Concorrenza sleale per storno di dipendenti
Anche se la concorrenza sleale deve ritenersi fattispecie tipicamente riconducibile ai soggetti del mercato in concorrenza, non è esclusa la predicabilità dell’illecito concorrenziale quando l’atto lesivo del diritto del concorrente venga compiuto da un soggetto il quale, pur non possedendo egli stesso i necessari requisiti soggettivi (non essendo cioè concorrente del danneggiato) agisca per conto (o comunque in collegamento con) un concorrente del danneggiato stesso, essendo egli stesso legittimato a porre in essere atti che ne cagionino vantaggi economici. In tal caso, il terzo va ritenuto responsabile, in solido con l’ imprenditore che si sia giovato della sua condotta, mentre, mancando del tutto siffatto collegamento tra il terzo autore del comportamento lesivo del principio della correttezza professionale e l’imprenditore concorrente del danneggiato, il terzo stesso è chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 2043 c.c..
Indipendentemente dalla violazione da parte di un ex dipendente dei doveri di lealtà e correttezza in costanza di rapporto contrattuale, sotto il diretto profilo concorrenziale va affermato che, anche in assenza di effetti destrutturanti sull’impresa concorrente, non corrisponde ai principi di lealtà l’assunzione di dipendenti altrui, anche se da questi ultimi sollecitata e promossa, che sia finalizzata essenzialmente all’utilizzo di specifiche conoscenze commerciali e comunque alla sottrazione di clienti con cui i dipendenti si trovavano in relazione privilegiata.
L’elemento soggettivo, l’animus nocendi -che segna il confine tra la concorrenza (posta in essere in modo legittimo) e lo storno (illegittimo)- risulta i qualificato dalla intenzione di interferire nella relazioni commerciali con la clientela.
Non va infatti dimenticato che i vantaggi, in termini di avviamento e clientela, derivati dall’attività promozionale dei dipendenti del settore commerciale sono patrimonio acquisito dell’impresa da cui dipendono ed il necessario rispetto delle regole di correttezza ex art. 1598 n. 3 c.c. non consente al nuovo datore di lavoro di utilizzare gli ex collaboratori del concorrente per un sistematico contatto con i clienti già trattati al fine di acquisirli a proprio favore.
In questa prospettiva meno rileva, se non ad aggravare una condotta già di per sé potenzialmente illecita, che il contatto avvenga utilizzando liste clienti con tulle le caratteristiche di cui all’art. 98 CPI, ovvero semplicemente ricostruite da ciascun commerciale.
Un’organizzazione che subisca una condotta di ex dipendenti, con modalità così intenzionalmente dirette alla sottrazione di clientela si trova di fronte ad una situazione eccezionale, che richiede uno sforzo aggiuntivo, che le impone di utilizzare risorse non per la normale attività di acquisizione della clientela ed esecuzione dell’incarico, ma per rimediare ai danni causati dall’attività di disturbo nelle relazioni contrattuali ormai consolidate e per riacquistare l’accreditamento sul mercato. Siffatte emergenze di disagio imprenditoriale, assai superiore a quello di chi debba esclusivamente sostituire due dipendenti che hanno scelto di cambiare datore di lavoro, rappresentano una “voce di danno” non facilmente dimostrabile (e tantomeno quantificabile matematicamente, neppure con l’ aiuto di un CTU) per la quale appare giustificato il ricorso alla valutazione equitativa ex art. 1226 c.c..