In tema di legittimazione attiva rispetto all’azione di responsabilità, conflitto di interessi e insindacabilità delle scelte di gestione
La fattispecie di conflitto di interessi, che è causa di annullamento del contratto concluso dal rappresentante legale della società, ricorre nell’ipotesi in cui tale soggetto persegua interessi alieni (personali o di terzi) inconciliabili con quelli dell’ente rappresentato, in guisa che all’utilità conseguita o conseguibile dal rappresentante (per sé medesimo o per il terzo), segua o possa seguire danno alla società rappresentata. Detta conflittualità deve essere accertata, in concreto, sulla base di una comprovata relazione antagonistica di incompatibilità degli interessi di cui siano portatori – rispettivamente – la società e il suo rappresentante legale, non essendo a tal fine sufficiente l’eventuale coincidenza – nella stessa persona – dei ruoli di amministratore delle contrapposte parti contrattuali.
Ai fini della risarcibilità del preteso danno, il soggetto agente, oltre ad allegare l’inadempimento dell’amministratore, degli obblighi a lui imposti dalla legge e/o dall’atto costitutivo, deve anche allegare e provare – sia pure ricorrendo a presunzioni – l’esistenza di un danno concreto, cioè del depauperamento del patrimonio sociale e la riconducibilità della lesione al fatto dell’amministratore inadempiente. In difetto di tale allegazione e di detta prova la domanda risarcitoria manca del suo oggetto. Incombe, viceversa, sugli amministratori l’onere di dimostrare l’inesistenza del danno ovvero la non imputabilità del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, circa l’osservanza dei doveri e l’adempimento degli obblighi loro imposti.
L’inadempimento da parte degli amministratori di società di capitali degli obblighi imposti dalla legge e/o dall’atto costitutivo non può essere desunto da una scelta di gestione, esse come tali, infatti, non sono sindacabili in termini di fonte di responsabilità contrattuale, in quanto sono conseguenti a decisioni di natura imprenditoriale e quindi ontologicamente connotate da rischio. Viceversa, l’inadempimento deve verificarsi avendosi riguardo al modo in cui detta scelta sia stata assunta, in altre parole è solo l’omissione, da parte dell’amministratore, delle preliminari cautele e verifiche, nonché dell’assunzione delle informazioni necessarie al compimento dell’atto gestorio, normalmente richieste per una scelta del tipo di quella adottata, che può configurare la suddetta violazione; così come è fonte di responsabilità la colpevole mancata adozione di quei provvedimenti, che per legge o per atti interni, avrebbero dovuto essere prontamente assunti a tutela della società.
In base all’art. 2389 c.c., i compensi spettanti agli amministratori sono stabiliti all’atto della nomina o dall’assemblea. In caso di mancanza della predetta determinazione l’interessato può adire l’Autorità giudiziaria per la relativa qualificazione, la quale avrà luogo, in base all’art. 2233 c.c., avendo riguardo alla qualità e quantità dell’attività svolta nell’ambito del c.d. contratto di amministrazione, non potendo, pertanto, l’amministratore in carica procedere ad una autoliquidazione del suo compenso.
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Carolina Gentile
Dottoranda presso la Scuola di Dottorato "Impresa, lavoro e Istituzioni" dell'Università Cattolica di Milano (curriculum di Diritto Commerciale).(continua)