Contratto di franchising, buona fede e concorrenza sleale
In tema di contratto di franchising, costituisce atto di concorrenza sleale la condotta tenuta dall’affiliante che commercializzi i beni in canali dove vengano venduti a prezzi notevolmente inferiori a quelli imposti all’affiliato, togliendo ogni competitività e distruggendo l’immagine di esclusività che avrebbe dovuto essere assicurata per la salvaguardia, non solo dell’interesse della controparte, ma dell’immagine stessa del prodotto, di per sé idonea a far venire meno la collaborazione nell’interesse reciproco dei contraenti, che costituisce caratteristica essenziale del contratto. In tema di contratto di franchising, la clausola che preveda l’ambito di eventuale esclusiva territoriale sia in relazione ad altri affiliati, sia in relazione a canali ed unità di vendita direttamente gestiti dall’affiliante non solo è normativamente prevista ma è anche resa necessaria dai doveri d’informativa cui è tenuto l’affiliante e che sono estrensicazione dell’obbligo di agire secondo buona fede. Costituisce principio constante in giurisprudenza quello secondo cui l’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale che, nell’ambito contrattuale, implica un obbligo di reciproca lealtà di condotta che deve presiedere sia all’esecuzione del contratto che alla sua formazione ed interpretazione, accompagnandolo in ogni sua fase. In tale contesto, la buona fede, costituisce un obbligo di solidarietà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che siano idonei a preservare gli interessi dell’altra parte. In applicazione di tale principio, che per giurisprudenza costituisce strumento giudiziale di controllo del contratto in funzione di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi, anche in senso modificativo o integrativo, non può ritenersi che una clausola di esclusività – quale quella che prevede in capo all’affiliato le gravose limitazioni del prezzo imposto, senza che possa essere praticato alcuno sconto, dell’esclusivo approvvigionamento dei prodotti dall’affiliante, della vendita dei prodotti esclusivamente in negozio e al dettaglio, del mantenimento di elevati standard di qualità e di esclusività per la salvaguardia dell’immagine del prodotto – sia idonea a consentire all’affiliante di eliminare dal mercato l’affiliato, escludere la collaborazione che è tratto caratterizzante del contratto e pregiudicare l’interesse, non solo della controparte, ma comune alle parti, dell’immagine del prodotto.
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Maria Luigia Franceschelli
AssociateDottorato di Ricerca in Proprietà Industriale, Università degli Studi di Milano Avvocato presso Hogan Lovells Studio Legale, IP team(continua)