Contraffazione di marchio che nasce dalla crasi della radice di due nomi
In materia di marchio risultante dall’unione di due o più termini che rimandano a concetti dotati di capacità individualizzante, per essere ritenuto valido ed originale il marchio comunitario deve essere fatta una doppia valutazione in punto di novità e in punto di distintività. Se è vero che il carattere indubitabilmente descrittivo dei singoli termini che compongono il marchio può non essere sufficiente per la sua capacità individualizzante, tuttavia deve essere valutata l’originalità della elaborazione della loro unione e l’uso concreto in riferimento alla notorietà conseguita dal marchio medesimo
Il giudizio di “confondibilità” si modula, secondo canoni tradizionalmente seguiti, attraverso una valutazione globale del rischio di associazione, che implica una interdipendenza fra i fattori presi in considerazione ed, in particolare, la somiglianza di marchi e quella dei prodotti o dei segni designati. Così che un tenue grado di somiglianza tra i marchi può essere compensato da un elevato grado di somiglianza tra i prodotti. Ne consegue che l’uso di una parola che nasce dalla crasi della radice di due nomi (nella specie, “impianti” e “medicali), le stesse costituenti il marchio azionato dalla ricorrente, sì da evidenziare una fortissima assonanza fonetica e una pressoché completa sovrapposizione concettuale; il mantenimento della distinzione delle due radici originarie attraverso una distinta evidenziazione grafica; il contestuale abbinamento a tale elemento distintivo di un elemento figurativo originale e individualizzante; la caratterizzazione grafica di una lettera; l’utilizzo del marchio per linee, oggetti e strumentazioni riconducibili a classe di prodotti specifici ed altri elementi che si muovano nel solco così tracciato, legittimano la ricorrente alla luce dell’art. 20, comma 1, lett. a) c.p.i.) nonché ai sensi dell’art. 20, lett. a) e b) c.p.i., a proporre tutela giudiziaria al fine di vietare alla resistente l’uso di un segno assai simile per prodotti affini.
In materia di concorrenza sleale confusoria, l’attività illecita consistente nell’usurpazione o nella contraffazione di un marchio mediante l’uso di segni distintivi simili a quelli legittimamente utilizzati dall’imprenditore concorrente, può essere dedotta sia a fondamento di un’azione reale a tutela dei propri diritti di esclusiva sul marchio, ma anche – e,congiuntamente – di un’azione personale per concorrenza sleale, ove quel comportamento abbia creato confondibilità tra i rispettivi prodotti. Il riconoscimento di tale ulteriore fattispecie illecita non muta comunque il quadro complessivo del regime sanzionatorio in sede cautelare, sovrapponendosi la tutela di cui all’art. 2598 c.c. a quella speciale di cui all’art. 131 c.p.i.. 24/06/2015.