Cessione di azienda e debiti dell’azienda ceduta non iscritti a bilancio
Il soggetto verso il quale un terzo fa valere un credito solidale dal lato passivo, sia pure assoggettato ad accertamento giudiziale, è tenuto a condotta di buona fede rispetto al creditore (che può agire in vario modo per assicurarsi la soddisfazione sul suo patrimonio) ed è anche tenuto a condotta di buona fede rispetto ai condebitori solidali. Se è una società, ha anche il dovere, ricorrendo i presupposti di legge, di iscrivere in contabilità e nei bilanci adeguato fondo rischi a fronte della pretesa del terzo creditore comune. Infatti, il presupposto per una iscrizione a fondo rischi in ragione di un eventuale contenzioso sorge alla data di introduzione della lite e non già alla diversa e successiva data del deposito della relazione del CTU che tragga conclusioni in senso avverso alla posizione della società.
L’art. 2560 stabilisce la regola per cui l’acquirente di una azienda risponde verso il creditore in solido con il cedente, per i debiti dell’azienda ceduta. Tale regola è dettata dalla considerazione per la quale il cedente si spoglia a vantaggio dell’acquirente, proprio del compendio produttivo tramite il quale altrimenti trarrebbe gli introiti necessari a soddisfare il proprio creditore; e pertanto è inderogabile dalle parti. A tutela dell’affidamento dell’acquirente sta poi il presidio di cui al comma 2 ultima parte dell’articolo, che limita la sua responsabilità verso i creditori per fatti aziendali preesistenti ai debiti risultanti dalle scritture contabili. Si tratta di una regola aggiuntiva a tutela dell’acquirente di buona fede.
L’art. 2476, comma 7, c.c. può essere invocato qualora si prospetti nei confronti dell’organo gestorio di una società la commissione di fatti intenzionalmente lesivi suscettibili di cagionare danni direttamente al terzo. Tale fattispecie non richiede che la condotta degli amministratori costituisca illecito dannoso per il patrimonio della società. La diversa ipotesi dell’art. 2394 c.c. richiede invece che l’atto rimproverato agli amministratori sia gestionalmente scorretto e che abbia arrecato danno alla società cosicché la vittima, creditrice della società, ne abbia danno riflesso per non potersi soddisfare sul patrimonio di questa.