Franchising e il principio di buona fede contrattuale in tema di esclusiva territoriale
In materia di franchising, il principio di buona fede puo’ essere applicato all’ipotesi in cui le parti non si sono avvalse della facoltà prevista dalla legge (l’art. 3, c. 4, della legge 129/2004) di stabilire l’ambito di eventuale esclusiva territoriale a favore dell’affiliato in relazione ad altri distributori ovvero a canali ed unità di vendita direttamente gestiti dall’affiliante. Il patto di esclusiva territoriale (che risponde all’esigenza di garantirsi la protezione nei confronti degli altri affiliati, cd. concorrenza orizzontale) non costituisce infatti un elemento essenziale del contratto né, si ritiene, un c.d. naturalia negotii. Ed. in assenza di tale patto, un pur minimo grado di protezione territoriale appare indispensabile giacché in caso contrario il franchisee non si assumerebbe l’onere di assumere ingenti spese per integrarsi nella rete e lo schema negoziale rischierebbe di essere minato in radice, sotto il profilo causale. Ne inferisce che l’inserimento da parte dell’affiliante nella propria rete distributiva di un altro distributore, tenuto conto della asimmetria economica nella quale si collocano i due contraenti, appare una scelta particolarmente delicata, che potrebbe essere potenzialmente abusiva, riducendo le capacità di profitto del vecchio affiliato e massimizzando quelle dell’affiliante (a fortiori qualora il nuovo rivenditore sia lo stesso franchisor). Alla luce di tali considerazioni, il ricorso al canone di buona fede consente di sanzionare anche le condotte che, formalmente corrette sotto il profilo formale (nella specie, in caso di mancanza di una esclusiva a favore del franchisee), hanno reciso il rapporto fiduciario sotteso al contratto ed inciso negativamente sull’assetto contrattuale, ponendosi in contrasto con l’obiettivo dell’integrazione imprenditoriale quale finalità ultima del franchising e, pertanto, giustificandone la risoluzione.