Condotte integranti concorrenza sleale
L’utilizzo, da parte di un’impresa concorrente e, segnatamente, nella propria pubblicità, di un segno distintivo di cui altra impresa ha diritto all’uso esclusivo come marchio di fatto, può essere inibito, ove tale utilizzo possa determinare confusione nel pubblico, a sensi dell’art. 2, comma 4, c.p.i. (che tutela i segni o marchi di fatto) e dell’art. 2598 c.c.; tale utilizzo dell’altrui segno distintivo, anche di fatto, costituisce infatti non solo “contraffazione di marchio”, ma anche “concorrenza sleale confusoria”, quando si verifica nell’ambito di un rapporto concorrenziale.
Per “pregi” devono infatti intendersi caratteristiche, anche non particolarmente rare o ricercate, che siano positivamente valutate dal mercato ed idonee ad influire sulle scelte del pubblico in quanto riferibili ad una cerchia di produttori ovvero ad una particolare categoria di prodotti, propri dei prodotto o dell’impresa di un concorrente. Affinché si realizzi la fattispecie appropriativa di cui all’art. 2598, n. 2, c.c., è sufficiente che venga ingenerata nel pubblico, anche indirettamente, la convinzione che il prodotto o l’impresa abbiano le stesse qualità del concorrente e, di conseguenza. l’illecito sussiste anche in presenza di un accostamento operato attraverso immagini.
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Chiara Bocchi
Laureata con lode all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza (tesi in diritto commerciale internazionale su "La fusione transfrontaliera", relatore Prof. Avv. Matteo Rescigno). Avvocato iscritto all'Albo di...(continua)