all’amministratore che sollevi la relativa eccezione fornire la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale.

La prescrizione dell’azione ex art. 2394 c.c., proposta nei confronti degli amministratori e dei sindaci per mala gestio, decorre non già dalla commissione dei fatti integrativi di tale responsabilità, o dalla cessazione dalla carica, bensì dal momento dell’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti e, per meglio dire, dal momento in cui i creditori sono oggettivamente in grado di venire a conoscenza di tale insufficienza. Tale incapacità, consistente nella eccedenza delle passività sulle attività, non corrisponde alla perdita integrale del capitale sociale (che può verificarsi anche in presenza di un pareggio tra attivo e passivo) né allo stato di insolvenza, trattandosi di uno squilibrio patrimoniale più grave e definitivo che può essere sia anteriore che posteriore alla dichiarazione di fallimento.

3 Aprile 2024

Esclusione del socio di cooperativa edilizia e competenza del Tribunale delle Imprese

La sezione specializzata in materia di imprese è competente anche in ordine alle domande di accertamento dell’occupazione sine titolo e di condanna al rilascio degli immobili, se connesse alla domanda principale relativa all’accertamento della legittimità della delibera di esclusione del socio di cooperativa edilizia. Invero, ai sensi dell’art. 3, co. 3, d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, in l. 24 marzo 2012, n. 27, alla sezione specializzata in materia di impresa territorialmente competente è attribuita la competenza anche sulle cause e i procedimenti che presentano ragioni di connessione con le cause e i procedimenti previsti dai primi due commi della stessa norma. Tale espressione fa riferimento alle cause e ai procedimenti che presentano un vincolo di connessione oggettiva propria con le cause e i procedimenti previsti dai primi due commi della norma sopra citata, con esclusione quindi della connessione impropria.

2 Aprile 2024

Sull’ammissibilità della revocatoria ordinaria di un atto di scissione societaria

È ammissibile l’azione revocatoria ordinaria di un atto di scissione societaria, che si attesta come rimedio diverso e complementare rispetto all’opposizione dei creditori ex art. 2503 c.c., in quanto l’azione revocatoria è finalizzata a ottenere l’inefficacia relativa dell’atto, al fine di renderlo inopponibile al solo creditore pregiudicato, avendo natura di rimedio successivo perché contesta un atto dispositivo già perfezionato, il cui effetto sia pregiudizievole per l’azione esecutiva. Diversamente, l’opposizione dei creditori sociali ex art. 2503 c.c. è finalizzata a far valere l’invalidità dell’atto.

In caso di scissione societaria – conformemente al disposto di cui all’art 2901 c.c., a mente del quale l’oggetto della revocatoria è rappresentato dagli atti con cui il debitore dispone del proprio patrimonio – l’atto oggetto di revocatoria dovrebbe individuarsi nell’assegnazione patrimoniale della società scissa alle società beneficiarie, quale momento indefettibile e necessario della scissione, che in quanto tale comporta una riduzione di parte o dell’intero patrimonio della società scindenda a favore dell’unica beneficiaria o della pluralità di beneficiarie.

Quando sia soggetto a revoca l’atto di scissione, stipulato in esecuzione di una delibera, occorre provare il carattere fraudolento di quest’ultima, da cui è sorto l’obbligo di stipula dell’atto di scissione poi adempiuto, e tale prova può essere data nel giudizio introdotto con la domanda revocatoria dell’atto di assegnazione, indipendentemente da un’apposita domanda volta a far dichiarare l’inefficacia della delibera, fermo restando che la sussistenza del presupposto dell’eventus damni per il creditore va accertata con riferimento alla stipula della scissione.