Illegittima prosecuzione dell’attività sociale, natura del danno e responsabilità di amministratori (di diritto e di fatto) e dei revisori
In tema di azioni nei confronti dell’amministratore di società, a norma dell’art. 2395 c.c., il socio (o il terzo) è legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione aquiliana per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo se questi siano conseguenza immediata e diretta del comportamento denunciato e non il mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente, ovvero il ceto creditorio per effetto della cattiva gestione (v. Cass., sez. I, 10/04/2014, n. 8458). Viceversa il diritto alla conservazione del patrimonio sociale (art. 2486 c.c.) spetta alla società e non al socio come tale, il quale ha in materia un interesse, la cui eventuale lesione non può concretare quel danno diretto necessario per poter esperire l’azione individuale di responsabilità ex art. 2395 c.c. contro gli amministratori.
Si riscontra l’esercizio di funzioni amministrative in capo a chi abbia di fatto posto in essere atti di gestione della società, ossia che abbiano comportato l’assunzione, in nome della stessa, di obbligazioni ovvero il compimento di scelte strategiche nella gestione dell’impresa e non già in capo a colui che, coinvolto dagli amministratori, abbia espresso delle mere opinioni in merito al compimento di uno o più atti gestori.
Non sono responsabili i revisori che in sede assembleare abbiano espresso opinioni in merito all’opportunità di esprimere un voto favorevole all’approvazione del bilancio di esercizio, qualora gli stessi abbiano fatto presente che un eventuale voto contrario presupporrebbe una motivazione tecnica del rifiuto, tenuto anche conto del fatto che nel caso di insolvenza della società non sussiste nesso causale tra il danno e il voto contrario all’approvazione del suddetto bilancio.
Non sono responsabili gli amministratori che in sede assembleare abbiano dissuaso i soci dall’agire in giudizio verso la società per ragioni di opportunità legate ai costi dell’azione a carico dei soci agenti (nel caso di specie, per escutere una fideiussione dalla stessa prestata), atteso che quanto affermato in detto contesto lascia impregiudicate le facoltà (d’azione) di cui dispone ciascun socio.
La nullità della citazione comminata dall’art. 164, comma 4, c.p.c. si produce solo quando l’esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda (art. 163, n. 4, c.p.c.), sia stata omessa o risulti assolutamente incerta, con valutazione da compiersi caso per caso, dovendosi tenere conto sia che l’identificazione della causa petendi della domanda va operata con riguardo all’insieme delle indicazioni contenute nel’atto di citazione e dei documenti ad esso allegati, sia che la nullità della citazione deriva dall’assoluta incertezza delle ragioni della domanda, risiedendo la sua ratio ispiratrice nell’esigenza di porre immediatamente il convenuto nelle condizioni di apprestare adeguate e puntuali difese”(v. Cassazione civile, sez. III, 15/05/2013, n. 11751).
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gabriele.scaglia
Notaio con sede in Triuggio (MB) e operante in tutta la Lombardia. Dottore di ricerca presso la Scuola di Dottorato "Impresa, lavoro e Istituzioni" dell'Università Cattolica di Milano (curriculum diritto...(continua)