Cessazione della materia del contendere e nullità ex art. 2744 c.c. dell’atto di costituzione di pegno su quota di partecipazione sociale
La cessazione della materia del contendere si verifica solo qualora nel corso del procedimento sopravvenga una situazione che, soddisfacendo le pretese fatte valere in giudizio, elimina il contrasto tra le parti, cosicché le stesse non hanno più interesse a proseguire il giudizio e danno atto al Giudice di tale sopravvenuto mutamento tramite conclusioni conformi (nella specie, l’interesse a sentir pronunciata la nullità del patto commissorio contenuto nel contratto non può considerarsi venuto meno per il solo fatto che parte convenuta, nel corso del giudizio, ha riconosciuto quale debitore principale la società e quali meri garanti del debito gli attori. Invero, il divieto di cui all’art. 2744 c.c. si estende a qualunque negozio diretto a realizzare il fine vietato dal legislatore, e quindi opera anche nel caso in cui il bene oggetto della garanzia sia trasferito al creditore da un soggetto terzo e non dal debitore.)
Ove il Tribunale ritenga di non poter accogliere le domande come riformulate dalle parti in sede di precisazione delle conclusioni è consentito ed anzi doveroso procedere ad una valutazione della materia del contendere formalizzata sulla base delle iniziali domande di parti attrici. Invero, una volta accertato che la materia del contendere non è venuta meno e permane intatto l’interesse delle parti attrici alla decisione sulle domande come inizialmente formulate, allora appunto la materia del contendere rimane a determinare l’oggetto del processo siccome configurata nelle iniziali domande delle stesse parti attrici, non essendo intervenuto valido e fondato strumento processuale modificativo.
Il divieto di patto commissorio sancito dall’art. 2744 c.c. si estende a qualsiasi negozio, ancorché lecito e quale ne sia il contenuto, che venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento, dell’illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, accettando preventivamente il trasferimento di proprietà di un suo bene come conseguenza della mancata estinzione del debito; ove, pertanto, venga a mancare la funzione di scambio a parità di condizioni, tipica di ogni contratto di compravendita, costituente elemento indispensabile per la liceità del negozio, si ricade nella causa illecita, quindi sotto la sanzione della nullità, in quanto il negozio concluso costituisce il mezzo che permette di raggiungere il risultato vietato dalla legge (cfr. Cass. n. 1233/1997).
A mente dell’art. 1419, co. 1, c.c., la nullità di singole clausole contrattuali si estende all’intero contratto solo ove l’interessato dimostri che la parte colpita da invalidità non ha un’esistenza autonoma, né persegue un risultato distinto e particolare, ma è in correlazione inscindibile con il resto, nel senso che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità [nella specie, sussistevano una serie di circostanze idonee a dimostrare che le parti avrebbero, ed in concreto hanno, concluso il contratto di costituzione di pegno anche in assenza delle clausole colpite da nullità per violazione del divieto di patto commissorio].
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Daniela Russo
Avvocato del Foro di MilanoLaurea in giurisprudenza a pieni voti presso l'Università degli Studi di Parma e abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte d'Appello di Milano. Tirocinio formativo presso la Sezione...(continua)