Fusione tra fondazione e comitato. Applicazione analogica delle disposizioni in materia di fusione tra società commerciali.
Nei limiti della compatibilità e ferme le differenze strutturali e di scopo fra le società e gli enti ‘non societari’ va ammessa l’applicazione analogica della disciplina in tema di fusione di società all’ipotesi di fusione di fondazioni.
Il procedimento di fusione delle fondazioni deve modellarsi quanto più possibile sulla disciplina di cui agli artt. 2501 e ss c.c., riconoscendo appunto all’organo amministrativo degli enti interessati il potere di redigere il progetto di fusione, cui va allegata una relazione in ordine alle ragioni dell’operazione, alle eventuali modifiche statutarie, alla situazione patrimoniale, ecc.; analogamente si deve provvedere al deposito degli atti presso le sede degli enti interessati all’operazione (art. 2501 septies, c.c.).
Sicuramente non sono invece applicabili, neanche in via analogica, le norme in tema di “rapporto di cambio”, di cui agli artt. 2501 ter, 1° comma, n° 3, e 2501 quinquies, 2° comma, c.c., in quanto non vi sono quote di partecipazioni al capitale sociale da dover rispettare in relazione all’ente risultante dalla fusione.
A differenza di quanto previsto per le società, per le quali l’approvazione del progetto è attribuita all’assemblea dei soci (art. 2502 c.c.), per le fondazioni, di regola prive di un organo assembleare e deliberativo, il potere di approvazione deve essere necessariamente riconosciuto ai CdA dei vari enti interessati; quindi sicuramente non è applicabile la previsione di cui all’art. 2502 c.c. in tema appunto di deliberazione assembleare di approvazione della fusione e la manifestazione della volontà di procedere alla fusione deve necessariamente provenire dai rispettivi CdA.